Soluzioni creative
La crisi in cui è precipitato il mondo intero con il conflitto fra Russia e Ucraina (in realtà fra Russia e Nato, quindi fra Russia e Stati Uniti) prima, e con l’attacco di Israele a Gaza dopo l’attentato di Hamas del 7 ottobre poi, seguìto dalle operazioni di disturbo degli Houthi yemeniti nel Mar Rosso e dalle scaramucce fra Iran e Pakistan per il controllo del Belucistan, ha risvegliato il ricordo di un altro momento storico del secondo dopoguerra, ormai lontano, ma ancor vivo nella memoria di chi in quei tempi non era soltanto un ragazzetto ignaro di quanto bolliva nel crogiolo della politica internazionale: la crisi di Cuba del 1962. Gli Stati Uniti avevano da poco subìto lo smacco del tentativo di invadere Cuba da parte di alcuni esuli, tacitamente sostenuto dal governo, e miseramente fallito; avevano inotr inoltre collocato alcuni missili Jupiter in ambito NATO, precisamente in Italia e Turchia, puntati contro il territorio sovietico. La tensione fra le due superpotenze che si disputavano il controllo del mondo cresceva ogni giorno, e raggiunse il culmine quando la Russia collocò segretamente alcune batterie di missili di media gittata in territorio cubano, puntati contro gli Stati Uniti. Quando l’operazione fu scoperta, si giunse davvero sull’orlo di una crisi nucleare, e sembrò materializzarsi il fantasma di una terza guerra mondiale. Per fortuna, il pericolo fu sventato nel giro di poche settimane. Formalmente, l’Unione Sovietica accettò di ritirare i missili da Cuba. Da parte loro, gli Stati Uniti si impegnarono a non organizzare o sostenere altri tentativi di attacco contro l’isola; in più – ma questa parte dell’accordo rimase clandestina – si risolsero a rimuovere i missili Jupiter dall’Europa. Il mondo tirò un sospiro di sollievo.
Quale la differenza fra ieri e oggi? A parte la diversità intrinseca delle situazioni contingenti e del contesto mondiale dopo il crollo del sistema sovietico, la differenza fondamentale è la seguente.
A quei tempi i protagonisti della scena erano personalità controverse quanto si vuole, ma di alta levatura. In Russia era al potere Chruscev, che aveva destato scalpore, nel bene e nel male, prima con la “destalinizzazione” in politica interna – una decisione che avrebbe provocato disorientamento nel movimento comunista mondiale, poi con l’intervento armato in Ungheria al fine di sventare i tentativi riformistici del governo di Imre Nagy, che avrebbe provocato uno scompiglio ancor maggiore fra le forze politiche fino a quel momento votate al modello sovietico. Negli USA, terminato il mandato di Eisenhower, nel 1960 era stato eletto presidente John Kennedy, che aveva sùbito acceso molte speranze per il suo piglio volitivo, ottimistico, fiducioso in un avvenire di pace e prosperità. Sul soglio pontificio sedeva Giovanni XXIII, che con un inatteso Concilio Ecumenico intendeva rinnovare dall’interno la Chiesa, rimanendo fedele al nocciolo della sua dottrina. In Israele, un Paese sempre sotto attacco da parte delle potenze arabe circostanti che sostenevano, per il proprio tornaconto, la causa palestinese, era ministra degli Esteri quella sagace Golda Meir che avrebbe occupato il posto di Primo Ministro negli anni successivi, affrontando alcuni momenti di gravi difficoltà, come la guerra dello Yom Kippur, che avrebbe determinato il suo declino.
