Don Giovanni

L’inutile concetto di materia inutile

Ricordate lo slogan con cui Silvio Berlusconi annunciò i princìpi su cui avrebbe fondato la politica dell’istruzione pubblica se la sua coalizione fosse andata al governo, nella campagna elettorale del 2001? “Le famose tre “I”: Inglese, impresa, informatica. Con un rimbrotto giustamente sferzante Ernesto Galli della Loggia commentò.”Si vergogni, Cavaliere”. Non fu l’unico giudizio negativo, anche se la reazione, nel complesso, fu più blanda di quanto sarebbe stata in un altro momento. Così come, nei successivi governi Berlusconi della XIII e XIV legislatura, l’operato della ministra Moratti fu nell’insieme accettato con poche critiche. Veniva introdotto un altro famigerato principio, quello del cosiddetto “portfolio”: una sorta di “pagella” che non sarebbe stata limitata al percorso scolastico, ma avrebbe in qualche modo seguito il cittadino per tutta la vita, incidendo non soltanto sulle sue scelte scolastiche, ma anche sulle occasioni del suo percorso lavorativo. Un obbrobrio, perché gli eventuali insuccessi nel corso degli studi, anche se magari dovuti a un momento di crisi in seguito brillantemente superato, sarebbero rimasti come una macchia su un documento ufficiale che poteva condizionare le opportunità di una vita intera. Tutto il contrario dell’idea, squisitamente liberale, sostenuta a suo tempo da Einaudi e da pochi altri, di abolire il valore legale dei titoli di studio. A dimostrazione che il presunto liberalismo sbandierato da Berlusconi era soltanto un espediente propagandistico, sinonimo di anticomunismo: fatte le debite e rilevanti differenze, un po’ com’era stato il liberalismo del PLI di Giovanni Malagodi, un partito che, proprio per l’angustia della sua linea politica,di fatto più conservatrice che liberale, nel corso della sua storia non poco travagliata era andato perdendo, sulla sinistra, le componenti più dinamiche e innovative. Fermo restando che, sul piano morale, intellettuale e culturale Malagodi e Berlusconi non sono nemmeno lontanamente paragonabili.

Perché, anche sulla sinistra, il programma scolastico dei governi Berlusconi non fece tanto scalpore? Per un’ambiguità di fondo che permeava tutta la politica, non solo quella della sinistra, dai tempi della contestazione sessantottina. Fu proprio l’ambiguità di quelle proteste a condizionare in senso negativo tutte le  scelte  relative all’istruzione dei governi successivi. Nella protesta giovanile contro il mondo scolastico”reazionario” si profilarono infatti fin da subito due atteggiamenti: uno, fatto proprio dalla sinistra liberale e dalle componenti più serie e avvertite, che tendeva a mantenere la ribellione all’interno del mondo scolastico, per cambiarne i connotati, nella speranza che la scuola, una volta mutata radicalmente nei suoi fini e nei suoi metodi,  avrebbe formato le menti capaci di imprimere una svolta alla realtà sociale e  istituzionale; un altro, destinato purtroppo a soffocare il primo e a diventare predominante, che  mirava a una contestazione “globale”, anche al di fuori del modo scolastico, e, per quanto riguardo la scuola in particolare, mirava a minarne il carattere  selettivo e a cancellare dall’insegnamento le materie “inutili”, cui veniva imputata la colpa di fungere da fattore discriminante per mantenere una divisione di classe funzionale al sistema capitalistico. Di qui gli esami di gruppo, la promozione per tutti, la demonizzazione degli studi classici, il Latino visto come strumento di discriminazione a vantaggio delle classi alte. Su queste idee si sarebbe innestato il pensiero esposto nella  “Lettera a una professoressa” della scuola di Barbiana, che da quel momento sarebbe diventato un libro di culto, visto addirittura come “profetico” per la sua presunta modernità. In realtà era, e rimane, un libello profondamente reazionario, a dispetto di quanto si va ripetendo in occasione del centenario della nascita di Don Milani.

