Don Giovanni

Il tema di Educazione Fisica (quasi una proposta)

Bussetti, chi era costui? Ci scommetto che se solo qualche settimana fa aveste rivolto la domanda a un campione di cento persone che rispecchiasse la composizione sociale di tutto il popolo italiano per reddito, cultura, professione, ben pochi avrebbero saputo indicarlo come il ministro dell’Istruzione del caravanserraglio giunto fortunosamente al governo dopo le ultime elezioni politiche. Un signor nessuno, le cui competenze culturali e didattiche si compendiano nell’esperienza acquisita presso la scuola pubblica come insegnante di Educazione Fisica: e gli insegnanti di Educazione Fisica, è risaputo, pretendono di intendersi un po’ di tutto. Ne conosco molti che danno lezioni di Matematica; altri che scrivono articoli di Economia sui giornaletti locali; altri ancora che arrotondano lo stipendio dedicandosi,nei ritagli di tempo, alle più svariate attività di concetto. D’altra parte, l’Istruzione è l’ultimo pensiero di ogni politico. Ricordate che cosa sono andati a raccattare quelli del governo Gentiloni? Una signora dal volto impiastricciato, che millantava titoli di studio fasulli; e che quando parlava o scriveva infarciva i suoi discorsi di svarioni d’ogni genere. C’è di buono che almeno Bussetti parla poco. In compenso sono tutti gli altri a parlare, mostrando carenze irredimibili non solo nell’uso del congiuntivo. Non sanno governare la lingua e pretendono di governare una Nazione. Le loro giacche aperte, con le cravatte svolazzanti alla Trump, sono un segno eloquente dello sbracamento generale dimostrato (forse come segno di democrazia?) dalla compagine ministeriale gialloverde, a dispetto del fazzolettino bianco che il presidente Arlecchino continua a ostentare nel taschino.

Dopo l’inizio del nuovo anno scolastico il nome di Bussetti ha cominciato a circolare, anche se questioni ben più gravi bollivano in pentola. Come sempre, è un altro anno cominciato nel caos, perché la scuola si trascina dietro problemi che nessuno finora è mai riuscito a risolvere una volta per tutte. Anche qui, basta guardare in che stato versano gli immobili dove hanno sede molti istituti per avere un’immagine concreta dello stato di desolazione di cui soffre tutto il sistema. Solo dopo qualche tempo dall’inizio delle lezioni gli studenti dell’ultimo anno delle scuole superiori hanno saputo come si articolerà l’esame finale: quell’esame che un tempo, nei Licei, si chiamava Esame di Maturità, e che dopo il Sessantotto ha subìto una valanga di riforme; o meglio di rappezzi annuali, che l’hanno trasformato in una risibile caricatura di quel che dovrebbe essere una prova capace di vagliare la preparazione complessiva di uno studente rimasto sui banchi per quasi cinque lustri. Novità bussettiana: abolizione, nello scritto di Italiano, del tema di Storia. Almeno, così è parso di capire di primo acchito, perché poi sono intervenute le solite precisazioni che, al solito, hanno ulteriormente ingarbugliato la matassa. Se ho ben capito, la traccia della tipologia B (quella che una volta era appunto il tema di Storia) potrà essere genericamente di tipo argomentativo, spaziando dalla Politica all’Economia ai problemi sociali, con riferimenti alla Storia. Bel pasticcio, vero?

Ma sapete qual è la ragione dichiarata per cui il tema specificamente storico è stato mandato in soffitta? Perché -udite udite- il tema storico è sempre stato scelto una sparuta minoranza di studenti, in quanto richiede conoscenze approfondite e un linguaggio tecnico che non è alla portata di tutti. Questa del linguaggio tecnico è una motivazione addirittura esilarante. Ogni disciplina ha un suo linguaggio tecnico, che uno studente alla fine del corso dovrebbe avere del tutto acquisito. Forse che la Matematica non ha un linguaggio tecnico? Eccome! Un linguaggio altamente formalizzato. E la Fisica? E la Filosofia? E le Arti figurative? E la Musica (che però nella scuola italica, a causa della sua impostazione idealistica originaria, è peggio di Cenerentola)? E anche le materie letterarie? Uno studente deve o no sapere che cos’é un Sonetto, e com’è fatto? A ben vedere, la Storia ha un linguaggio assai meno tecnico delle altre materie: spesso, anzi, lo mutua proprio da queste. Se, ad esempio vogliamo trattare la storia del Settecento, non potremo evitare di far riferimento alla filosofia dell’Illuminismo, al costituzionalismo di Montesquieu, alla democrazia di Rousseau, all’ Arte rococò e neoclassica, al Preromanticismo e allo Sturm und Drang, alla nascita della Sinfonia e del Quartetto, di cui il mio papà Mozart ha dato fulgidi esempi.

