Mario Draghi è un delinquente, sostenuto da delinquenti
Tante volte si ha l’impressione che i costituzionalisti facciano di tutto per trovare i cavilli capaci di aggirare quei principi che, solennemente dichiarati nella Carta, sembrerebbero più saldi di una montagna. Ci si potrebbe chiedere per quale motivo. A me pare che la risposta possa essere una sola: per acquiescenza al vento politico che spira, in omaggio a un atteggiamento che accompagna la Storia d’Italia dall’Unità a oggi. Ai tempi dell’Italietta liberale la Magistratura era liberale, al tempo del Fascismo era fascista. Con le loro misure a favore dei “collaboratori di giustizia” (io li chiamo rinnegati), le leggi antiterrorismo, che avevano avuto come prodromo l’infausta Legge Reale del 1975, consegnarono alla Magistratura un potere immenso, che pochi studiosi (fra questi l’indimenticato Stefano Rodotà) ebbero il coraggio di sottoporre a critica, proprio alla luce del dettato costituzionale, dimostrando come si andasse scivolando verso un progressivo imbarbarimento della nostra civiltà giuridica. Erano gli anni in cui il ministro degli Interni Virginio Rognoni andava cianciando che la Costituzione offre alcuni spazi per introdurre norme indispensabili in momenti di emergenza. Emergenza, brutta parola, ne sappiamo qualche cosa. Peccato sia una parola che la Costituzione non nomina mai, e non per caso. I Costituenti sapevano bene che la Repubblica di Weimar era crollata proprio grazie a una serie di “emergenze”, formalmente legittime, da cui alla fine era stata travolta, aprendo la strada a Hitler. La Costituzione italiana non accenna neppure all’emergenza bellica, limitandosi a dichiarare che, in caso di guerra, le Camere conferiscono al Governo i poteri necessari. Si badi bene: necessari, non eccezionali. La Costituzione italiana non è la più bella del mondo, ma ha un pregio innegabile: è scritta benissimo, anche perché il suo testo fu rivisto da illustri umanisti come Concetto Marchesi. Non contiene termini orwelliani, a parte qualche ambiguità come quella del voto “dovere civico” , che non si capisce bene che cosa voglia dire. I doveri religiosi competono alla religione. La legge dello Stato comporta obblighi sanzionabili. La morale fa parte del foro interno individuale, insindacabile dal potere politico e giudiziario. In occasione degli ultimi referendum sulla Giustizia, miseramente falliti per scarsissima partecipazione dei cittadini chiamati alle urne, Sabino Cassese ha detto che andare a votare è un dovere, proprio in riferimento all’art. 48 Cost, che parla appunto di “dovere civico”. Da ignorante qual sono, mi chiedo: ma non è la stessa Costituzione a dichiarare che “la proposta soggetta a referendum è approvata se ha partecipato alla votazione la maggioranza degli aventi diritto e se è raggiunta la maggioranza dei voti validamente espressi”? Allora, in questo caso, è la Costituzione ad ammettere che si può non andare a votare. Il “dovere civico” vale soltanto per le elezioni, tant’è vero che se ne parla nella prima parte, al titolo IV, quello riguardante i “rapporti politici”. Ripeto, parlo da ignorante. Come diceva quel tale: “Sono matto, ma non sono mica scemo”.
Un articolo che sembra inoppugnabile è l’art.11, quello dove si dichiara che l’Italia ripudia la guerra. Lasciamo stare quello che ha detto Gramellini per giustificare l’invio delle armi all’Ucraina, fermandosi alle prime cinque o sei parole. “Non ragionar di lui, ma guarda e passa”. Gramellini e il suo collega Aldo Grasso di questi ultimi tempi ne hanno dette tante, e così grossolane, che la lettura dei loro articoli sull’emetico “Corriere della sera” è ormai divenuta indigesta. Prima il Covid, adesso la guerra, sempre a sostegno del governo di criminali che sta portando l’Italia alla rovina. Basta! Qualche altro personaggio di più alta levatura ha sostenuto che la Costituzione non solo ammette, ma addirittura obbliga alla difesa della patria, quindi la guerra, in questo caso, è addirittura doverosa. Come se l’Ucraina fosse la patria degli italiani! Anche qui non sono possibili equivoci: la patria degli altri non è la patria mia. Ci si può chiedere allora se sia lecito andare in aiuto di un altro Paese che sia stato aggredito.
Su questo punto, bisogna ammettere che Sabino Cassese, per rispondere positivamente, fa sfoggio di argomentazioni dialetticamente acute. A suo parere, l’invio di armi a uno dei belligeranti in caso di guerra non comporta uno stato di belligeranza de iure:in molti casi, che lui cita, una partecipazione indiretta a un conflitto, come avviene nel caso di fornitura d’armi a una delle parti, non è stata considerata, dalla parte avversa, come cobelligeranza. Ancora da ignorante, mi chiedo: si possono trarre deduzioni de iure da situazioni de facto? Qui non è in ballo un diritto consuetudinario, ma il diritto positivo facente capo alla Costituzione. Se io regalo una pistola a due contendenti sono implicato nella contesa. O no?