Oggi, chi vediamo sulla scena? Putin può essere odiato per mille ragioni, ma è persona intelligente e capace. Gli altri? Zelenski è un burattino manovrato da interessi più grandi di lui. Biden è un rimbambito a sua volta nelle mani di potentati che lo manovrano a loro piacimento. Sul soglio di Pietro è stato collocato un personaggio che obbedisce alla mafia di San Gallo e ha gettato nel discredito la Chiesa: basta vedere in quale considerazione è stato tenuto il suo ambasciatore di pace cardinale Zuppi, tanto da Zelenski quanto da Putin. In israele governa uno psicopatico come Netanyahu, che non fa mistero di voler sterminare e deportare il popolo di Gaza e si oppone senza mezzi termini all’idea, riproposta a bassa voce a livello internazionale, di consentire finalmente la formazione di uno Stato palestinese libero e indipedente, entro un territorio ben definito, che riconosca la legittimità di Israele e a sua volta veda da questo riconosciuta la propria. In una situazione del genere il pericolo di precipitare in un conflitto mondiale è davvero molto alto. Da rimbambini, marionette, psicopatici c’è poco da sperare. Al tempo della crisi di Cuba pare che la diplomazia vaticana abbia svolto una parte importante per risolvere le tensioni. Oggi il cardinale Zuppi che cosa può fare? E gli appelli alla pace di un Bergoglio in quale conto possono essere tenuti? I suoi veri interessi sono le benedizioni ai culattoni e l’accoglienza dei migranti (purché siano gli altri a farsene carico).
E’ incredibile che uno Zelenski, uscito ormai sconfitto dallo scontro con la Russia, pretenda di dettare lui le clausole di un eventuale trattato di pace, da imporre, per giunta, senza una trattativa con la controparte. S’è mai visto un vinto che detta legge al vincitore? Come può pensare che Putin possa accettare di tornare ai confini del 1991, rinunciando anche alla Crimea, e di vedere le truppe NATO in Ucraina, con i missili puntati su Mosca? E nessuno gli dà del folle? Per ora, pare di no. Forse più avanti, se continuerà a dar fastidio, sarà tolto di mezzo, in un modo o nell’altro. Diamo tempo al tempo. Siamo ridotti al punto di sperare che dalle prossime elezioni statunitensi esca vincitore Trump, che ha promesso di porre fine al conflitto nel giro di pochi giorni. E’ una speranza da disperati, ma non si vedono, al momento, altre soluzioni.
Per quanto riguarda Israele e Gaza, c’è invece da sperare che gli attacchi degli Houthi alle navi degli Stati che sostengono Israele rendano talmente insostenibile la situazione economica mondiale, con un aumento vertiginoso del prezzo del petrolio e della componentistica proveniente dai Paesi orientali, Taiwan innanzitutto, per effetto di premi assicurativi elevatissimi a carico delle compagnie marittime, da indurre gli Stati Uniti e i loro alleati a minacciare il ritiro di ogni sostegno a Israele se Netanyahu non cambia il suo disegno o non viene destituito. Ma ci vorrebbe, in più, una prova di coraggio, di creatività politica, che non è certo lecito attendersi dagli scialbi personaggi presenti sulla scena mondiale, capaci soltanto di recitare “a tale told by an idiot, full of sound and fury, signifying nothing”, per dirla con Shakespeare. Si parla di “due popoli, due Stati” o, in alternativa, di un unico Stato, con parità di diritti per ebrei e palestinesi. Se la prima soluzione è irta di difficoltà, la seconda mi sembra addirittura campata per aria. Si può mai immaginare che, dopo tutto quello che hanno passato, ebrei e palestinesi possano accettare di vivere in un unico Stato, sotto un medesimo governo, obbedendo alle medesime leggi? Perché allora non tentare un salto di qualità? Perché non due Stati in un medesimo territorio? Si tratterebbe di applicare, in via sperimentale e su piccola scala, quello che i fautori della Panarchia da sempre predicano, rifiutando il principio del territorialismo, secondo cui uno Stato deve possedere in esclusiva un suo territorio. Ogni individuo, invece, dovrebbe poter aderire all’autorità governativa che preferisce – o anche a nessuna autorità, facendo parte per sé stesso -, senza per questo doversi spostare dal territorio in cui vive. Allora perché non due Stati in un medesimo territorio, la Palestina? Chi vuole aderisce al governo israeliano, con le sue leggi, chi vuole a quello arabo-palestinese, con le sue.
