Don Giovanni

Il territorialismo, ultimo rifugio dello statalismo

L – Caro padrone, che ne dite del denaro “sterco del diavolo”?
DG – L’avrà anche detto un Padre della Chiesa, e lo ripete l’attuale vescovo di Roma. Rimane però una sciocchezza.
L – Voi bestemmiate, è scritto anche nel Vangelo.
DG – Neanche per idea. Lì si depreca Mammona, che è la brama di ricchezza. Il denaro è una semplice unità di misura. Come il metro misura la lunghezza, il grammo il peso e l’ora di sessanta minuti il tempo, così il denaro, in tutte le sue forme convenzionali, misura la ricchezza. Come si può applicare a una misura un giudizio morale? Se uno possiede una ricchezza spropositata, come il famoso Epulone, e non ne lascia cadere neppure una briciola al povero Lazzaro, potrò dire che Epulone è un avido egoista. Ma il suo denaro semplicemente misura la sua ricchezza, non è né un bene né un male. Se quel medesimo denaro, né un euro in più né un euro in meno, venisse donato a Lazzaro, e questo a sua volta lo distribuisse a tanti suoi amici poveri in canna come lui, forse che quel denaro, da sterco del diavolo che era, diventerebbe, in virtù di non so quale magia alchemica, rugiada degli angeli? Incolpare il denaro perché qualcuno vuol tenerlo tutto per sé sarebbe come incolpare il metro perché devo andare a piedi da Milano a Taranto, la strada è lunga e solo a pensarci mi vengono le vertigini… La colpa non è del metro!
L – Del metro no, della distanza sì…
DG – Ma neanche di quella. Solo mia, che ci voglio andare a piedi, da Milano a Taranto, anziché prendere il Frecciarossa, perché sono un taccagno.
L – Ma se voi foste povero e non poteste prendere il Frecciarossa non avendo il becco d’un quattrino…
DG – Non ingarbugliare il discorso. Che c’entra?
L  – Sì, mi scuso di saltare un po’ di palo in frasca. Volevo richiamare la vostra l’attenzione sul problema della povertà, quindi il denaro in qualche modo c’entra. Il denaro scarso è misura della povertà. Quindi aumentando la quantità di denaro…
DG – Bravo allocco, vedo che hai imparato bene la lezione dell'”Helikopter money”. Bisogna aumentare la ricchezza, non la moneta.
L – Sì, ma come?
DG – L’esperienza storica ci dimostra che l’economia di mercato e la libertà degli scambi, senza barriere di nessun tipo, sono la più formidabile fucina di ricchezza. Pare che negli ultimi 25 anni miliardi di persone nel mondo siano uscite dal livello minimo di sussistenza, abbandonando una secolare povertà, non certo grazie ai sussidi dei governi o alle preghiere del papa, ma per effetto della famigerata globalizzazione. Fu così anche nell’Italia del secondo dopoguerra, finché lo Stato non volle metterci lo zampino, passando dal liberismo di De Gasperi ed Einaudi all’allucinazione pianificatoria di socialisti pasticcioni, democristiani corporativisti, liberali “moderni” alla Ugo la Malfa innamorati di Keynes (un amore trasmesso al figlio Giorgio).
L – Quindi, mercato come antidoto alla povertà.
DG – Certo: e le merci devono poter essere vendute senza barriere, al loro prezzo d’origine . Dai Paesi poveri o comperiamo le merci o  accettiamo i migranti. Anzi, l’uno e l’altro.
L – Allora la pensate proprio come il papa, bisogna accogliere tutti
DG – E’ opportuno accogliere tutti quelli che ci possono essere utili e si possono accogliere, senza provvidenze pubbliche. Oggi la cosiddetta “invasione” di migranti è dovuta anche a focolai di guerra. E’ una situazione eccezionale. Se si toglieranno di mezzo l’Isis, e altre cancrene del genere, il flusso diventerà meno impetuoso. Certo, non è facile. Penso alla Libia. Un bel disastro, ma è colpa nostra.
L – In un contesto anarchico come quello che piace a voi , ognuno dovrebbe potersi muovere come e dove vuole, alla maniera delle merci, del denaro, dei capitali, delle idee. O no?
DG – Qualcuno dice di no. Tutto sarebbe privato, dicono. Senza il consenso di un soggetto proprietario di un fondo, in accordo con tutti gli altri titolari delle proprietà che si devono attraversare per arrivare alla meta, nessun si può muovere. In somma, bisognerebbe avere un biglietto d’invito, o forse una serie di biglietti d’invito…
L  – In questo modo ci vorrebbe qualcuno che controlla, come le Guardie di Finanza ai confini.
DG – Certo. Ma questo controllo costerebbe un patrimonio,non sarebbe per nulla conveniente sotto l’aspetto economico. Si formerebbe una sorta di nuovo Stato territoriale. Oggi le spese per il controllo dei confini non si vedono, perché paga Pantalone. Ma in un sistema privatistico verrebbero subito alla luce. E poi: non si vede perché, se si devono controllare le persone, non si possano controllare anche le merci, con tanto di balzelli doganali. Bell’affare davvero! Dalla padella nella brace!
L – Ma a chi piacciono queste belle idee da cucù?
DG – A qualche ex-leghista che ha letto male l’ultimo Rothbard e forse anche Hoppe.
