Don Giovanni

Oltraggio al pudore

Forse qualcuno fra i più anziani dei miei lettori ricorderà che in tempi ormai lontani, sotto le feste di Natale, i barbieri erano soliti distribuire ai loro clienti abituali calendarietti profumati e illustrati. Ce n’erano di tre tipi. Quelli più richiesti, senza distinzione di età, riguardavano i più famosi calciatori. Non c’è da stupirsene: il calcio, e lo sport in genere, sono sempre stati il vero collante della società italiana, per il resto del tutto sfilacciata e litigiosa. E’ significativo il fatto che, dopo l’attentato a Togliatti, il 14 luglio del 1948, si evitò la guerra civile grazie alla notizia che Gino Bartali aveva prima staccato Bobet sul Col dell’Izoard e poi, il giorno successivo, quasi su “ordine” di Alcide De Gasperi, vinto per distacco la tappa che portava il Tour de France a Aix-les-Bains, conquistando una improbabile (anche per l’età) maglia gialla. Davanti alla vittoria di Bartali cadevano tutte le distinzioni politiche: comunisti e anticomunisti, fascisti e antifascisti, democristiani e liberi pensatori si abbracciavano fraternamente, nel nome del Tricolore, dimenticando i loro reciproci rancori. Soprattutto fra i vecchietti, andavano a ruba anche i calendarietti con le scene delle più famose Opere, interpretate dalle più acclamate ugole d’oro. Anche questa, allora, era cosa del tutto naturale. Le persone d’una certa età amavano l’Opera italiana, da Rossini a Puccini a Mascagni. I giovani cominciavano a snobbarla; i giovanissimi la prendevano a pernacchi; ma un certo numero di appassionati al bel canto rimaneva, e popolava i teatri di provincia destinati a restare arrivi ancora per qualche anno (adesso se n’è salvato uno solo, la Scala di Milano). Mi viene da ridere quando, in certi film americani, un personaggio italo-americano è un provetto cuoco dilettante che canta arie d’Opera. Forse poteva essere così un centinaio di anni fa. Oggi siamo arrivati al punto che se, in Italia, si chiede a uno studente universitario, magari da 30 e lode, chi ha scritto l’ “Aida”, è capace di rispondere Beethoven (guardate che non invento, è successo davvero qualche anno fa). Infine c’erano i calendarietti con le donnine discinte. Non dico nude, dico discinte; e anche discinte è un’esagerazione, perché a quei tempi le foto con le donnine nude o anche soltanto scollacciate potevano girare solo clandestinamente, altrimenti venivano ritirate dal commercio e i responsabili della loro diffusione potevano finire sotto processo per aver violato il comune senso del pudore (che non ho mai capito né che cosa sia né come possa essere misurato). Nella città di*** c’era un cartolaio che ogni tanto esponeva in vetrina cartoline di belle ragazze con il seno prosperoso e le gambe un po’ scoperte. Alcune suorine, che erano sue clienti abituali, lo scongiuravano allora di ritirare quelle immagini oscene, perché contrarie alla morale e al buon costume. E quello rispondeva: ” C’è gente a cui piacciono; e io vado incontro ai loro desideri. E’ il mercato. La morale è un’altra cosa, e qui non siamo in chiesa”. Aveva ragione. Lo diceva anche Dante: “In chiesa coi santi e in taverna coi ghiottoni”. I più giovani crederanno che io stia raccontando fandonie. No, è tutto vero, chiedano ai loro nonni e ne avranno la conferma. Quanto a me, vi confesso che non ho mai avuto fra le mani nessuno di quei calendarietti. Il calcio non mi piace e anche gli altri sport mi interessano poco o niente, a parte la scherma, perché sono un provetto spadaccino (ne sa qualcosa il Commendatore, che fu così stolto da sfidarmi a duello, facendo la fine che ben conoscete). Le donnine discinte poi… Che me ne faccio? A me piacciono le donne in carne ed ossa, le loro immagini le lascio ai segaioli. Ve lo immaginate il catalogo di Leporello pieno di fotografie di donnine