Il sommo pontefice John Maynard Keynes
Una volta, molto tempo fa, mezzo secolo o quasi, l’inflazione era un bene di Dio, benedetto dal sommo pontefice John Maynard Keynes. Se i prezzi salgono, vuol dire che l’economia tira! Facciamo finta di recuperare il potere d’ acquisto delle buste paga con l’indicizzazione del costo della vita, tanto poi l’inflazione rimangia il beneficio, come un cane che si morde la coda, mentre i debiti, quelli pubblici in primis, pur rimanendo nominalmente identici, di fatto diventano sempre più piccoli. Che cuccagna! Si ruba fingendo d’essere virtuosi. A un certo punto però il gioco s’è inceppato, dopo la famosa crisi del petrolio all’inizio degli anni Settanta dello scorso secolo. Inflazione alle stelle, accompagnata da stagnazione. Si coniò un nuovo mostro lessicale: stagflazione (giuro che se trovo chi l’ha inventato lo faccio a pezzi!). Oggi, in piena crisi – sì, in piena crisi, vedrete i bei contraccolpi del rallentamento cinese!- la bestia nera è tornata ad essere la deflazione, e tutti invocano di nuovo l’inflazione, che, non si sa bene perché, va salutata come una pioggia benefica se si mantiene intorno al 2% annuo. Ecco allora che le befane, i draghignazzi e i loro compari continuano a pompare denaro fasullo nel sistema monetario: inflazione, inflazione. Ma quella stenta a comparire. O meglio: non compare nei prezzi al consumo, ma andate a vedere quel che capita nelle borse e nella speculazione finanziaria, dove si gonfiano le bolle che poi esplodono come bombe. I signori economisti keynesiani si strappano i capelli perché anche il calo del prezzo del petrolio ha conseguenze deflative, con tanti saluti all’inflazione, intesa come crescita dei prezzi al consumo. Ma come? Non è stato proprio il rincaro del greggio a mandare in crisi l’economia negli anni Settanta? E non si continua a dire che il petrolio a buon mercato, abbassando i costi di produzione, dovrebbe essere un incentivo alla ripresa? A che gioco giochiamo? Non capisco! O forse capisco fin troppo: quelli conoscono i più raffinati algoritmi, ma non sanno qual è la differenza fra il segno più e il segno meno. Per non parlare del principio di non contraddizione.