L – Troppo difficile per me, non ne so nulla… Ma allora, che fare?
DG – Dobbiamo liberarci dall’idea di territorialismo. Lo Stato deve essere distrutto nei suoi tre elementi: governo (chi comanda), popolo (la massa dei sudditi che obbedisce) e territorio (l’area geografica su cui insiste il diritto di cittadinanza). Ognuno deve poter escludere chi vuole dalla sua proprietà, e solo da quella. Se uno, magari pagando i dovuti pedaggi o attraversando territori dove il passaggio è lasciato libero, perché così concedono i proprietari o perché quei territori non sono stati occupati da nessuno, vuol venire a casa mia, dev’essere padrone di di farlo. Gli altri non se ne devono impicciare. Ha un lavoro? E’ un barbone? Non ha voglia di faticare? Fatti suoi e, caso mai, miei. Se commette azioni illecite, sarà chiamato a risponderne da chi ha subito il danno. E’ ridicolo che, in un’epoca in cui, grazie a Internet, ci si può connettere in tempo reale con tutto il mondo, si vogliano fissare ancora limiti territoriali.
L – Sì, ma in concreto, oggi, dobbiamo accogliere tutti, come dice il papa?
DG – Il papa è un irresponsabile. Fosse davvero un poverello senza guanciale dove posare il  capo di notte, come il Francesco autentico o il figlio del falegname di Nazaret,
potrei capirlo, e forse mi sarebbe anche simpatico. Ma come capo di Stato, il cui peso politico, unito al prestigio di somma autorità religiosa, ha un peso non da poco, prima di blaterare a vanvera dovrebbe mordersi la lingua. Accogliere tutti con i soldi di chi? E se non c’è più posto? E se a un certo punto non abbiamo più risorse neppure per noi? Quando la bottiglia è piena, trabocca. E quando il flusso migratorio diventa strabocchevole, possono nascere gravi fenomeni di rigetto, di razzismo, di violenza.
L – Però ammettete che stringe il cuore veder rimandare indietro chi è venuto qui pieno di speranze, magari pagando somme considerevoli, col rischio di morire in mare su quei terribili barconi…
DG – Certo. Sai che cosa farei? Entro una scadenza a brevissimo termine inviterei tutti i clandestini già presenti in Europa a registrarsi, ottenendo in cambio la cittadinanza. Da quel momento andrei a imbarcare ufficialmente, dalle diverse località costiere da cui sono solite partire, le masse di profughi, sottraendole alla clandestinità degli scafisti, dopo aver dichiarato a chiare lettere che da allora  in avanti non ci saranno più soccorsi in mare. Esigerei un pagamento, della stessa misura di quello che pretendono gli scafisti. Basta aver visto il film “Fuocoammare” per sapere che propongono tre livelli tariffari: prima classe, 1500 dollari, seconda classe 1000, terza classe 800. Durante la navigazione offrirei – tutto compreso – cibo, bevande, vestiti, visite mediche, assistenza alle partorienti, informazioni di ogni tipo. All’arrivo, basta. Non ci sono più provvidenze per nessuno. Il permesso di soggiorno non è negato, si può cercare alloggio e lavoro, le associazioni benefiche sono libere di prodigarsi per offrire assistenza; ma nessun aiuto pubblico.  Dopo quindici anni si ottiene  la cittadinanza, con tutti i diritti annessi e connessi. Abbasserei anche il salario minimo. In questo modo aumenterebbe l’occupazione, per tutti, cittadini e immigrati. Non invento niente di nuovo. Le idee sulla cittadinanza procrastinata e sul salario minimo si trovano in David Friedman, “The machinery of freedom”.
L – Ma vi rendete conto che idee del genere sono  di là da ogni possibilità di attuazione? Altro che utopia! Scatenerebbero la rivoluzione, da sinistra, da destra, dal centro, da sopra, da sotto. Ve la immaginate la Boldrini? Ve lo immaginate Salvini? Ve li immaginate i “libberali”? E i Galantini, i Forte, i Ravasi, con tutta la Confindustria di cui sono i cappellani…
DG – Sicuramente. Ma ad ascoltare il papa, sta pur sicuro che, a breve, la rivoluzione avverrà. Almeno la Chiesa, con l’umiltà del poverello d’Assisi davanti al sultano d’Egitto, tentasse di convertire gli immigrati musulmani dalle efferatezze della guerra santa alla mitezza del messaggio evangelico. No! Guai a fare proselitismo, dobbiamo addirittura lavargli i piedi. Eppure da qualche parte è scritto: “Andate e fate miei discepoli tutti i popoli”. Buonista e irresponsabile, questo gesuita che viene dall’Argentina. Esiste un’etica della convinzione e un’etica della responsabilità, come diceva Max Weber. E anche Benedetto Croce ammetteva che i principi della morale devono fare i con conti la loro eseguibilità tecnica, altrimenti sono parole vuote.
L – Weber e Croce? Forse in Argentina non sanno chi sono. E pensare che ne so qualcosa anch’io. Weber era un musicista, e Croce è quello di Bertoldo Bertoldino e Cacasenno.
DG – Somaro! Va’ anche tu a fare il bovaro nella Pampa argentina!

Giovanni Tenorio

Libertino