con le tette e le gambe scoperte? Ci sono soltanto nomi, ma dietro a quei nomi ci sono donne vere, che io ho posseduto, godendo e procurando loro piaceri paradisiaci. D’altra parte, io, che sono un aristocratico, non ho mai frequentato, come i plebei, le bottegucce dei barbieri. Io ho il mio barbiere personale, che viene periodicamente a farmi barba e capelli. Si guarda bene dal portarmi calendarietti profumati, perché glieli farei mangiare. I calciatori non mi interessano, e lo sa. Dell’ Opera non so che farmene, perché sono io il protagonista dell’Opera più grande che sia mai stata scritta. Le donne poi,  quelle in carne ed ossa, me le conquisto da solo, senza bisogno di mediatori.Passano i tempi, ma tutto cambia perché tutto rimanga come prima. Magari i preti e le suore non sono più quelli di una volta; davanti alla foto di una donna non solo discinta, ma nuda come mamma la fece non si scandalizzano più. In compenso abbiamo le femministe, che sono più bigotte dei preti e delle suore d’una volta. C’è poco da fare, anche se ormai in chiesa non ci va quasi più nessuno, non possiamo non dirci cattolici, e la dottrina di San Paolo ha operato in profondità nei secoli dei secoli, dal Medioevo a oggi,  rimanendo difficile da estirpare. Ma forse non è del tutto vero neanche questo. La colpa è soprattutto della Controriforma. In una recente pubblicazione di Alessandro Barbero, illustre medievista e conferenziere godibilissimo, si dimostra che il Medioevo, in fatto di sesso, era molto più spregiudicato di quanto siamo soliti pensare(*). Direte voi: ma che c’entrano le femministe? Non sono le femministe a battersi per l’emancipazione della donna? Non sono loro a dire che il corpo delle donne è delle donne e ne fanno quello che vogliono? In teoria, sì, ma in pratica no. Basta che esca un calendario con belle foto di belle donne nude, non di quelli profumati che una volta regalavano i barbieri, ma pubblicato nientemeno che dal CODACONS, e non per compiacere i segaioli (che oggi possono trovare facilmente pane per i loro denti, pardon, per i loro cazzi, scorrazzando in rete), ma come  augurio di rinascita – almeno così dicono, anche se non mi è ben chiaro il nesso- dopo questi mesi bui, perché dal pollaio femminista si levino le più alte grida contro la mercificazione del sesso e la vendita dei corpi per compiacere il maschilismo dominante duro a morire.Quante sciocchezze! Mercificazione del sesso? Il sesso è sempre stato una merce, pagata in tanti modi. Vendita del corpo? Se il corpo è mio, posso anche venderne l’immagine. Nessuno mi può vietare di farmi fotografare avvolta in uno scafandro come i palombari, o nuda come un verme. Posso regalare le mie fotografie o posso venderle. Posso cederle, dietro pagamento, a un editore perché ne faccia quello che crede. Che c’è di male? Basta che sia io a scegliere. Anche il mestiere della puttana non è per nulla degradante, se non imposto da un magnaccia a una povera donna in condizioni di miseria. C’è chi dà a nolo una barca e chi dà a nolo la fica. Mi dite dove sta la differenza? Io prendo a nolo solo le barche, perché le donne la fica me la danno gratis, e sono loro a trarne il maggior piacere. E’ così che le ripago.La cosa che più mi fa ridere, in tutta questa polemica, è che le donnine nude dei calendari CODACONS portano la mascherina, ma non per coprirsi il viso, bensì le tette e le chiappe. Alcune mascherine sono tricolori. Oltraggio alla bandiera! E perché mai? Com’è possibile che un paio di belle tette o di belle chiappe costituiscano un oltraggio a uno straccetto tricolore? Caso mai è tutto il contrario: è lo straccetto tricolore a far oltraggio a un paio di belle tette o di belle chiappe.
  
(*) ALESSANDRO BARBERO, La voglia dei cazzi e altri fabliaux medievali, Effedì Edizioni, 2020.       

Giovanni Tenorio

Libertino