Don Giovanni

Il verdetto

Nel film “Il verdetto – The Children Act”, tratto da un romanzo di Ian McEwan e splendidamete interpretato da Emma Thompson, sotto la regia di Richard Eyre, assistiamo alle vicende di una giudichessa talmente immersa, anima e corpo, nel proprio lavoro, da trascurare gli affetti domestici, fino al punto di veder compromesso il proprio rapporto matrimoniale. Un giorno si trova a dover affrontare  un caso delicatissimo: quello di un giovane testimone di Geova che, non solo per volontà dei genitori, ma anche per  intima convinzione, rifiuta di sottoporsi a una trasfusione di sangue da cui dipende la sua sopravvivenza a una grave patologia. Si immedesima in modo così empaticamente profondo nel dilemma  che  sta affrontando, da spingersi molto al di là dei suoi doveri professionali, non tenendo conto soltanto delle procedure di legge, ma diventando la confidente del ragazzo, fino a persuaderlo  a rivedere le proprie convinzioni, salvandolo così da morte sicura. Il rapporto di amicizia fra due persone tanto diverse per età, ambiente sociale e formazione si trasformerà poi in una vera e propria passione amorosa, che avrà conseguenze devastanti. Quel che qui mi interessa ora sottolineare però non è l’esito infausto dell’ avvincente storia, ma un’altra cosa: un giudice, anche il più severo e rigoroso, può evitare di comportarsi da freddo esecutore delle norme di legge, per sentirsi, a tutti gli effetti, un essere umano capace di commuoversi per i casi che si trova a dover trattare, e agire di conseguenza, senza per questo venir meno ai suoi doveri d’ufficio, anzi, interpretandoli nel senso più autentico.

E’ quel che non hanno fatto i giudici che, in tutti i modi,  sono riusciti a impedire alla piccola Indi Gregory di sopravvivere alla grave malattia da cui era affetta. Una malattia inguaribile, s’è detto. Ma inguaribile non vuol dire incurabile. Esistono cure palliative, che possono consentire al paziente di vivere senza eccessive sofferenze fisiche. E poi, quel che è inguaribile oggi, potrebbe diventare guaribile domani. Che ne possiamo sapere? Non possiamo escludere neppure un miracolo. Anche chi non crede, deve riconoscere che ogni tanto capita qualcosa di inspiegabile. La Scienza non lo può ammettere? Però capita. Quindi, se i genitori desiderano che la loro figlioletta rimanga in vita, sia pure in condizioni precarie e, per alcuni aspetti, disperate, perché negarglielo? In nome del bene di chi soffre? Ma vogliamo scherzare? In mancanza del consenso della persona interessata, nel nostro caso impossibile, trattandosi di una bimbetta di pochi mesi, non dovrebbe valere la volontà dei genitori? Chi più dei genitori può sapere qual è il bene dei loro figli? Possono sbagliare, e molte volte sbagliano. Ma anche i giudici possono sbagliare.             

