Don Giovanni

I piani quinquennali di Mario Draghi

Che cos’è l’Antitrust? E’ una norma, o un organismo istituzionale, che ha come obiettivo quello di impedire il formarsi di monopoli produttivi, a danno dei consumatori, o di ordinarne lo scioglimento, qualora si rilevi che si sono già costituiti. La giustificazione che sta dietro è questa: il libero mercato, se lasciato a sé stesso, tende a favorire la posizione dominante di alcuni produttori che, per le più svariate circostanze, riescono a battere la concorrenza, imponendo le loro scelte e influendo sulla dinamica dei prezzi. Per questo motivo, il mercato, se vuole rimanere libero, va mantenuto tale, vigilando su tutte la manovre che possano impedirne gli effetti benefici tipici di un sistema concorrenziale e intervenendo, quando necessario, secondo le disposizioni di legge, nel quadro di una politica economica approvata dal governo. Libertà di mercato, si dice, non è anarchia, dove ognuno può fare quello che vuole, anche a danno degli altri, siano essi i concorrenti, siano i consumatori. Il classico esempio che di solito viene citato per illustrare questo tipo di politica è lo “Sherman Act”, introdotto nella legislazione USA a fine Ottocento per disarticolare il colosso petrolifero della Standard Oil, favorendo la nascita di quelle che poi sarebbero state chiamate “le sette sorelle”. 

Le cose stanno proprio così? E’ vero che il mercato, lasciato a sé stesso, tende alla formazione di posizioni dominanti? Per poterlo provare, bisognerebbe poter controllare che cosa capita in un mercato veramente libero, qualcosa che nella realtà non è mai esistita, perché la presenza dello Stato, anche il meno interventista in economia, orienta inevitabilmente le scelte dei produttori e dei consumatori. Basterebbe il sistema fiscale, anche il più blando. Ma poi, in realtà tutti gli Stati sono fortemente interventisti. Favoriscono e magari sovvenzionano attività produttive ritenute strategiche, ne scoraggiano o impediscono altre ritenute dannose, introducono provvidenze varie a sostegno di produttori considerati più deboli e meritevoli di aiuto. 

Soprattutto, impongono una ferrea legislazione a tutela della cosiddetta “proprietà intellettuale”. Che è un non senso sia sotto l’aspetto economico sia sotto quello giuridico. La proprietà si giustifica solo in presenza di beni scarsi, ai quali non si può attingere all’infinito senza che prima o poi si esauriscano. Se io ho un’idea geniale, grazie alla quale sono in grado di mettere sul mercato un prodotto di successo, quest’idea rimane mia finché rimane chiusa nella mia testa, ma quando un altro soggetto riuscisse a conoscerla studiando il prodotto e decidesse di approfittarne per farmi concorrenza, che cosa mi ruba? Una volta che un’idea è diventata di dominio pubblico è proprietà di tutti, e non è un bene scarso. Può continuare a servirsene chi l’ha escogitata, ma anche un altro, e un altro ancora, all’infinito. Come può, in circostanze simili, formarsi un monopolio?

Di solito si dice che la proprietà intellettuale è necessaria se si vuole garantire l’innovazione: se un inventore non può proteggersi con un brevetto, non ha interesse a continuare le sue ricerche per proporre sempre nuovi prodotti. E’ proprio così? Anche in questo caso, mancano le prove empiriche. Al giorno d’oggi non c’è sistema economico nel quale non vigano le norme della proprietà intellettuale. Forse è vero proprio il contrario. se uno sa che la sua invenzione, una volta diventata di dominio pubblico, può essere imitata da altri, non potrebbe approfittare della rendita di posizione che il brevetto gli concederebbe, e quindi sarebbe stimolato non a interrompere le sue ricerche, ma a continuarle, aguzzando l’ingegno.