E con le infrastrutture, come la mettiamo? Non è che possano esistere strade per gli israeliani e strade per gli arabo-palestinesi, ferrovie per gli israeliani e ferrovie per gli arabo-palestinesi, e lo stesso si dica per acquedotti, centrali elettriche e altre strutture del genere non duplicabili. La soluzione di un simile problema non è impossibile. Avete presente la rete ferroviaria? Possono esistere compagnie di trasporto ferroviario diverse e indipendenti, che utilizzano però una rete unica: Trenitalia e Italo viaggiano sugli stessi binari. Un altro esempio è quello riguardante il sistema telefonico. Le compagnie che offrono il servizio agli utenti, sia per Internet sia per la telefonia fissa e mobile, sono diverse e in concorrenza tra loro, ma le infrastrutture di cui si servono sono le stesse. Così, non è impossibile immaginare che gli Stati a-territoriali di Israele e degli arabo-palestinesi utilizzino, per i loro cittadini, le medesime infrastrutture, che potranno essere gestite in comune attraverso sistemi decisionali di tipo paritetico. Trattandosi di decisioni squisitamente tecniche, non dovrebbero dar luogo a contrasti di tipo ideologico. Una strada, una rete ferroviaria, un acquedotto, una centrale elettrica si progettano in base a necessità reali, che con le ideologie politiche o religiose hanno poco o niente che fare.
Un sogno? No, forse soltanto una soluzione troppo intelligente per poter essere proposta da una compagnia di mentecatti.
Dopo due anni di guerra Adolfo aveva liquidato la FR, ridotto ai minimi termini la GB e spadroneggiava in tutta l’Europa. Il uo suo emulo moscovita non è manco riuscito a chiudere la partita nella regione del Donbass.
Chissà se questi suoi infreddoliti sudditi (poveretti) saranno comunque confortati dall’essere governati da un “uomo intelligente e capace” che con tutto il gas che si ritrova, non riesce manco a scaldarli.
ilmattino.it/primopiano/esteri/russia_cittadini_al_buio_gelo_proteste_contro_putin-7885902.html
Ma Putin non ha alcuna intenzione di soggiogare il mondo. Impiega soltanto una parte del suo enorme arsenale bellico. Le testate nucleari rimangono a riposo. Il suo obiettivo è limitato. Gli basta arrivare a Odessa. Ancora un po’ di pazienza, e fiducia nel Generale Inverno. Kutuzov insegna. Qualche mese, e l’obiettivo è raggiunto.
Diciamola bene: in Russia esercito-marina-aviazione fanno schifo.
La Russia fa paura solo per i suoi missili nucleari, senza è solo un ridicolo gigante d’argilla. Inoltre ora è in modalità “economia di guerra” , i cannoni hanno la precedenza sul burro, assurdo per un conflitto per disputarsi un territorio grande come il lombardo-veneto, la guerra di logoramento logora anche lui. Se il sostegno estero all’Ukr non viene meno, per Putler sarà dura.
Le forze armate della Russia fanno così schifo che finora sono riuscite a tener testa agli armamenti forniti all’Ucraina da USA e Paesi NATO; hanno sventato la tanto strombazzata controffensiva di primavera che avrebbe dovuto ricacciarle di là dal confine, riconquistando addirittura la Crimea; dispongono di proiettili a iosa, mentre all’Ucraina ultimamente ne sono stati forniti solo 300.000 del milione promesso; non hanno difficoltà ad acquisire nuove reclute, mentre l’Ucraina ormai ha esaurito tutte le sue riserve di uomini atti alle armi. Si aggiunga che le sanzioni inflitte alla Russia con l’intento di devastarne l’economia e costringerla alla resa per fame si sono ritorte a danno dell’Europa, il cui PIL cresce a stento, mentre quello russo vola. Caro Max, va bene dar credito alle veline della NATO, alle quali si abbevera tutta l’informazione di regime, ma per moltiplicarne, come fa Lei, le fandonie, bisogna avere davvero una bella fantasia.
Nella mia grande ingenuità pensavo che a”resistere” dovessero essere gli Ukr, in quanto aggrediti da una nazione grande come un continente, con un popolazione (e relativo potenziale arruolabile) quasi 4 volte superiore e in cui non viene esportata la guerra per espresso volere Usa.
Non servono veline nato per capire il putrido sfacelo russo, bastano osservazione e buonsenso, ma se non bastano si può sempre integrare con qualche lettura che possibilmente vada oltre gli universi paralleli di Orsini.
ilfoglio.it/esteri/2022/07/01/news/cosi-la-corruzione-condiziona-le-operazioni-militari-dei-russi-e-anche-le-nostre-sanzioni-4175638/
notiziegeopolitiche.net/la-corruzione-e-il-cancro-che-uccide-le-nazioni-come-
insegna-la-russia/