Bisogna però innanzitutto fare una distinzione. Che lo Stato (la Magistratura è un ramo dell’ordinamento statuale) debba intervenire, sospendendo la potestà genitoriale, nel caso in cui i familiari impediscano a un minore di accedere a cure senza le quali andrebbe incontro a morte sicura, è innegabile. Dovrebbe essere il suo compito precipuo quello di salvaguardare la vita dei cittadini. Molto spesso non lo fa, ma questo è un altro discorso. Non lo fa quando li manda a morire in guerra, con la scusa che la difesa della Patria è sacro dovere del cittadino. Non lo fa quado li obbliga ad assumere farmaci pericolosi, con la scusa di salvaguardare la popolazione dai rischi di un’epidemia che può essere combattuta con farmaci  molto più efficaci e sicuri. Ma facciamo finta che lo faccia sempre. Anche quando consente la pratica dell’aborto in strutture dipendenti dal Servizio Sanitario? Conosco già l’obiezione: l’embrione non è ancora un essere umano, quindi a prevalere, qui, dev’essere la volontà della donna. E se invece l’embrione dovesse essere proprio un essere umano a tutti gli effetti? Permettetemi di far finta che sia proprio così.  In questo caso, non solo consentendo l’aborto ma addirittura praticandolo nelle proprie strutture  sanitarie, lo Stato, da parte sua, non obbliga a compiere la soppressione di una vita, ma semplicemente la consente. Ecco subito un’altra obiezione: ma allora, anche quado un testimone di Geova pretende di non sottoporre a trasfusione un figlio minorenne, dovrebbe consentirlo, lasciandogli la responsabilità della scelta! Obiezione forte, lo ammetto. Sembra che si usino due pesi e due misure. Si potrebbe rispondere così: nel caso di un minore, tutti sono d’accordo che è un essere umano; sotto l’aspetto burocratico, è un cittadino iscritto all’anagrafe, dotato di carta d’identità e codice fiscale, sottoposto a obblighi di legge, come quello di frequentare la scuola, quando ne avrà l’età. Che l’embrione sia sostanza vivente è inoppugnabile, che sia già un essere umano non tutti lo accettano. Burocraticamente, non è iscritto all’anagrafe, non ha una carta di identità né un codice fiscale, non è sottoposto alle leggi vigenti. E allora? Io penso che che sia opportuno consentire l’aborto, senza però proclamarlo un diritto (magari da introdurre nella Costituzione!). Anche quello della vita embrionale non può essere dichiarato un diritto. Siamo in una zona grigia, e in questa zona grigia bisogna rimanere. La Legge, di fronte a ideologie inconciliabili, deve procedere in modo pragmatico.

Torniamo al caso della piccola Indi Gregory. Se è vero che, con tutte le eccezioni e le sfumature che abbiamo visto, lo Stato non può decidere della vita di un cittadino, ma è sempre obbligato, almeno in teoria, a salvaguardarla, allora il comportamento dei giudici inglesi è deplorevole. Non mi si venga a dire che erano obbligati a decidere così in base alla Legge. Sarà anche vero che, nel loro Paese, esiste una legge scritta, o una consuetudine giurisprudenziale, in base alla quale deve prevalere l’autorità del giudice quando si tratta, in casi come questo, di definire qual è il bene del minore. Ma perché non mettersi nei panni di quei poveri genitori? Perché negare che la piccola, pur avendo ricevuto la cittadinanza italiana, venisse portata in Italia, dove le era stato garantito un trattamento con cure palliative? E perché, per colmo di cinismo, non le è stato neppure consentito di spegnersi a casa sua? 

Come si sarebbe comportata, in un caso simile, la giudichessa Fyona Maie del film “Il verdetto”? Certamente avrebbe assunto lo stesso atteggiamento empatico dimostrato nella vicenda di cui, nella finzione cinematografica, è protagonista, mettendosi questa volta nei panni dei genitori.  Ma un conto è la finzione, un conto la realtà. Ce ne sono davvero di giudici come Fyona Maie? Penso proprio di no. Qualche commentatore nostrano è arrivato a giustificare la decisione dei giudici inglesi, osando affermare  che, invece di pensare al salvataggio di una bambina sicuramente destinata a un’esistenza infelice, qualora fosse mantenuta artificialmente in vita, dovremmo pensare alle migliaia di bambini che muoiono sotto le bombe nella striscia di Gaza. Vorrei capire dov’è il nesso. Si può – e si deve – deplorare il massacro di poveri innocenti nella criminale rappresaglia israeliana, ma purtroppo  che mezzi abbiamo per fermarlo? Possiamo chiedere il “cessate il fuoco”, ma il governo di Netanyahu continuerà sulla sua strada, se chi conta davvero (leggi Stati Uniti) non userà tutte le minacce credibili per ottenere il  risultato che a parole a parole richiede (ad esempio,  dichiarando che non  interverrà nel caso di un attacco di Hezbollah dal Libano e minacciando il ritiro delle navi da guerra americane schierate nel Mediterraneo come deterrente a difesa di Israele dall’inizio del conflitto). Invece, per Indi Gregory, qualcosa si sarebbe potuto ottenere se i giudici inglesi non avessero il cuore di pietra. E va dato atto al governo Meloni di aver fatto tutto il possibile.