Un caso molto significativo è quello delle case farmaceutiche. Le anime belle, in epoca Covid, hanno incensato la filiera di Big Pharma perché – dicevano – nel giro di pochi mesi è riuscita a produrre vaccini che di solito abbisognano di anni per poter essere sperimentati. Davvero? Se c’è una faccenda che dimostra quanto sia deleterio l’intervento pubblico nelle dinamiche del mercato è proprio quella del Covid. Senza la propaganda dei governi e del sistema di informazione -notoriamente corrotto -, senza le laute sovvenzioni pubbliche, senza la protezione della “proprietà intellettuale” le cose sarebbero andate ben diversamente. Ogni casa farmaceutica, piccola grande avrebbe potuto proporre i suoi rimedi, anche ricorrendo alle formule escogitate da altri produttori. Non necessariamente vaccini, che si sono rivelati rovinosi. Alla faccia di chi raccomandava “tachipirina e vigile attesa”, aspettando che arrivassero i prodotti miracolosi, mentre i pazienti morivano intubati.

In questi giorni la commissaria europea alla concorrenza Margaret Vestager (l’avete presente? E’ quella con la faccia da spettro) ha criticato il famigerato rapporto Draghi esprimendo il timore che i piani di investimento suggeriti possano portare alla formazioni di soggetti monopolistici, a discapito dei consumatori. Penso che abbia ragione, ma il discorso andrebbe ampliato. Il piano Draghi non cade dal cielo, è il perfezionamento di un disegno che la UE persegue da tempo.  Siamo al livello dei Piani Quinquennali dell’Unione Sovietica, che di solito si concludevano con un fallimento. Avete presente tutta l’enfasi sull’auto elettrica? Nessuno le vuole, le auto elettriche. Il mercato si è vendicato. Per la prima volta nella sua storia la Volkswagen chiude uno stabilimento, lasciando a casa un numero consistente di lavoratori. Altre case automobilistiche rivedono i loro piani, tornando alla produzione di motori termici.

Ecco, io vorrei che tutti i disegni di Draghi facessero la stessa fine. Mi fa orrore un’Europa la cui economia è trainata dall’industria bellica, e che si avvia a diventare un mondo distopico come quello suggerito dal World Economic Forum di Klaus Schwab, dove non siamo proprietari di niente ma siamo contenti, perché ci fornisce tutto il Grande Fratello. Cioè il Grande Monopolista, com’era il governo del sistema sovietico. Un monopolio prodotto dal mercato anarchico? Ma vogliamo scherzare? Prodotto dai Piani Quinquennali di staliniana memoria. La proprietà intellettuale viene rigidamente difesa, ma un povero contadino deve cedere il suo terreno a prezzo vile perché  bisogna collocarvi le pale eoliche. Chi ha fatto approvare il “decreto semplificazioni” che consente una simile rapina? Il solito Mario Draghi, quello che Cossiga chiamava “vile affarista”, durante il suo governo.

Si pensa che le grandi pianificazione, grazie ai progressi della digitalizzazione e della cosiddetta Intelligenza Artificiale potranno avere successo. Stiamoci attenti. Le grandi dimensioni hanno un limite. Inoltre, visto che il sistema tecnologico diventa sempre più complicato mentre la scuola, un po’ dappertutto, diventa sempre più disastrata, siamo sicuri che un domani avremo tecnici e ingegneri capaci di riparare i guasti? Già oggi le imprese degli “hacker” risultano inquietanti. Nel Medioevo si arrivò al punto che ponti, cupole, acquedotti rimanevano in macerie, perché nessuno era più capace di ripararli

Si insiste tanto sul potenziamento delle cosiddette materie STEM. Benissimo, ma attenzione: la tecnica da sola non basta. Il progresso è frutto della creatività, che si acquisisce studiando le materie “inutili” . Ecco che cosa diceva Luigi Einaudi in un articolo per la “Rivoluzione liberale di Gobetti (recentemente ripubblicato, con altri, dall’editore Aragno): il professore universitario deve innanzitutto studiare, per scoprire “le verità nuove scientifiche, pure, da cui deriveranno col tempo applicazioni pratiche di gran momento; crea, con le ricerche storiche, filologiche e morali quell’ambiente avido di sapere in cui soltanto può formarsi una classe dirigente colta, capace di condurre una nazione a grandi destini” .

Giovanni Tenorio

Libertino

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