Don Giovanni

Dispotismo illuminato e democratiche primavere

Cari amici, permettetemi di fare un po’ di Storia controfattuale. Come sarebbero andate le cose a Waterloo se Napoleone non fosse stato colto da un attacco di emorroidi, che gli impedì di montare a cavallo e controllare dall’alto il campo di battaglia, come invece Wellington poteva fare comodamente, facendosi scarrozzare di qua e di là? Sciocchezze, dirà qualcuno, se le cose sono andate in un certo modo, è perché dovevano andare così. Non sono d’accordo. Questo è fatalismo. O, se volete, storicismo: la Storia va in un certo senso perché sospinta da un vento che la porta. Metafisica pura. Ma non divaghiamo. Napoleone mi importa poco. Penso a Hitler. Che cosa sarebbe successo se subito dopo il suo trionfo elettorale nel 1933 una congiura militare l’avesse destituito, infischiandosi della “volontà popolare”, e avesse garantito il rispetto delle libertà che il regime nazista si apprestava a smantellare una dopo l’altra, nonché la pari dignità di ebrei, zingari e omosessuali davanti alla legge? Impossibile, direte, ormai tutti gli apparati dello Stato, e in particolare forze di polizia e forze armate, erano orientati in senso filonazista. Lo so. La mia è una semplice ipotesi che mi serve per proporvi una domanda provocatoria: sarebbe stata moralmente condannabile una congiura, qualora si fosse potuta ordire e attuare con successo, per il solo fatto che contraddiceva la “volontà” del “popolo” quale risultava da una consultazione elettorale del tutto conforme alle regole del gioco? Qualcuno oserebbe dire che bisognava aspettare le elezioni successive, quando il “popolo”, ravvedutosi, avrebbe potuto sconfiggere il partito nazista e scegliere altri governanti; e che solo nel caso in cui Hitler avesse soppresso il suffragio democratico – come di fatto fece, ma non subito – sarebbe stato lecito esautorarlo usando altri mezzi? Penso che, sapendo come sono andate le cose, nessuno lo direbbe. Però, se le cose fossero andate come nella mia ipotesi accademica, e gli ebrei non fossero stati discriminati e poi gassati, e la Seconda Guerra Mondiale non fosse scoppiata, forse qualche storico d’oggi avrebbe qualcosa da ridire su un complotto militare che sbalzò di sella un uomo politico forse pericoloso per le sue idee, ma pur sempre designato dal popolo, che l’avrebbe potuto bocciare, ravvedendosi, alla successiva chiamata elettorale…