Eccoli, i tanto sbandierati valori dell’Occidente. Con la scusa che la Scienza certifica la malattia come incurabile e la Legge impone di tener conto non della volontà dei genitori, ma dell’interesse del minore, si è condannato a morte un essere umano. Qui l’unico interesse in gioco, ancora una volta, è quello economico. Tenere in vita malati cronici è costoso. Perché, allora, non permettere che la bambina venisse portata in Italia? Per mandare un segnale: non tentate più una cosa simile, perché il risultato è questo. Passo dopo passo, stiamo scivolando verso un’eutanasia generalizzata. Si comincia con l’aborto post-parto (una mostruosità anche solo sotto l’aspetto logico-linguistico), per passare alla negazione delle cure per i bimbi affetti da malattie dichiarate incurabili, per arrivare, fra qualche tempo alla  soppressione  dei vecchi  non più in possesso delle loro facoltà fisiche e mentali che popolano gli ospizi. E poi di tutti i vecchi oltre una certa soglia d’età, che sono economicamente improduttivi e gravano su un sistema pensionistico non più sostenibile. Si tornerà al monte Taigeto dell’antica Sparta, da dove venivano gettati i neonati deformi, e all’esposizione dei bimbi nelle foreste, come capitò al povero Edipo. Anche Rothbard, in una delle pagine più infelici di “the ethics of liberty” arriva a dire che uccidere un bambino con un atto violento è un delitto, ma lasciarlo morire di fame no. Questo in base a quello che lui chiama Diritto Naturale. Se lo metta dove dico io, il suo Diritto Naturale.

Giovanni Tenorio

Libertino

6 pensieri riguardo “Il verdetto

  • A me pare che queste offerte (sempre verso l’Inghilterra, mi pare: possibile che solo lì ci siano questi casi?) siano un po’ false e mirate. Le fanno per mostrarsi migliori della controparte e soprattutto sapendo che questa non le accetterà, quindi nessun si rischia nulla a costo zero. La sorte di Indie era segnata.

    Già nel caso Alfie Evans (in cui si era mosso anche il papa), gli inglesi avevano tirato dritto. Se per caso fosse avvenuto un miracolo, avrebbero fatto una gran figuraccia a favore di un paese piigs, e su questo la perfida e spocchiosa Albione non transige.

    • Ringrazio Max per i suoi ultimi interventi, finalmente costruttivi e non soltanto oppositivi per partito preso. Ringrazio anche Alessandro Colla, le cui riflessioni, anche quando non collimano con le mie, sono sempre graditissime e stimolanti.

  • OFF TOPIC

    Milei ha vinto: ora finalmente avremo la possibilità di vedere che combina un ancap al potere, tra l’altro In un paese con un tasso di peronismo nel sangue piuttosto alto.

