Violenza democratica e territorialismo
Il primo ministro spagnolo Rajoy, ha bollato come criminale il presidente della catalogna Puidgemont, per le sue rivendicazioni separatiste. Parola grossa. Chi è criminale? Chi è dichiarato tale dalla legge. Chi è il titolare della legislazione? Lo Stato. Quando la legge dello Stato può ritenersi valida? A sentire Kelsen, quando è approvata secondo procedure legittime. Quando le procedure sono legittime? Quando lo Stato le dichiara tali. Un bel circolo vizioso. Che legittimità ha lo Stato per poter legittimare una sua legge? Nessuna. Non c’è uno Stato che non sia nato attraverso uno o più atti di violenza e sopraffazione. La violenza è fondamento di legittimità? Se, su questa base, ogni Stato è legittimo, e quindi ogni legge approvata secondo le procedure prescritte è legittima, il potere di Hitler (arrivato al vertice grazie a libere elezioni democratiche) era legittimo e le leggi razziali, approvate secondo le procedure prescritte, anche. Il criminale non era chi mandava gli ebrei nei forni crematori, ma chi, per un atto di umanità, cercava di sottrarli a tale barbarie. C’è qualcosa che non torna in tale ragionamento? Credo che tutto sia logicamente inoppugnabile. A meno che si neghi la legittimità dello Stato.
E se uno Stato nasce da un atto di secessione? Diventa legittimo per il fatto stesso di essersi separato da uno Stato più grande, con un atto di violenza? Qualcuno dirà che non è sempre così: un nuovo Stato può nascere grazie a un referendum. D’accordo. Se lo Stato da cui si vuol secedere ammette, nella sua costituzione, tale possibilità, la secessione è legittima perché conforme alla sua legge. Rimane altrettanto vero che un atto di secessione referendaria si traduce sempre nella coercizione d’una maggioranza ai danni di una minoranza. Se un 60% del “popolo” vuole la secessione e un 40% no, il 40% è costretto a piegarsi. -E’ la democrazia, bellezza!- Sicuramente. Cioè la coercizione esercitata da una maggioranza contro una minoranza. Invece di fare a pugni, si contano le teste. Molto più civile, non v’ha dubbio. Ma pur sempre violenza. Pugni con guanto di velluto. In somma: la politica è in ogni casi violenza.
E se chi intende secedere indice un referendum non legittimato dallo Stato da cui si vuol staccare, e sulla base di un risultatato favorevole si costituisce come Stato a sé? In un certo senso, si autolegittima con un atto di violenza referendaria, anziché con un’ azione di guerra. Guerra che può sempre arrivare dopo, se lo Stato da cui s’è separato decide di riappropriarsi in questo modo il territorio perduto. Ognuno ha le sue buone ragioni: lo Stato che patisce la secessione, in base alla propria costituzione; lo Stato che nasce dalla secessione in base a un referendum che si legittima come atto di fondazione (democraticamente violento) originario e sovrano. Se vince sul campo chi vuol staccarsi, i suoi combattenti diventeranno eroi, cui si dedicheranno strade piazze monumenti. I libri di scuola li additeranno agli studenti come personaggi da onorare, Padri della Patria. Se a vincere sono gli altri, gli stessi combattenti saranno bollati come criminali e traditori. In somma: la politica è in ogni caso menzogna e indottrinamento.
Tutto riacquisterebbe una sua moralità se gli Stati rinunciassero al territorialismo e concedessero ai loro cittadini, individualmente, di passare sotto un’altra sovranità pubblica, per libera scelta, o di far parte per se stessi, senza per ciò stesso dover cambiare residenza. A questo punto i singoli Stati si farebbero concorrenza fra loro: ciascuno, come nel libero mercato, cercherebbe di offrire servizi migliori a prezzi (tasse) più bassi. Può anche capitare che il modello anarchico, dove uno sceglie sul mercato tutte le agenzie private da cui ricevere servizi (anche la sicurezza, anche la giustizia, normalmente riservate al monopolio pubblico) col tempo si imponga, erodendo a poco a poco l’attrattiva della sovranità pubblica e portando, a lungo andare, all’estinzione degli Stati. Una follia? Non sarebbe la prima volta che la follia di oggi diventa il senso comune di domani. Con la pace di Augusta del 1555 si impose il principio del “cuius regio, eius religio”: la residenza in un territorio comportava l’adesione coatta a un determinato credo religioso, quello di chi governava. Oggi ognuno può far parte della Chiesa che vuole, in qualsiasi territorio abiti. Può anche non far parte di nessuna Chiesa. Può anche scegliere l’agnosticismo o l’ateismo. Questi ultimi potrebbero anche, alla lunga, portare all’estinzione delle Chiese, specialmente se quella di Roma persevererà a eleggere papi del calibro di Francesco della Pampa.
Ma torniamo all’oggi. Mettiamoci per un attimo nei panni degli statalisti. Si potrebbero evitare conflitti e, magari, bagni di sangue, nel pieno rispetto dei dogmi relativi alla sovranità e alla legittimità, di cui sopra abbiamo dimostrato l’inconsistenza. Mettiamo che in uno stato x un territorio y voglia separarsi, ma la costituzione di x non lo consenta. Le autorità di x potrebbero mettersi d’accordo con quelle di y in questo senso: si indice in y un referendum meramente consultivo e si presenta, nel contempo, al parlamento di x, un disegno di legge per la modifica della costituzione laddove impedisce operazioni secessioniste (si può proporre, al posto del divieto, un articolo che fissa i requisiti e le procedure per eventuali secessioni). Se il referendum ha esito negativo, il disegno di legge viene ritirato. Se ha esito positivo, si indicono in x nuove elezioni. In campagna elettorale ogni partito dirà la sua sul disegno di legge. Se al parlamento risulterà eletta una maggioranza favorevole alla modifica costituzionale non è detto che i giochi siano fatti: di solito per modificare una costituzione occorre una maggioranza qualificata. Mettiamo che, nel nostro caso, sia il 75%. Se i parlamentari favorevoli raggiungono già questa quota, l’esito desiderato è a portata di mano. Altrimenti sarà necessario trovar proseliti nelle file di chi, finora, si è detto contrario. Il gioco è più che mai aperto.
Fantapolitica? Può darsi. Procedura lunga e laboriosa? Senz’altro. Difficile però che, in questo modo, qualunque sia l’esito, si possano covare risentimenti. La legalità è salva. La legittimità, per come la intendono gli statalisti, anche. Nessuno scontro, nessuna guerra. Che si vuole di più?