Cari amici, questa proprio non me l’aspettavo! Un libertino come me, spregiatore della morale corrente, rotto a ogni atto di libidine, nemico di tutti i bigottismi religiosi o laici che siano, ha dovuto subire, nella sua vita immortale, le più aspre censure da parte di preti, politici, filosofi, intellettuali, giù giù fino alle anime plebee che sanno solo biascicare rosari. Tutto è cominciato nell’Ottocento, a dire il vero, perché il Settecento gaudente e lussurioso, a ben vedere, mi ha voluto bene anche quando -benedetta ipocrisia! – fingeva di condannare le mie gesta, perpetuando la fanfaluca della punizione divina da me subìta ad opera del Commendatore, anzi della sua statua. L’Ottocento è un secolo di bigottoni. Dispiace dirlo, ma anche il grande Beethoven aveva qualcosa da ridire sulla presunta immoralità di certe Opere del mio grande papà. Eh, certo, a lui piacevano le eroiche Leonore emblema dell’amore coniugale: Dio ne scampi e liberi! Ne so qualcosa io dell’amore coniugale, per averlo sperimentato con quell’insopportabile, tediosa Donna Elvira, alla quale ebbi la dabbenaggine di coniugarmi. Ma lasciamo da parte queste rievocazioni tristi. L’Ottocento, dicevo. Sapete che cosa mi capitò quando mi presentai a Milano, per la prima volta, alla Scala, nell’anno 1814? Cose da non credere! Basta andare a leggere il libretto, malamente sconciato (povero paparino Da Ponte!) che in quell’occasione la tipografia di Giacomo Pirola, proprio di fronte al teatro, diede alle stampe. Ne esiste ancora qualche copia, a perenne infamia di chi si macchiò di simili scempi. Vi faccio solo qualche esempio (senza parlare del finale tagliato e di tanti altri passi mandati alla malora).”Come tra voi passata è la faccenda” diventa “i torti miei e di furor m’accenda”, “come le donne, a forza di denari”,diventa “a forza di regali e di denari”, “tu corri ad abbracciarla” diventa “tu corri ad essa incontro”. Che sciocchi quei censori francesi, a non accorgersi che quei versi da educanda, da loro così sgangheratamente manipolati, sono nulla di fronte a tante allusioni presenti nel testo, quelle sì maliziose, tali da accendere le più lascive fantasie! Avete presente l’aria di Zerlina nell’Atto II? Che cosa dice la furbissima contadinella a quello zoticone di Masetto?: “Vedrai carino, se sei buonino, che bel rimedio ti voglio dar…E’ un certo balsamo che porto addosso…” Tutti credono di aver capito, Masetto più di ogni altro. E invece, ecco lo sberleffo finale: “Sentilo battere, sentilo battere…” Il cuore! Se lo tenga Masetto! A me Zerlina stava dando qualcosa d’altro, se non fosse intervenuta quella rompiscatole di Donna Elvira!.Ma c’è di peggio. Sapete che cosa diventa, in quella turpe stampa, il verso “E’ aperto a tutti quanti, viva la libertà?”, il più grande inno libertario e libertino che, grazie alla musica di Mozart, sia stato scritto ( altro che l’Inno alla gioia di Beethoven!). Diventa “viva la società!” Incredibile! Penso che in ogni epoca si sia inneggiato a tutto, alle cose più belle e alle cose più ignobili, ma che a nessuno mai sia venuto in mente di prendere il bicchiere e brindare alla società! Per fortuna i censori erano francesi, l’Austria “reazionaria” non era ancora calata a Milano in seguito alle decisioni del Congresso di Vienna. Gli austriaci della Restaurazione potevano anche aver paura della libertà, ma i francesi, che in nome della libertà avevano tagliato la testa a Luigi XVI e Maria Antonietta, e sempre in nome della libertà erano arrivati in Italia con Napoleone… Il quale, sempre in nome della libertà, rubava a man bassa le opere d’arte del Bel Paese e rispondeva col piombo delle fucilazioni a chi della libertà francese proprio non ne voleva sapere. Sapete che si cantava a Milano al tempo della dominazione francese? “Liberté, Fraternité, Egalité, i frances vann in carrozza e nun a pé!”