Facciamo un salto di decenni e cambiamo scenario, passando dalla Storia controfattuale alla cronaca vera, quella destinata a diventare domani oggetto di studio degli storici di professione e a finire sui libri di testo delle scuole, come le Guerre Puniche o l’incidente di Fascioda. Nella Turchia di oggi un presidente democraticamente eletto assume atteggiamenti sempre più autoritari e tirannici, limita la libertà di stampa, imprigiona a decine i giornalisti,strizza l’occhio in alcuni momenti all’estremismo islamista, avvia la sua politica su  un binario di fondamentalismo religioso in netta contraddizione con tutta la Storia più recente del suo Paese, che riuscì a salvarsi dopo il disastro della Prima Guerra Mondiale grazie alle riforme in senso filo-occidentale e laicista del “padre della patria” Kemal Atatürk. Un maldestro complotto militare cerca di esautorarlo, trovandosi subito in gravi difficoltà grazie a un’inaspettata capacità di reazione delle forze governative sostenute dal lealismo delle masse popolari più rumorose. Per parecchie ore il mondo sta col fiato sospeso. Nessun capo di Stato si sbilancia. Meglio stare a vedere chi vincerà. Solo dopo che la vittoria del governo “legittimo” appare netta e i congiurati sconfitti, arriva ai vincitori il sostegno e la solidarietà di tutto il mondo “democratico”. Nessuno può dire che cosa avrebbero fatto i militari se avessero vinto loro. Forse si sarebbero macchiati di violenze, forse non avrebbero esitato a ricorrere ai processi sommari, alle fucilazioni, e ad altri mezzi spicci, instaurando una dittatura. Ma non è detto. La Turchia moderna ha subito altri colpi di Stato militari, nel 1960, nel 1980 e nel 1997, ma è sempre rientrata nell’alveo del sistema liberal-democratico, pur con mille anomalie. E’ invece ben visibile, e tutt’altro che controfattuale, quel che sta facendo il governo “legittimo” contro gli sconfitti ribelli:autorizzazione di linciaggi da parte della folla, bastonature, esposizione alla gogna, minacce di processi sommari, dichiarazioni di voler reintrodurre la pena di morte. Sicuramente si avrà un nuovo giro di vite ai danni delle libertà liberali, la stampa sarà sottoposta a più stretta censura, i giornalisti verranno costretti a diventare cani del regime, il fondamentalismo religioso celebrerà il suo trionfo. Eppure qualcuno dice che i militari hanno sbagliato, bisognava aspettare le prossime elezioni*. Solo il “popolo” può decidere se mandare a casa chi l’ha governato. E se il “popolo” è reazionario, guerrafondaio, razzista, bigotto? Ha sempre ragione. Ecco a che cosa porta il fondamentalismo democratico, che è a suo modo anch’esso un fondamentalismo religioso. E’ la religione del “popolo sovrano”, quella che nasce con Rousseau, celebra il suo rovinoso trionfo nella Rivoluzione Francese e viene impropriamente ascritta al pensiero dell’Illuminismo, mentre è piuttosto la mela avvelenata dell’incipiente Romanticismo. Dal quale sarebbero scaturiti tutti i nazionalismi e tutte le ideologie razziste e Blut und Boden che hanno deliziato i secoli a noi più vicini. In somma, il “popolo” non si tocca, anche quando è razzista, fascista o nazista. Anche quando vuole identificare legge civile e sharia, anche quando vuole accoppare gli infedeli, mettere al muro i culattoni, multare i puttanieri. Anche quando vuol cacciare i terroni o gli extracomunitari. Anche quando vuol tornare alla moneta nazionale perché la banca centrale sia autorizzata a stampare tutta la moneta falsa che vuole. Guardate che bel sistema quello svizzero, in cui i cittadini hanno sempre l’ultima parola, vengono consultati anche per decidere se allestire o no un nuovo pisciatoio pubblico.

Più che con la democrazia l’Illuminismo ha che fare con il cosiddetto “dispotismo illuminato”, di cui Voltaire vide il modello in Pietro il Grande di Russia; un modello che sarebbe stato fatto proprio dalla zarina Caterina II, da Federico II di Prussia, dall’impero asburgico di Maria Teresa, Giuseppe II, Leopoldo II, nonché dai sovrani di Svezia e di Danimarca. Non è il caso di farne un mito. Era un sistema paternalistico, in cui il pensiero dei “philosophes” veniva ascoltato e tradotto in pratica forse più come “instrumentum regni” per consolidare il potere che per intima apertura ai princìpi liberali. Ma non si può negare che i risultati ci furono, e non da poco. Non si potrà mai elogiare abbastanza Leopoldo di Toscana (futuro imperatore Leopoldo II) per essere stato il primo ad abolire la pena di morte. Sotto Maria Teresa e i suoi successori la Lombardia visse uno dei suoi momenti più felici di tutti i tempi. Milano accolse il mio papà Mozart ancor giovanissimo e gli tributò onori che nella natia Salisburgo neppur si sognava. Lì compose Opere, quartetti. Basterebbe questo a render felice un momento storico non privo di altre glorie. Poi arrivarono “quij prepotentoni de Frances”, per dirla con Carlo Porta**. E fu un’altra storia…

