Don Giovanni

Odifreddi e la democrazia

Se qualcuno conserva una reminiscenza della vecchia analisi logica (si insegna ancora? Ne dubito), ricorderà che in  un’espressione come “Governo dle popolo” la specificazione “del popolo” può avere funzione soggettiva o oggettiva. Se è soggettiva, significa che il popolo governa; se è oggettiva, che qualcuno governa il popolo, o, detto in forma passiva, che il popolo è governato. Prendendo spunto da questa ambiguità, Piergiorgio Odifreddi sostiene che proprio di essa hanno abusato e continuano ad abusare i politici sedicenti democratici, interpretando in mala fede l’espressione “governo del popolo” nel suo valore oggettivo, per far credere che il loro governo sul popolo sia genuinamente conforme al significato vero di DEMOCRAZIA. Fermo restando che, senza dubbio alcuno, in tutti i regimi finora sperimentati (anche nella Atene del V secolo a. C., anche nell’attuale Svizzera tanto cara agli pseudo-libertari) il popolo non ha mai governato, ma ha sempre subito il governo di qualcuno che pretende di conoscerne i più reconditi bisogni, non sono d’accordo con l’illustre e simpatico professore guastafeste. Ai governanti non fa bisogno di interpretare in senso oggettivo l’espressione. A loro basta dire: governo in tuo nome, popolo mio, e quindi governi tu, o perché me ne hai conferito la  delega o perché so solo io qual è il bene comune, cioè di tutti, cioè del popolo. Anche Hitler e Mussolini governavano in nome del popolo (che li acclamava), senza bisogno di giochetti sintattico-semantici.

Inoltre, a voler essere precisi, “democrazia” non vuol dire “governo del popolo”, che si dovrebbe dire semmai “demarchia”, come si dice “oligarchia” per il governo di pochi, “monarchia”, per il governo di uno solo, “diarchia”, per il governo di due capi. Significa “potere (kratos) del popolo”, come “aristocrazia” potere dei migliori. Ma il termine “kratos”, in greco, ha una connotazione molto spesso deteriore. Implica molte volte la violenza e la sopraffazione. Nella prima scena del “Prometeo incatenato” di Eschilo (o a lui attribuito) accanto al semidio avvinto alle rupi del Caucaso siedono Kratos e Bia, Potere e Violenza, satelliti del tiranno Zeus. Democratia nella Atene dei tempi aurei, che inventò quel sistema politico, è termine usato in prevalenza da chi a quel sistema si oppone. I suoi fautori preferiscono altri termini, come “politeia” o “isonomia”.  E’ evidente allora che nessuno potrebbe proporre un significato oggettivo per “democrazia”, interpretandola come “potere sul popolo”. Non verrebbe accettato.

Chiariti i motivi di questo mio specifico dissenso, devo riconoscere che il saggio di Odifreddi “La democrazia non esiste – Critica matematica della ragione politica” è  leggibile con grande piacere  e altamente consigliabile a tutti. Come ha messo a nudo le incongruenze di ogni pensiero religioso, attaccando con strali acuti, in particolare, il Cristianesimo (ma non Cristo), così il Nostro demolisce la religione dello Stato, in particolare di quello sedicente democratico, che si avvale di una dogmatica e di una ritualità non dissimili da quelle di ogni Chiesa. Giustissimo. In particolare, dimostra la discrepanza fra i principi astratti della democrazia rappresentativa e la realtà effettuale di tutti i regimi che, in un modo o nell’altro, se la propongono come modello. Ad esempio, la divisione dei poteri (legislativo, esecutivo, giudiziario) che per Montesquieu dovrebbe essere netta, di fatto non esiste in nessun sistema. In Italia, ad esempio, i membri del Governo sono sempre, quasi tutti, anche membri del Parlamento; è il governo a proporre le leggi, mentre il Parlamento si limita ad approvarle. Il sistema elettorale può essere cambiato sempre su proposta del Governo, magari a colpi di voti di fiducia, come hanno tentato prima Berlusconi e poi Renzi. Le interferenze del potere giudiziario e nel potere giudiziario sono scandalose. Tranne qualche eccezione, la classe politica è dappertutto scadente: in politica ci vanno  peggiori. Quindi i risultati dell’azione legislativa e governativa sono di bassa lega. Altra grave pecca: nessun sistema elettorale registra il “partito degli astenuti” e quello delle schede bianche o nulle, mentre bisognerebbe tenerne conto, lasciando vuoti i seggi corrispondenti alle loro percentuali. Così talora capita che la presunta maggioranza legittimata a governare sia in realtà stata eletta da  una sparuta minoranza degli aventi diritto, e possa  essere resa ancor più consistente da meccanismi premiali, in nome della governabilità e a scapito della rappresentatività. Fin qui la critica è serrata e inoppugnabile, non allontanandosi molto da quella di chi in passato, come Panfilo Gentile, ha parlato di “democrazie mafiose”.

