mercato

Don Giovanni

Capitalstatismo, capitalismo e mercato

In realtà il mercato è sempre innocente, se è mercato vero. E’ il Capitalismo spesso, quasi sempre, a non esserlo. Troppo ammanicato con il potere dello Stato, per ottenerne protezione e favori. Troppo incline a trattenere i profitti per sé e a scaricare le perdite sulla collettività. Troppo bramoso di posizioni monopolistiche favorite dalla legislazione positiva. Troppo avvinghiato alle rendite della proprietà intellettuale, dominante in tutti i campi attraverso il sistema dei brevetti e del copyright. In questo hanno ragione i “left libertarians” quando distinguono puntigliosamente Capitalismo e Mercato, respingendo il primo e accogliendo il secondo. Forse è solo una questione di significati da attribuire alle parole. Anche i filocapitalisti alla Rothbart quando parlano di Capitalismo non intendono il brutto sistema oggi dominante -aggravato, tra l’altro, dal monopolio statale della moneta, amministrata dalle banche centrali – ma intendono riferirsi al mercato puro.
Discorsi troppo sottili non solo per l’incolto Tremonti, ma anche per gli intrepidi sostenitori del secessionismo; i quali, come amano gli staterelli piccini piccini, chiusi entro le loro barriere, disprezzando le aggregazioni politiche più ampie e magari sputando sulla libera circolazione delle persone nell’area di Schengen , così amano le botteghe artigiane (di cui anch’io, sia ben chiaro, nutro nostalgia) e le fabbrichette dei padroncini (a molti dei quali anch’io tolgo tanto di cappello), aborrendo come il demonio le spaventose Multinazionali. Maledetto mercatismo e liberismo! Va bene il Capitalismo nostrano, magari protetto da dogane, ma gli stranieri se ne stiano fuori. E guai a delocalizzare, dando lavoro a chi non è della nostra razza e affamando i nostri fratelli.
Autentici no-global. Fossero meno rozzi, saprebbero che l’economista indiano Jagdish Bhagvati ha dimostrato come la globalizzazione, pur con tutte le sue ombre che nessuno vuol negare, ha portato ricchezza laddove prima c’era la fame e nel complesso ha fatto bene a tutto il mondo. Ha anche dimostrato che le Multinazionali – le cui malefatte, quando documentate, nessuno vuol disconoscere – di solito pagano i dipendenti meglio delle industrie indigene e rispettano più di queste le normative riguardanti la tutela del lavoro. Senza andare nei Paesi sottosviluppati, anche da noi è più facile trovare lavoro nero e operai sottopagati in una fabbrichetta che in una Multinazionale (sia detto a chiare lettere: se l’alternativa al lavoro nero è la chiusura della fabbrica e la disoccupazione, ben venga il lavoro nero).

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