Don Giovanni

La nuova religione

Non so quanti ministri dell’Istruzione italici si salvino, in questo Secondo Dopoguerra. Pochi, forse nessuno. Sta di fatto che la scuola, col passare delle legislature, ha conosciuto un declino preoccupante. La riforma della Scuola Media, negli anni Sessanta, che tante polemiche suscitò per la riduzione dello studio del Latino, fu salutata dai “progressisti” come un grande passo avanti sulla strada dell’eguaglianza e dell’emancipazione dei ceti più svantaggiati, fino a quel momento penalizzati da un sistema scolastico “di classe”. Qualche ragione l’avevano. Il vecchio sistema era quello che era, e non è il caso di rimpiangerlo. Rimane vero, però, che l’attuale Scuola Media è l’anello più debole del percorso scolastico. Fino alla conclusione del ciclo elementare, nonostante alcune “riforme” controproducenti-dettate più da motivi sindacali che da esigenze didattiche- i risultati non sono così cattivi; poi qualcosa si inceppa. Con la “liceizzazione” delle Scuole Superiori, ad esclusione degli Istituti Tecnici, e la graduale modifica dei programmi di studio – fra cui spicca l’abolizione di fatto della Geografia e la riduzione del programma di Storia, per non parlare della misera fine che stanno facendo le cosiddette “lingue morte”, senza che l’insegnamento delle “lingue vive” abbia fatto un vero salto di qualità – si è giunti a sfornare ogni anno una buona dose di ignoranti diplomati. Anche il livello delle Università, inevitabilmente, ne risente. L’obbligo scolastico è stato elevato a 16 anni. E’ stata elevata anche la cultura generale? Mi permetto di avere qualche dubbio. Mi è capitato recentemente fra le mani il quaderno di uno scolaretto che frequentava le Elementari prima della Grande Guerra, quando esisteva ancora la classe Sesta (introdotta nel 1904 su iniziativa di Vittorio Emanuele Orlando): bellissima grafia (oggi pochi sanno scrivere in corsivo, e la calligrafia è stata bandita da tempo come vecchiume: salvo poi scoprire che lo scrivere a mano rafforza le capacità intellettive), forma ortografica grammaticale, sintattica impeccabile. Anche in aritmetica e geometria il livello è davvero buono. Oggi all’Università i professori, nelle tesi di laurea dei loro allievi, son ridotti spesso a correggere gli errori ortografici.

Davanti a uno sfacelo del genere, un buon ministro dell’Istruzione dovrebbe porsi qualche domanda, e fare di tutto perché la crisi sia risolta. Dovrebbe innanzitutto chiedersi per quale motivo  il divario tra i risultati effettivi (la preparazione culturale vera, non quella certificata burocraticamente dai voti dei diplomi) delle scuole del Nord e di quelle del Sud sia così accentuato, come dimostrano da tempo i cosiddetti “test INVALSI”. Era così anche una volta? Forse, non possiamo saperlo perché allora non si eseguivano misurazioni oggettive, ma si ha l’impressione che anche in questo caso la situazione sia peggiorata. Quando agli Esami di Maturità, nei Licei, ci si aspettava che arrivasse qualche severa commissione dal Nord, anche al Sud era giocoforza mettersi a studiare con impegno, se non si voleva fare una brutta fine. Ora gli Esami di Maturità di un tempo sono diventati Esami di Stato, riducendosi a una burletta: tutti promossi, con votazioni spesso molto alte, anche se si è somarelli.  Per conseguenza, il ministro dovrebbe proporre riforme che sanino tale aberrazione e riportino gli studi, dalle Elementari all’Università, da Sud a Nord, su un piano di serietà. Ridare consistenza allo studio della lingua italiana, orale e scritta, in tutti i suoi registri. Restituire dignità a materie come Storia e Geografia. Riportare lo studio della classicità, laddove è in programma, a un alto livello, con radicali innovazioni didattiche. Dare grande impulso ai corsi di Matematica, Fisica, Scienze. Introdurre la  Musica come parte integrante della cultura generale (pare invece che sia stata degradata anche la Storia dell’Arte).