A questo punto però credo di cogliere, nel pensiero di Odifreddi, una contraddizione: dopo aver detto che la classe politica è scadente perché scadente è, in prevalenza  il livello morale, culturale e intellettuale degli elettori, si critica la democrazia rappresentativa proprio per il suo principio di delegare il potere legislativo a  rappresentanti, per di più senza vincolo di mandato. In Italia, ad esempio, il Parlamento, titolare del potere legislativo, è formato da rappresentanti scelti non direttamente dagli elettori, ma attraverso liste proposte dai partiti ( spesso “bloccate”, cioè senza possibilità di scelta fra i candidati proposti), quindi è lontano da popolo di almeno due gradini. Il governo poi è formato sulla base delle preferenze ricevute dai diversi partiti in lizza: chi ha ricevuto più consensi ha la supremazia, accedendo al potere su designazione del Presidente della Repubblica e grazie alla fiducia del Parlamento. I gradini diventano tre.  Per non parlare del Presidente della Repubblica, che viene eletto dai due rami del Parlamento in seduta comune: quarto  gradino. La sovranità popolare viene così progressivamente filtrata da una serie di consorterie e istituzioni (partiti, Parlamento, Governo, Presidente della Repubblica) che alla fine la rendono un semplice flatus vocis. Invece, a suo parere, un governo eletto direttamente dal popolo  dovrebbe curare semplicemente l’ordinaria amministrazione, mentre per le decisioni importanti bisognerebbe ricorrere a consultazioni referendarie. Ma non s’era detto che il popolo è bue? Tanto più che, con una stampa asservita ai “poteri forti” e le distorsioni dei cosiddetti ” social media”, è facile preda di manipolazioni pubblicitarie, come per l’acquisto di prodotti commerciali. Il modello vagheggiato sembra essere, almeno in parte, la Svizzera d’oggi (quella in cui il popolo può cacciare gli stranieri!) o ancora una volta la democrazia dell’antica Atene (quella che escludeva le donne, come la Svizzera fino al 1971; quella che a furor di popolo decretava lo sterminio degli abitanti di Mitilene, salvo ripensarci subito dopo, e mandare una seconda nave a raggiungere la prima con un contrordine). No, non ci siamo.

Altro appunto che vorrei fare a Odifreddi: la sua è una critica basata sulla logica (con le aporie che sono state già segnalate), molto meno sulla matematica, a dispetto delle promesse. Le pagine dedicate a quei pensatori che, attraverso la matematica, hanno dimostrato l’impossibilità della democrazia, come Condorcet nel Settecento, Amartya Sen e Arrow nel Novecento, sono scarse e fra le meno perspicue; il che sorprende in un divulgatore provetto come il Nostro, che ha il pregio, oggi assai raro, di scrivere bene e di essere un oratore affascinante, capace di parlare a braccio, senza fogli squadernati davanti. Specialmente il teorema di Arrow, quello del “dittatore”, è spiegato in modo affrettato e arruffato. Si tratta di un ragionamento difficile, indubbiamente; ma questa è una ragione di più per tentare di renderlo accessibile a un pubblico privo di conoscenze specialistiche, visto che infligge al dogma democratico una mazzata formidabile.Dove però il mio disaccordo diventa completo è nelle pagine in cui si liquida l’anarchia come utopistica e impossibile. Si riconosce che in fisica, in chimica  e nelle reti neurali abbiamo sistemi che si “autogovernano”, raggiungendo spontaneamente l’equilibrio senza bisogno di coordinamenti centralizzati. Si riconosce che il sistema di mercato è anarchico, in quanto attraverso la dinamica dei prezzi dà luogo a situazioni di equilibrio non programmate. Però subito dopo, citando di sfuggita Keynes (ipse dixit!), si afferma, senza alcuna prova, che il mercato, se lasciato a sé, non può impedire formazioni di monopoli e di oligopoli che, alla fine, ne snaturano la funzione, consentendo il costituirsi di centri di potere capaci di manipolazioni a proprio vantaggio.

Ma questo è il capitalismo, non il mercato! Quel capitalismo che si appoggia allo Stato per godere di privilegi, esclusive, incentivi, dazi, barriere doganali  e altre provvidenze (prima fra tutte la famigerata “proprietà intellettuale) a vantaggio dei produttori e a scapito dei consumatori. Subito dopo si dice che, storicamente, tutti i tentativi di eversione si sono risolti in una nuova oppressione, citando l’esempio della Rivoluzione Francese, conclusasi con il colpo di Stato del Bonaparte, del Quarantotto, sempre in Francia,  finito con la dittatura di Napoleone III, della Comune parigina, crudelmente repressa, della Rivoluzione d’Ottobre, sfociata nello stalinismo. Ma quelli furono tentativi anarchici, o non piuttosto tentativi democratici? In realtà si voleva sostituire governi ritenuti ingiusti e repressivi con governi più liberali, o più “socialisti” (anche i “Gilet Jaunes attualmente in rivolta  – sempre in Francia! I Francesi, ogni tanto, ci provano gusto –  pretendono più Stato, come i Cinquestelle e Salvini in Italia, cui qualcuno li ha apparentati, non meno Stato).  Inoltre furono tutti tentativi violenti. La non-violenza come via per la costruzione di una società anarchica non è ancora stata veramente sperimentata. Belle le pagine contro la guerra, che mi trovano completamente d’accordo. 

Mi accorgo di non aver lesinato critiche a un libro che pur apprezzo moltissimo e vivamente consiglio. Odifreddi, che  è persona civilissima e garbata, non me ne vorrà. Se avrà piacere di essere annoverato fra i nostri amici, saremo ben lieti di accoglierlo.

Giovanni Tenorio

Libertino