Autore: Giovanni Tenorio

Don Giovanni

“La feccia, quando arriva al potere, si chiama popolo”

Napoleone Bonaparte non è certamente fra i personaggi storici che mi sono più simpatici. Odiando la guerra, non posso certo amare i generali, pur riconoscendone, quando è il caso, l’intelligenza e il coraggio, ma anche i delinquenti sono spesso intelligenti e coraggiosi. Se la sua fu vera gloria lo dicano gli storici. Devo riconoscere però che in qualche caso ha espresso considerazioni condivisibili.

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Don Giovanni

Scuola anarchica

Mi piace ricordare un aneddoto di parecchi decenni fa, protagonista un vecchio preside, inattaccabile per dedizione al servizio, onestà, rigore. Una volta gli venne assegnato dalle autorità scolastiche un insegnante di Latino che conosceva la lingua di Cicerone ancor meno dell’attuale papa regnante. Famiglie e alunni erano in subbuglio. Il preside si permise di chiamare l’insegnante nel suo ufficio, lo fece accomodare, gli squadernò davanti l’incipit del “De rerum natura” di Lucrezio (uno dei testi che rientravano nei programmi ministeriali): “Aeneadum genetrix hominum divomque voluptas”. “Legga e traduca!” “Ma lei non me lo può imporre, è comportamento illegale e antisindacale!” “Legga e traduca, le ho detto. Poi mi denunci. Dopo anni di onorato servizio ho le spalle abbastanza larghe”.

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Don Giovanni

Censura e risate

Crediamo di vivere in un’epoca innovativa e spregiudicata, in cui i vecchi tabù cadono uno dopo l’altro, inceneriti dal sole dell’avvenire. Invece sta ritornando in auge un bigottismo censorio da far invidia a quello di un tempo, che almeno poteva giustificarsi come coerente conseguenza della religione, della morale dominante, dell’indiscusso rispetto per l’autorità.

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Don Giovanni

Abbietta zingara

Leggo nel bel saggio “La democrazia non esiste” di Piergiorgio Odifreddi – del quale forse più avanti avremo occasione di parlare – che la famigerata “legge del taglione” (occhio per occhio, dente per dente), sancita ufficialmente per la prima volta in un testo scritto nel XVIII secolo a.C. in Mesopotamia ad opera di Hammurabi, sesto re della prima dinastia di Babilonia, lungi dall’essere una testimonianza di barbarie, costituisce invece un alto esempio di civiltà giuridica, in quanto introduce nel sistema penale quel principio di proporzionalità fra crimine e pena che da allora è rimasto tra i fondamenti imprescindibili di ogni ordinamento.

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