Questo avveniva a inizio Ottocento. Ma poi… Eh no, cari signori, nell’anno di grazia 2016, nella liberalissima e democraticissima Germania Federale avviene ben di peggio. La più atroce offesa che mai mi si potesse infliggere. Nell’Opera mozartiana di cui sono protagonista, attualmente in cartellone alla Staatsoper dfi Berlino, sapete come hanno sconciato l’Aria del Catalogo cantata dal mio fedele Leporello? Laddove si dice che in Turchia ne ho sedotte novantuna si cancella tutto e si sostiene che le ho sedotte in Persia. Ma vogliamo scherzare? La mia avventura turca è fra le più encomiabili della mia carriera di libertino. Pensate: io ho dato, in quell’occasione, il più potente contributo all’emancipazione della donna! Quelle 91 graziosissime fanciulle mi furono assai grate: ero riuscito a strapparle alla schiavitù maschilista dei padri e dei mariti, che le tenevano segregate nelle loro case o nei loro serragli, costringendole, quando uscivano di casa, sempre accompagnate da un maschiaccio, a coprirsi da capo a piedi, nascondendo il volto. Con quale voluttà mi si sono concesse! Quale senso di liberazione hanno provato! Sono state loro a sedurre me! Costrette a una vita di mortificazione dei sensi, mi hanno donato tutte se stesse, facendomi provare un piacere quale giammai avevo gustato , né mai più gusterò. La modernizzazione della Turchia è cominciata con me: altro che Kemal Pascià detto Atatürk!
Pare che l’ordine di sconciare il testo in quel modo sia arrivato nientemeno che dal governo . Brava Angela Merkel! Voglio vedere se, fervente wagneriana qual sei, avresti il coraggio di sconciare allo stesso modo un’opera del tuo amato Wagner! Avresti paura che possa venir di notte a tirarti i piedi! Capisco le tue ragioni: non vuoi guastare i tuoi rapporti con la Turchia. Se ad Erdogan saltasse la mosca al naso, manderebbe a carte quarantotto il recente accordo grazie al quale si impegna a trattenere entro i suoi confini il gigantesco flusso di disperati che vogliono migrare verso la ricca Germania. Sarebbe un bel disastro, alle prossime elezioni! Il ,partito xenofobo “Alternative für Deutschland farebbe il pieno di voti. Realpolitik, quindi, Machiavelli docet. No, cara signora. Che vuole che gliene importi a Erdogan di me e del capolavoro di Mozart? Se va bene, quello in musica è ancor più ignorante di papa Francesco, il che è tutto dire. E, ammesso e non concesso che qualche volta, per motivi di rappresentanza, entri in un teatro d’Opera dove si rappresentano le mie gesta, che può capire di quel breve lacerto in italiano “in Tuchia novantuna?” Ci scommetto che sfugge anche agli spettatori di lingua tedesca, a dispetto dei sottotitoli. Fateci caso: durante le recite di “Don Giovanni” in area tedesca, alle battute spiritose sono gli spettatori italiani a ridere, perché i tedeschi non le capiscono. Lo stesso, alla rovescia, capita quando si rappresenta in Italia la “Zauberflöte”: tedeschi che ridono e italiani impassibili.
Ma allora, era proprio il caso di infliggermi una così grave offesa? Anche se vecchia e un po’ befana, avrei avuto il piacere, fino a ieri, di aggiungere la Merkel al mio catalogo, perché mi era sempre sembrata una persona intelligente e colta; così come ho ammirato che sia scesa più d’una volta a Milano, in privato, per ascoltare alla Scala il suo caro Wagner, senza tirarsi dietro quegli stuoli di gorilla che proteggono le sacre vite delle italiche autorità. Devo ricredermi, purtroppo. Peggio del governo di Renzi, che provvide, scaricando poi la colpa su poveri funzionari di quarto o quinto rango, a velare le nudità di celebri opere d’arte per non offendere il pudore del presidente iraniano Hassan Rouani, in visita in Italia. Ma Renzi è quel ragazzotto che è, uscito dalle sagrestie cattoliche e dalle schiere dei lupetti. Non c’è da stupirsi che abbia calcato le orme di Daniele Ricciarelli da Volterra, passato alla Storia col nomignolo di “Braghettone” per aver coperto con foglie di fico le nudità della Cappella Sistina, in ossequio alle norme del Concilio di Trento che proibivano il nudo nell’arte sacra La Merkel invece è una fiera luterana… o almeno, così credevo. Che delusione! Fuori dal catalogo!
Si comincia con censurare una porzione di testo, poi si passa a pretendere che non venga messo in scena Il Ratto dal Serraglio. Quindi si impedisce la rappresentazione del Maometto di Voltaire, il diritto del pubblico a vedere i dipinti di Giovanni da Modena a San Petronio in quel di Bologna, le varie interpretazioni pittoriche del giudizio universale. Di conseguenza si censura anche Dante. Ma se si censura Dante bisogna vietare anche l’allestimento di Gianni Schicchi, in fondo è un suo personaggio. Quindi, per non offendere la religiosità altrui, evitiamo la produzione dell’Idomeneo. Non si sa mai, tratta di divinità pagane e ha il testo scritto da un abate. E se si dice di no a un abate bisogna dire no anche ad argomenti che abbiano a che fare con le abazie et similia. Via Suor Angelica, allora, via La Forza del Destino, via i poulenchiani Dialoghi delle Carmelitane, via Parsifal, basta con Vivaldi perché era un sacerdote cattolico, anneriamo i corali luterani, La Grande Pasqua Russa… Un momento. Se abbiamo tolto Suor Angelica e Gianni Schicchi, dobbiamo togliere anche Il Tabarro; non fa forse parte del Trittico? Certo, occorrerebbe una Lepanto culturale ma non credo che Erdogan sia musicalmente più ignorante dell’attuale reggitore del pontificato romano. E’ impossibile. E’ più facile che Ataturk conoscesse i testi di Da Ponte.