Più sottile il ragionamento riguardante la possibilità di aiutare uno dei due contendenti, lasciando da parte i tentativi diplomatici di mediazione, che , secondo l’articolo 11 sembrerebbero gli unici consentiti, visto che la guerra è ripudiata come mezzo di soluzione delle controversie internazionali. Vero, dice Cassese, ma lo stesso articolo 11 consente le limitazioni della sovranità nazionale necessarie a un ordinamento che assicuri pace tra le Nazioni. Ora, l’ONU ha più volte dichiarato legittimo l’intervento di uno Stato a difesa di un altro Stato in caso di aggressione ( si pensi all’intervento degli USA nella Guerra del Golfo: pagina torbida, ma questo è un altro discorso). Il diritto internazionale, che l’ONU fa proprio come diritto positivo, è superiore alla Costituzione, perché è la Costituzione stessa a consentire limitazioni della sovranità sulla base di principi sanciti da istituzioni sovrannazionali di cui l’Italia fa parte. Quindi l’Italia può inviare armi all’Ucraina. Il ragionamento sembra filare liscio liscio, ma anche qui a me pare che faccia acqua, per due ragioni, una strettamente giuridica, l’altra politica. Il principio sancito dall’ONU consente a uno Stato di intervenire, non lo obbliga. Visto che l’obbligo non esiste, ogni Stato può, anzi deve, decidere in base al proprio ordinamento interno. Per l’Italia, riprende allora vigore il dettato costituzionale, laddove dichiara che l’Italia ripudia la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali. Checché ne dica Cassese, che richiama per analogia l’art. 52 C.P.,dove è ammessa la legittima difesa a favore di un terzo, se io vedo due che litigano non do una pistola a chi credo che abbia ragione. Cerco di separarli. Quanto all’aspetto politico, inutile dilungarsi. L’italia ospita, nelle sue basi NATO, armi d’attacco. Nel caso che il conflitto coinvolgesse la NATO, l’Italia sarebbe la prima a essere bombardata.
Altro che rinunciare ai condizionatori. Mario Draghi è un delinquente, e delinquente chi lo sostiene. Anche con gli arzigogoli di un’affilata dottrina giuridica.
Un vero peccato che Rodotà abbia a suo tempo deciso di imbarcarsi proprio in quei gruppi parlamentari responsabili di aver consegnato un eccesso di potere alla magistratura. Eppure non gli sarebbe mancata la candidatura certa da parte di una nota forza politica, all’epoca in piena fase espansiva, che si è battuta coerentemente contro ogni deriva autoritaria. Preferì invece esporsi con coloro che avevano in parlamento votato contro la legge Reale per poi smentirsi invitando a votare contro la sua abolizione nella successiva consultazione referendaria. Rognoni, più anziano del recentemente scomparso Ciriaco De Mita, credo sia uno degli ultimi due sopravvissuti della stagione iniziale della Democrazia Cristiana; l’altro dovrebbe essere Arnaldo Forlani. Pur appartenendo formalmente alla corrente cosiddetta basista, non disdegnava l’ambiguità del linguaggio andreottiano. Ne è un esempio quello riguardante la Costituzione atta a “offrire alcuni spazi” per introdurre norme indispensabili di tipo emergenziale. Non sono del tutto convinto della legge fondamentale scritta benissimo. Mettiamo da parte il frequente uso dell’espressione “persona umana” come se ci fosse la possibilità di essere persona non umana; se proprio si voleva distinguere la nostra vita biologica dalla persona giuridica, si poteva definirla persona fisica. Grazie a questo vizio introdotto in costituzione, oggi è di moda parlare di “persona umana”. Specialmente da parte di chi abita oltre il fiume Tevere. Tralasciamo anche il disinvolto uso di ossimori come le situazioni che “non possono essere imposte se non in base alla legge”. Che al di fuori dell’ossimoro politico andrebbero scritte con la frase “se non per legge”, non “se non in base a…” Ma la perla antilinguistica dell’articolo venti deve essere sfuggita anche a ben nobili Marchesi che forse non ne afferrarono il Concetto: i caratteri di un’associazione “… non possono essere causa di speciali limitazioni legislative né di speciali gravami fiscali per la sua costituzione, capacità giuridica e ogni forma di attività.” A parte l’arzigogolo in generale, dopo la ripetizione dell’insidioso “speciali” si omettono la preposizione “per” e il possessivo “sua” in relazione alla forma di attività. Ciò detto con tutto il rispetto verso un latinista che si manifestò contrario all’abolizione del latino nelle scuole ma che comunque non mi è mai sembrato del livello di Ettore Paratore e che mi risulta abbia due volte giurato fedeltà al fascismo. E che il giuramento sia stato consigliato da Togliatti per creare un infiltrato, credo trovi sufficiente smentita da parte di un altro comunista del calibro di Ludovico Geymonat. La tessera del PNF richiesta nel 1939 è un altro gioiello che mostra scarsa intensità in termini di presunto tentativo di infiltrazione. Cassese è un altro che come Rodotà e Marchesi ci abitua a frequenti cambi di posizione. Era contro le chiusure di Conte per poi tradire lo slancio oppositivo con una passiva accettazione dell’emergenza. Che dire, poi, della criminalità di certi personaggi? Su queste colonne, l’accusa era già stata formulata nei confronti di un noto presidente regionale. Del resto, chi spaccia moneta falsa pretendendo pure il monopolio di tale spaccio non può certo essere considerato una possibile risorsa per l’avvenire. Solo che la folla ci casca facilmente, in quanto tale spaccio viene chiamato “quantitatìvve aisìnghete”; significato ai più sconosciuto e che rende magicamente entusiastica l’adesione al principio dell’esistenza delle banche centrali. Mi sono un po’ dilungato, come mia nefasta abitudine. Ma solo per chiarire che siamo probabilmente destinati a tenerci a lungo presidenti di regione e primi ministri che godranno del consenso popolare ufficiale, malgrado i loro crimini politici. Su quelli giuridici, difficilmente avremo soddisfazione da una magistratura sempre prona al potere politico. Salvo, ipocritamente, richiamare il suo principio di indipendenza a ogni tentativo di riforma.