    • Un anarchico al potere è come un cerchio quadrato o un morto vivente. L’unico potere che, coerentemente, un anarchico può esercitare, è quello di abolire il potere stesso, e poi ritirarsi. Ma, una volta entrati nel meccanismo che legittima l’esercizio del potere attraverso normative che il potere stesso – per l’anarchico, sempre illegittimo in quanto tale – ha stabilito, se ne rimane inevitabilmente contaminati, finendo con il diventare parte di quella realtà sopraffattoria che, forse in buona fede, ma non è sempre detto, si intendeva combattere. Un sedicente anarco-capitalista, raggiunto il vertice di un ordinamento coercitivo com’è, qual più qual meno, ogni forma statuale, diventerà filo-capitalista sic et simpliciter. Cioè partigiano di quel sistema che, sostenendo l’economia di mercato solo per quel tanto che giovi all’interesse di chi dispone dei mezzi di produzione e può accedere al credito, non può fare a meno di sostenere lo Stato in quanto gendarme e protettore grazie a dazi, esclusive, finanziamenti, privilegi, imposizioni fiscali discriminatorie, brevetti, sempre nuove definizioni di proprietà intellettuali (vere “enclosures” virtuali), monopolio della moneta attraverso il sistema delle banche centrali ecc. ecc. Cioè di agire in combutta con la forma più potente e raffinata del potere mafioso. E allora, che fare? Minare il sistema dall’esterno. Ad esempio, promuovendo movimenti di massa che, anche per mezzo dell’ autoriduzione delle imposte per la quota percentuale corrispondente al finanziamento degli armamenti, lottino per la riduzione delle Forze Armate, mirando, in una prospettiva a lungo termine, alla loro completa abolizione. Era quanto auspicava l’ultimo Cassola, il quale però, deprecando gli Stati sovrani armati, ma non gli Stati in sé come forme autolegittimate di coercizione, forse non si rendeva conto che uno Stato senza esercito e senza gendarmi, cioè privato del monopolio della violenza, cessa di esistere in quanto Stato.

      • Alessandro Colla

        “Inevitabilmente contaminati”. Non sono d’accordo con l’avverbio. Anche se il pericolo c’è sicuramente. Sul piano teorico sarebbe anche possibile evitare la contaminazione, bisogna vedere quanti sono i sostenitori autentici de “La Libertà Avanza”. Nel breve termine potrebbe essere possibile realizzare lo stato minimo per poi arrivare alla nazione per consenso. Magari passando attraverso una situazione transitoria che preveda il diritto alla secessione.

        Offri un bicchiere di Marzemino all'autore del commento 1
  • Uno “Stato minimo” che mantenga il monopolio della violenza, e quindi il sistema impositivo – a sua volta violento – necessario per finanziarne gli apparati coercitivi, può tradursi in una feroce dittatura, tra l’altro non temperata da interventi assistenziali a beneficio dei più deboli (che sono sempre stati lo strumento, impiegato da tutti i sistemi autoritari, dalle tirannidi dell’antica Grecia a Bismarck, al Fascismo, al Nazismo, per conservare il consenso). Quanto alla secessione, anche un nuovo Stato nato in questo modo dalla costola di un altro può a sua volta essere liberticida come quello o anche peggio. Trovo ambiguo il concetto rothbardiano di “Nation by consent” quando il consenso venga interpretato come “volontà” di una maggioranza. La volontà è prerogativa degli individui, non dei gruppi (la “volontà” di un’ assemblea è una finzione giuridica, utile per garantire la governabilità, purché sia chiaro che è soltanto l’ipostatizzazione di una regola del gioco basata sulla maggioranza numerica). Ogni individuo dovrebbe poter scegliere la propria patria/nazione, prescindendo dal territorio in cui vive e dalle proprie ascendenze genetico-culturali. E’ il principio su cui si basa la “Panarchia” cara a Gian Piero de Bellis. Che presenta però anch’essa il fianco a qualche obiezione. Prima fra tutte: le strutture fisiche territoriali (strade, ferrovie, infrastrutture di vario genere) a chi competono? Non è che ogni comunità volontaria – costituitasi come ordinamento giuridico, quindi statuale, sia pur su base consensuale e a-territoriale – possa costruirsi le sue. Io credo che – sul piano teorico – la prima cosa da fare sia quella di svincolare l’idea di patria/nazione non solo dalla territorialità, ma anche dalla statualità, cioè dal potere politico in senso stretto, inteso come autorità sovraordinata. Io devo potermi sentire italiano anche se vivo in Africa e sono di pelle scura, senza per questo dipendere da nessun governo italiano, territoriale o non territoriale che sia.

I commenti sono chiusi.