Mi ero, per così dire, assentato perché avevo visto che i commenti erano stati cancellati; pensavo non fosse più possibile inviarli, mi fa piacere che non sia così. Che ne pensano Don giovanni e Leporello dell’ultima programmazione stagionale del Costanzi di Roma?
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La ringrazio per la domanda, che ho riferito a Don Giovanni.
Io non impugno mai quel che non so. Il cartellone del Teatro dell’Opera di Roma è ambizioso e, a giudicare dalle intenzioni proclamate da chi l’ha allestito, degno di essere preso in considerazione. Però io da tempo non sorvolo Roma. L’aria del Giubileo mi è indigesta, i miasmi che emanano dalla sede presidenziale, da quella governativa e dai palazzacci dei ministeri, nonché dei falsatori di moneta, è così mefitica da risultarmi asfissiante. Ho dichiarato guerra al Costanzi da quando, come a Milano qualche lustro prima, con stupidità tutta italica, hanno costretto Riccardo Muti ad andarsene. La Scala da allora è scivolata ben in basso. Del Costanzi non so che dire: non ho elementi per giudicare. Rimpiango, in quella sala, il meraviglioso “Macbeth” diretto da Muti, che ripristinava il finale della prima versione con risultati eccezionali. Molti criticarono la regia di Peter Stein,che invece a me piacque. Oggi sovrintendenti e direttori artistici amano le regie d’avanguardia, e chiamano ad allestire le messinscene personaggi che magari si sono resi famosi in tutto il modo, grazie alle loro stravaganze, ma che di musica capiscono poco o niente. Una prova irrefutabile fra tutte: è invalso il vezzo di aprire il sipario all’inizio delle ouvertures o dei preludi, quando ci sono, riempiendo la scena, per tutta la loro durata, di azioni d’ogni genere, spesso incongrue, velleitarie, di dubbio gusto. No, il sipario durante le introduzioni orchestrali deve rimanere ben chiuso, la vera e propria azione scenica incomincia dopo! Altrimenti si commette una sgrammaticatura, musicale e drammaturgica insieme. Buona parte della critica cialtrona incensa certe regie demenziali, spesso “attualizzanti”, credendo di essere aggiornata. Ricordo che nei primi anni Sessanta dello scorso secolo a Milano si mise in scena un “Troilo e Cressida” di Shakespeare in abiti moderni, con scene di guerra a suon di cannonate e mitragliate. A un certo punto si pisciava in scena. E’ passato più di mezzo secolo. Non c’è più niente da trasgredire, tutto è già stato fatto; a vedere certi “esperimenti” non ci si irrita più, si sbadiglia. Si crede in questo modo di attirare il pubblico giovane. Errore. E’ come mostrare a un bambino un quadro di Mirò, nell’illusione che lo possa apprezzare vedendolo tanto simile ai propri maldestri tentativi grafici: ti dice che è un pasticcio. Come nella fiaba dei vestiti nuovi dell’imperatore:”Il re è nudo!”
Mi ricordo una Tosca ambientata in pieno fascismo. A un certo punto un signore in camicia nera annuncia “Bonaparte vincitor”. Risate dal loggione ma il più estremista dei miei compagni di sventura si esibisce in una sonora pernacchia. Volgare ma comprensibile. Proprio il pubblico nuovo che si dice di voler attrarre è infastidito da queste false sperimentazioni. Così, dopo la prima volta, non viene più. Quello vecchio smette di andare perché comprensibilmente stufo di assistere a pacchianate. Si vendono sempre meno biglietti ma tanto ci sono le sovvenzioni pubbliche, che cosa importa a certi sedicenti registi della divulgazione? Uno di loro, Castiglione, pavimenta il palcoscenico a forma di scacchiera e i personaggi sono fossilizzati nel proprio riquadro. Per fortuna l’interprete di donna Elvira decide autonomamente di muoversi, in barba alle indicazioni registiche. Se il sipario rimane chiuso nelle introduzioni, il regista viene apostrofato come conservatore dalla critica superficiale e inconcludente. Allora, per essere “moderni” e originali, recitiamo volutamente male. Così avremo l’illusione di aver messo in scena qualcosa di diverso. Illusione perché oggi, in teatro, cinema, radio e televisione, si recita male inconsapevolmente. Certe scenografie, poi, portano a preferire i quadri di Joan Mirò. Almeno lui non pretende di essere didascalico. Più che l’avanguardia, sovrintendenti e direttori artistici amano la lottizzazione politica che li colloca in quei ruoli senza alcun merito né capacità. In questo sono la retroguardia partitocratica con aggiunta di socialismo reale negli allestimenti. Non il wagneriano teatro totale ma teatro totalitario.