In realtà il tema di Storia non lo sceglie nessuno perché la Storia è insegnata male. E invece dovrebbe essere una delle materie più curate, perché (e qui possiamo essere d’accordo con gli idealisti ignorantissimi di musica) tutto è Storia. Come uomini siamo immersi nella Storia; anche l’Universo di cui facciamo parte ha una storia; anche gli esseri viventi nel loro complesso, di cui crediamo di essere al vertice (e invece no: aveva ragione Wilfredo Pareto a dire che i gatti sono molto migliori degli uomini) hanno una loro storia: e assai complessa, come ci ha insegnato Darwin. Anche la Scienza ha una sua storia, piena di conflitti, di arretramenti e di progressi, di successi e di fallimenti. Anche le discipline “forti”, come Matematica e Fisica, dovrebbero essere insegnate entro un percorso storico. Dubito che si possa capire bene il teorema di Fermat senza conoscere la genesi del problema che ne sta alla base; genesi che ci porta addirittura a Diofanto, il matematico della tarda grecità che per primo ne fissò i termini (Fermat dichiarò per iscritto, proprio a margine di una copia dell’opera di Diofanto, “Arithmetica”, di averlo risolto, ma di non avere lo spazio per darne la dimostrazione). Sarebbe il modo migliore per far capire che la Scienza moderna è figlia diretta del “logos” greco; e che quindi lo studio del mondo antico è tutt’altro che uno sfizio da parrucconi. Le opere di Platone sono piene di matematica (Teeteto, personaggio eponimo d’uno dei più famosi Dialoghi, era un matematico). Forse si potrebbe anche capire perché la teoria eliocentrica, proposta da Aristarco di Samo nel III secolo a. C., cadde nel dimenticatoio con l’avvento del Cristianesimo (quando poteva capitare che una donna di altissimo livello intellettuale, Ipazia, fosse fatta a pezzi dal popolino inferocito, perché i matematici come lei erano considerati parenti del demonio); e nel dimenticatoio i preti avrebbero voluto lasciarcela, perché in conflitto con le Sacre Scritture, se è vero che il “De revolutionibus orbium coelestium” di Copernico rimase nell’ “Index librorum prohibitorum” di Santa Romana Chiesa fino al 1835.

Studiare meglio la Storia, quindi, ed estenderla a tutte le discipline. Migliorarne la didattica. Forse varrebbe la pena di rispolverare un’idea che fu proposta dal grande filologo e critico letterario Vittore Branca, fra il disinteresse generale. Un’idea di cui lo studioso, onestamente, non volle far sfoggio come di una sua intuizione, ricordando invece che era tradotta in pratica didattica nelle scuole del vecchio Impero Austro-Ungarico. Si tratta di questo: insegnare la Storia andando a ritroso, partendo cioè dall’oggi per scendere dal presente al passato. Forse in questo modo non capiterà più che si concludano gli studi superiori senza sapere nulla delle vicende storiche più recenti, quelle in cui siamo ancora immersi. E sicuramente si potrà capire meglio il presente, proprio perché la genesi nel passato dei problemi d’oggi risulterà molto più chiara. Forse risulterà un po’ più sacrificata la Storia antica, ma non è detto. Già ora è stata ridotta ai minimi termini. Se i programmi saranno ben svolti, da insegnanti padroni della materia e didatticamente ferrati, si salveranno anche le Guerre Puniche, l’Ellenismo, la Guerra del Peloponneso e le grandi civiltà del Vicino Oriente (senza dimenticare India, Cina e Nuovo Mondo).

Ci vuole coraggio. Sarebbe una vera e propria rivoluzione copernicana. Non pare però che l’attuale classe insegnante abbia voglia di rimettersi in gioco, scuotendosi di dosso le pigre consuetudini didattiche di cui è erede. Lo stesso si potrebbe dire a proposito delle lingue cosiddette morte, sempre più indigeste agli studenti perché insegnate con un metodo didattico fallimentare. Bisognerebbe tornare all’antico, recuperare il metodo di Erasmo da Rotterdam. Ma qui il discorso si farebbe troppo lungo.

Finché la scuola sarà monopolio di Stato e le cosiddette scuole private saranno soltanto, come ora, scuola statale data in appalto, dove i programmi devono uniformarsi alle direttive ministeriali, non c’è speranza. Via il valore legale dei titoli di studio! Via l’obbligatorietà dei programmi ministeriali! Le scuole siano in competizione fra loro, ciascuna proponga i programmi che ritiene migliori, e adotti i metodi didattici che preferisce. Insegnanti ben pagati e selezionati con criteri feroci, così da avere il meglio. Borse di studio per capaci e meritevoli, finanziate da donazioni private. Ancora una volta, viva l’anarchia!

Giovanni Tenorio

Libertino

Un pensiero su “Il tema di Educazione Fisica (quasi una proposta)

  • Ricordo che, quando ho sostenuto l’esame di maturità, tutti i compagni di classe temevano il tema di Storia perché il professore si era soffermato tutto l’anno su un unico argomento, la “Questione meridionale”, lo stesso della sua tesi di laurea 25 anni prima. Aveva fatto firmare i programmi ai rappresentanti approfittando di un giorno di festa tra un pasticcino e una cocacola. Mi risulta (voci di… corridoio, sono passati molti anni) che la frequenza con cui la materia “Topografia” (geometri) veniva scelta come argomento d’esame, fosse inferiore alle attese statistiche perché, negli istituti tecnici del Sud, non si usava fare l’appello al pomeriggio, e Topografia richiede lezioni lunghe (a causa delle esercitazioni pratiche sul campo) che si estendono oltre la mattinata.

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