Perché reazionario? Perché, con l’intento, di per sé nobilissimo, di lottare per l’emancipazione delle classi più diseredate, propugnava un tipo di istruzione che di quelle classi faceva il male. Che cos’è accaduto, infatti, nei decenni successivi?  La scuola pubblica è diventata sempre più permissiva e meno selettiva, i programmi si sono andati annacquando, la qualità dell’insegnamento si è di molto deteriorata. Risultato? I figli delle famiglie più benestanti si sono potuti permettere la frequenza di scuole private e l’accesso a canali d’istruzione che ai meno fortunati rimanevano preclusi per motivi economici, agli altri sono rimasti gli scarti. In questo modo la discriminazione invece di diminuire è aumentata. Una scuola scadente per tutti significa un’istruzione di alto livello riservata a pochi privilegiati. 

Don Milani ha suo malgrado fatto il gioco del filone deteriore della contestazione sessantottina. La sua polemica contro le “materie inutili” e contro la selezione meritocratica ha aperto la strada a un sistema scolastico che di fatto è risultato funzionale a quel bieco assetto capitalistico che si voleva combattere. Sono proprio le “materie inutili”, non immediatamente finalizzate a formare manodopera (in senso lato, esiste anche una manodopera intellettuale) capace di soddisfare le esigenze dell’attività economica, a promuovere quell’apertura mentale che consente di guardare al mondo in cui si vive con piena perspicacia critica, e di compiere quindi quelle scelte assennate che, nelle loro interazioni, possono contribuire fortemente al miglioramento della società nel suo complesso. Non si tratta quindi di abolire le “materie inutili”, come invece si persevera a fare (la Storia ormai si studia malissimo, la Filosofia è in via di rottamazione, le lingue classiche sono appannaggio di pochi pazzoidi destinati a estinguersi come i panda, la Matematica è insegnata soprattutto per i suoi scopi strumentali, la Scienza tende a confondersi con la Tecnologia, che è altra cosa), ma di renderle accessibili, al livello più alto possibile, a tutti quelli che desiderano impararle. Che cosa si è fatto, invece? Tutte le Scuole Superiori sono diventate Licei, il che significa che i Licei sono stati di fatto aboliti. L’enfasi sull’alfabetizzazione informatica, sul rapporto scuola-lavoro, sull’adeguamento dei programmi alle finalità della “quarta rivoluzione industriale” si ingrossa come una valanga, destinata a travolgere completamente quell’ideale di “Università Critica” proprio della componente più seria, e purtroppo minoritaria, della contestazione sessantottina, per lasciare pieno spazio all’integrazione totale in un modello di società che viene disegnato in centri di potere neppur troppo occulti, dai quali ormai tutta la politica mondiale dipende. Si avvera quanto deprecato nella “dialettica dell’Illuminismo” di cui parlava la Scuola di Francoforte. Gli ideali di emancipazione proclamati nella lotta dei pensatori settecenteschi contro i pregiudizi di una società arretrata e oscurantista, per far uscire il genere umano   da uno stato di minorità e avviarlo alla consapevolezza dell’età adulta (secondo la definizione di Kant) si sono capovolti nell’ideologia di un nuovo potere che, mantenendo formalmente le libertà “liberali”, di fatto esercita una nuova e più raffinata oppressione, tanto più subdola quanto più indirizzata  a coscienze del tutto onnubilate da un sistema mediatico ormai divenuto incapace di esercitare una vera critica verso i padroni del vapore.

Sono proprio i padroni del vapore di oggi e i loro servi a esaltare don Milani, quello che se la prendeva con le “materie inutili” (perché, a suo parere, funzionali alla scuola discriminatoria dei ricchi, e quindi utili soltanto a loro). Quello che deprecava lo studio di Iliade, Odissea, Eneide, Dante, e lamentava che a scuola non si leggesse il Vangelo. In somma, propugnava una scuola clericale, cattolica.E se uno non è cattolico? E se uno è ateo? Certo che va conosciuto il Vangelo, come va conosciuta ogni opera che ha contribuito alla formazione della nostra civiltà. Anche perché senza il Vangelo non si può capire proprio quel Dante che si vorrebbe mettere al bando:quel Dante che venerava Virgilio come maestro e riprendeva, a modo suo, in chiave cristiana, le vicende di Ulisse narrate nell’Odissea.

Il Vangelo? Oggi non viene letto neppure nelle ore di Religione, dove si parla di tutt’altro. Neppure in certi corsi di catechismo per la preparazione ai Sacramenti, dove capita che in un incontro  del delegato del vescovo con i bambini si discuta per ore senza nominare una volta Gesù Cristo. Forse anche qui don Milani avrebbe qualcosa da ridire, e questa volta con ragione.

Giovanni Tenorio

Libertino