In un certo senso Kemal Atatürk compì un’operazione affine a quella dei più accorti monarchi europei all’epoca del dispotismo illuminato. Come i monarchi europei avevano tentato, con successo anche se fra mille difficoltà, di ridurre il potere politico della Chiesa limitando le interferenze dei precetti religiosi nella legislazione civile e abolendo i privilegi del clero, così in Turchia, pur mantenendosi l’Islamismo come religione di Stato, la sfera civile fu separata da quella religiosa. La legislazione civile si andò sempre più differenziando dalle norme religiose, acquisendo una sua autonomia. Il clero musulmano fu messo sotto controllo (una politica che ricorda, fatte le debite differenze, il cosiddetto”giuseppinismo” nell’impero asburgico), come festa settimanale fu introdotta la domenica, si riconobbe la parità dei sessi, si permise il consumo e il commercio delle bevande alcoliche, furono abrogate le norme penali contro l’omosessualità. Come a suo tempo aveva fatto Pietro il Grande,si arrivò addirittura a proibire certi tipi di abbigliamento. Fu introdotto anche per le donne l’abbigliamento europeo, arrivando a proibire l’uso del velo islamico (ma anche del fez e del turbante, e dei baffoni “alla turca” per i funzionari di Stato). Una politica di avvicinamento all’Occidente, in somma, di cui l’introduzione del suffragio universale e del sistema metrico decimale possono esser considerati emblemi significativi.

Anche i sistemi dittatoriali che hanno retto molti Paesi musulmani dopo la Seconda guerra Mondiale hanno battuto una strada abbastanza simile, benché sotto il segno di princìpi e atteggiamenti fortemente illiberali. Si pensi a Nasser e poi a Mubarak in Egitto, allo scià Reza Pahlevi in Iran, a Gheddafi in Libia, a Saddam Hussein in Iraq: ciascuno con i suoi errori e magari con  le sue pazzie ha cercato in qualche modo di ammodernare la società islamica, con gli occhi rivolti all’Occidente anche quando si proclamava di volersi opporre alle potenze ex-coloniali. Lo stesso si dica per regimi come quello dell’Algeria e della Tunisia, nominalmente repubbliche democratiche, di fatto governi molto spesso “tutelati” da militari e connotati da tratti fortemente illiberali. Quando tali regimi cominciarono a scricchiolare fino a dissolversi, tutti si compiacquero di questa “primavera araba”, che finalmente si apriva alla democrazia. Ma le disillusioni arrivarono subito. La democrazia portava il fondamentalismo, la ripresa di quell’islamismo radicale che il processo di occidentalizzazione dei precedenti regimi autoritari  era riuscito a mettere momentaneamente ai margini, ma non a cancellare. Ecco nascere movimenti come quello dei Fratelli Musulmani in Egitto, o come il Fronte Islamico di Salvezza che in Algeria riusciva a vincere le elezioni. Un grande preludio a questo dirompente fenomeno era stata la rivoluzione iraniana che nel 1980 aveva abbattuto il regime dei Pahlevi e portato alla fondazione di una repubblica islamica di osservanza sciita, fortemente condizionata dal’elemento religioso. Quelli che oggi parlano di Erdogan, in Turchia, come del nuovo Atatürk dicono una grande sciocchezza: è semmai l’anti-Atatürk, che vuole riportare il suo Paese al fondamentalismo, proprio sulla scia delle “primavere arabe”.

