Democrazia, democrazia, quanti delitti si commettono nel tuo nome!
Sono stato fin troppo facile profeta. Avevo previsto che il referendum svizzero contro la riserva frazionaria sarebbe andato incontro a una sconfitta, e così è stato. Una sconfitta ancor più sonora di quanto ci si sarebbe potuto aspettare. Non bisognava essere geni per immaginarlo. La maggior parte della gente non sa nulla della riserva frazionaria ed è ben lungi dal volerne sapere qualcosa: anche se si tratta di un meccanismo perverso che ci tocca tutti da vicino, andando a beneficio soltanto degli gnomi che reggono il sistema bancario e finanziario mondiale. Il Commendatore, se fosse qui, sarebbe un fautore della riserva frazionaria. Per fortuna l’ho mandato nel mondo dei più con un bel colpo secco. L’ha voluto, suo danno.
A leggere sui giornali il resoconto della vicenda, da una parte mi vien da ridere, dall’altra mi salta la mosca al naso. Mi vien da ridere perché ancora una volta si dice che il popolo svizzero ha deciso in un certo modo. Il popolo svizzero non ha deciso un bel niente. Andiamo a vedere i dati. Alle urne si è presentato il 37% degli aventi diritto. Il 74% di questo 34% ha votato no. A casa mia il 74% del 37% è il 27,38%. Se questo è il popolo svizzero, io sono Guglielmo Tell, quel pistola che per aver fatto il gradasso rischiò di piantare una freccia nella cocuzza del figlioletto (io preferisco altre balestre e altri bersagli).
Mi salta la mosca al naso quando leggo che ha vinto la libertà di credito. Si parva licet componere magnis, mi viene in mente la frase che Maria Antonietta avrebbe pronunciato al momento di salire sul patibolo: “Libertà libertà, quanti delitti si commettono nel tuo nome!” Non è libertà mandare alla ghigliottina un nobile solo perché è nobile, e quindi – si pensa – obiettivamente traditore; non è libertà permettere di rubare. Mettiamo il caso che in un lontano Paese l’unica attività economica, assai lucrosa, sia la pirateria. A un certo punto qualcuno chiede di abolirla, per ragioni morali. Si indice un referendum. I governanti dichiarano che abolire la pirateria significherebbe ridurre il Paese sul lastrico, perché il meccanismo di produzione della ricchezza si bloccherebbe. Vero, ma il furto rimane un furto, anche se legalizzato. State pur sicuri, però, che il popolo ascolterebbe i governanti e continuerebbe a blandire i pirati.
Quella che alcuni economisti chiamano libertà di credito, in riferimento alla riserva frazionaria, è una forma di pirateria, come ho cercato di spiegare in un articolo precedente. La banca mi assicura di tenere il mio denaro in deposito, e invece lo presta. Poco importa che la legge autorizzi questo comportamento, facendone addirittura il cardine del sistema bancario. Non basta chiamare “deposito” quello che in realtà è un prestito per rendere moralmente legittima la riserva frazionaria. Anzi, è una truffa al quadrato, perché il depositante sprovveduto crede davvero di depositare, non di prestare. Crede che il denaro registrato sul suo conto corrente rimanga suo, mentre diventa proprietà della banca, che può disporne a piacimento, a patto di accantonarne un’esigua percentuale. Certo che l’abolizione di questo sistema provocherebbe un terremoto. Ma è un sistema marcio, che andrebbe spazzato via. Gli unici pirati apprezzabili, veri benefattori dell’umanità (come i contrabbandieri) sono quelli che rubano la cosiddetta “proprietà intellettuale”, blindata dal sistema dei brevetti. Infatti la “proprietà intellettuale” è un’altra invenzione truffaldina. Non è proprietà, come non è deposito il denaro assoggettato al regime di riserva frazionaria. Si gioca con le parole. Quando si dice che il sole sorge o tramonta, solo un imbecille può pensare davvero che sia il Sole a muoversi, e non la Terra. Ma quando si parla di deposito bancario o di proprietà intellettuale, i più sono convinti che tale terminologia vada presa alla lettera, e rispecchi realtà inconfutabili; mentre è soltanto copertura di imbrogli.
Una sessantina di anni fa, in un quartiere popolare della città di*** ,fu trovata morta, in seguito a colpo apoplettico, una vecchina, nel suo appartamento d’affitto. Dopo il triste evento il figlio, ispezionando l’abitazione, scoperse nella stufa, ben avvolto negli stracci, un consistente pacchetto di banconote da lire 10.000, che a quei tempi erano una bella somma. Si mise le mani nei capelli: “Che mentalità da trogloditi! Si diventa vecchi e imbecilli. Se mia madre avesse dato a me questi soldi, li avrei depositati al sicuro in banca! Qui glieli potevano rubare” .
Aveva ragione la vecchina. I ladri non svaligiano un appartamentino d’affitto dove vive una vecchina pensionata. Puntano alle ville, nei quartieri residenziali. Nessuno avrebbe rubato quelle banconote avvolte negli stracci. Se il figlio le avesse depositate in banca, le avrebbe consegnate direttamente nelle mani dei ladri.
Libertà di credito? Allora io posso mettere su una banca ed esercitare liberamente l’attività creditizia. Non me ne ero mai accorto, in Italia non mi pare sia così ma forse in Svizzera…
Le piattaforme di prestito telematico “money lending”, prenderanno sempre più piede ed anche i debitori individuali avranno un rating.
Sul caso della vecchina, il figlio non aveva tutti i torti. Sessanta anni fa i tempi erano diversi, la lira era la migliore moneta del mondo (oscar nel 59), depositarla su un qualche libretto di qualche benemerita Cassa di Risparmio o Buono Postale non sarebbe stata una cattiva idea. Tra l’altro i diecimila erano grandi come lenzuoli e molto scomodi da accantonare.
Sì, è vero, a quei tempi il risparmio godeva di maggiori tutele. A scuola ogni anno si celebrava la “giornata del risparmio”. Etica einaudiana, travolta dal trionfo di Keynes. Le Casse di Risparmio erano affidabili. Oggi Banca Etruria e delinquenti associati fregano le vecchine inducendole a sottoscrivere titoli rischiosi
Non era una moneta, in ogni caso la lira era stabile non per virtù nostre o di Einaudi, che per carità, che fosse persona per bene non si mette in discussione, ma tutto grazie a Bretton Woods ed il poco tempo che durò quell’accordo. Altri tempi.