In somma, il dispotismo illuminato nel mondo islamico è fallito, come è dimostrato dal fatto che ogni tentativo di portare in quei Paesi la liberaldemocrazia occidentale ha avuto conseguenze disastrose. Si pensi a quel che è diventato l’Iraq dopo la caduta di Saddam Hussein: un dittatore feroce, sanguinario, che però ebbe il merito di tener sotto controllo il fondamentalismo islamista. Gli Stati Uniti lo tennero buono finché gli faceva comodo; poi lo abbatterono, con le false accuse di possedere armi di distruzione di massa e fomentare il terrorismo: che invece, in quei territori, è proliferato dopo la sua caduta, anche come rivalsa degli elementi lealisti, sunniti, messi ai margini dai nuovi governanti “democratici” sciiti. Risultato: la nascita del Califfato dell’ISIS.
Perché questo fallimento? Io credo che la causa fondamentale sia da ascrivere proprio alla religione. Piaccia o non piaccia, il dio degli islamici non è il Padre predicato da Cristo. Rispetto al Cristianesimo l’Islamismo è un passo indietro, non un passo avanti, un ritorno, peggiorato, al dio geloso e crudele dell’Antico Testamento, quello che ordina di passare a fil di spada i nemici, donne e bambini compresi. A differenza di Cristo, che prende le distanze da Cesare negandone la legittimità, Maometto predica una fede in cui legge divina e legge terrena sono la stessa cosa, e il proselitismo è atto politico, di cui la guerra contro gli infedeli è strumento legittimo, anzi, santo. Com’è possibile, con un tale sostrato, sedimentatosi nell’anima dei popoli col passare di secoli e secoli, attuare un dispotismo illuminato  che imponga le ragioni di una moderna società laica salvaguardando il nocciolo autentico della fede religiosa? Quando il Cristianesimo ha assunto connotazioni politiche ha rinnegato i suoi fondamenti, e forse il dispotismo illuminato ha avuto qualche successo in paesi profondamente religiosi perché anche in ambito filosofico e teologico non mancavano movimenti che miravano a svincolare la fede dai suoi rapporti perversi con il potere dei re di questo mondo. Nel mondo islamico tutto questo è impensabile. La sharia non può che diventare legge dello Stato, altrimenti la fede nella religione di Allah viene menomata proprio in ciò che ha di più distintivo.

“Tantum religio potuit suadere malorum”, dice Lucrezio, seguace del mio maestro Epicuro***. Proprio così. In omaggio a un dio crudele un padre può scannare la figlia su un altare, come fece Agamennone con Ifigenia, perché la flotta achea potesse partire per la guerra di Troia. E quando un dio crudele ordina la guerra santa contro gli infedeli, non c’è dispotismo illuminato che tenga. E il biancovestito che siede indegnamente sul trono di Pietro ha avuto il becco di dire che, tutto sommato, anche il proselitismo predicato da Cristo non è molto diverso. Papi puttanieri ne abbiamo avuti, simoniaci anche, assassini pure. Bestemmiatori mai. Ci voleva un gesuita…

*  Vedi l’articolo di fondo del “Corriere della sera” di martedì 19 luglio, dove si riporta un’opinione in questo senso del premio Nobel Orhan Pamuk, condivisa dall’autore, Paolo Mieli.
 ** Carlo Porta, Desgrazzi de Giovannin bongee: “De già, lustrissem,che semm sul descors/ de quij prepotentoni de Frances..
 ***Lucrezio, De rerum natura, I,101.

Giovanni Tenorio

Libertino

Un pensiero su “Dispotismo illuminato e democratiche primavere

  • Alessandro Colla

    Anche in Italia, a forza di “aspettare le prossime elezioni” si va sempre verso maggiori restrizioni di quella poca libertà personale ufficialmente vigente. Il biancofiore d’oltretevere getta involontariamente la maschera. Vuole imitare l’altrui proselitismo per arrivare a un’Italia confessionale anche sotto l’aspetto istituzionale, senza separazione tra le istituzioni laiche e quelle ecclesiastiche. In parte glielo consente l’operato dei padri costituenti, con l’articolo sette della carta fondamentale (o fondamentalista?). In altra parte il consenso viene da quei beoti che un atteggiamento così apertamente retrogrado lo qualificano come progressista. Naturalmente “i moderati” stanno a guardare. Forse per candidarsi al consiglio comunale di Arcore.

I commenti sono chiusi.