Ritornare agli Esami di Maturità vecchio stile, con commissioni che arrivano da lontano. Proprio così. Bisogna avere il coraggio di essere reazionari, se si vuole essere statalisti. In un contesto anarchico non esisterebbero scuole di Stato, tutto sarebbe lasciato alla libera iniziativa. I titoli di studio non avrebbero valore legale. La concorrenza spingerebbe i vari istituti a dare il meglio, non il peggio (promozione facile con voti alti), poiché poi nella vita sociale la selezione sarebbe severa. Pochi sceglierebbero una scuola lassista.

Ma non siamo in un contesto anarchico. Ricordate il programma scolastico di Berlusconi? Inglese, Impresa, Informatica. La scuola della Confindustria, funzionale alla produzione capitalistica. Ernesto Galli della Loggia la bollò come una proposta vergognosa. Ricordate la riforma della Moratti, quella del famigerato “portfolio”? Altro che abolizione del valore legale dei titoli di studio, come una forza politica autenticamente liberale avrebbe dovuto proporre, ma una sorta di schedatura che avrebbe dovuto seguire il cittadino per tutto il suo percorso scolastico, e anche dopo, fino alla morte. Gli insuccessi scolastici lo avrebbero bollato per sempre. Per fortuna, crollato il governo non se ne fece nulla.Gli ultimi  ministri dell’Istruzione sono stati di livello infimo, al di sotto dello zero. Non parliamo della Fedeli, che si inventò un titolo di studio fasullo e aveva qualche problema con la “consecutio temporum” del congiuntivo. Marco Bussetti, il suo successore, ha avuto la dabbenaggine di introdurre modifiche consistenti nelle modalità dell’Esame di Stato, di immediata applicazione, a metà dell’anno scolastico, mettendo in difficoltà studenti e insegnanti, costretti a rivedere la loro programmazione didattica. Ma non c’è limite al peggio. Il ministro in carica, Fioramonti, sembra voler andare molto oltre sulla china del degrado. Appena nominato, promise che si sarebbe dimesso se non fossero stati stanziati in bilancio almeno due miliardi per il miglioramento dell’edilizia scolastica. Ci sono, questi due miliardi? Nessuno ne parla più. Il ministro è ancora lì al suo posto. In compenso, ha esordito proponendo una tassa sulle merendine. Che c’entra l’istruzione con le merendine? C’entra, c’entra -dice lui- per due motivi: le merendine fanno male, con la tassa si cerca di limitarne il consumo; inoltre, con i proventi della tassa, si può finanziare la scuola. Una “tassa di scopo”, in somma. Peccato che i due scopi, quello di eliminare le merendine e quello di lucrarci sopra siano in contraddizione fra loro. Non se n’è fatto nulla; in compenso abbiamo la tassa sulle bevande zuccherate e quella sulla plastica, che piace anche a papa Francesco (pare che il Vaticano, dopo la “conversione ecologica”, sia stato deplastificato).La proposta più bella, però, è arrivata qualche giorno fa. Come si è introdotta l’Educazione Civica quale materia indipendente (prima era aggregata a Storia), si intenderebbe introdurre ex novo una materia battezzata “Educazione Ambientale” o qualcosa di simile. Lo spazio per le altre materie risulterebbe così ridotto. Che cos’è mai l’Educazione Ambientale? Non è qualcosa che dovrebbe rientrare nel normale programma delle materie scientifiche? E non solo: si può fare educazione ambientale anche parlando di Storia o di Geografia. Forse si imparerebbe, ad esempio, che i cambiamenti climatici ci sono sempre stati; che c’è stata una “piccola glaciazione” dal 1650 al 1850; che dalla metà del sec. XIX ad oggi i ghiacciai hanno cominciato a ritirarsi. Si imparerebbe che l'”effetto serra” in sé è buona cosa, perché senza di esso la vita umana sarebbe impossibile; che l’aumento della CO2 nell’atmosfera, dovuto in parte alle attività umane, potrebbe essere fra le cause di un ulteriore aumento delle temperature medie. Si imparerebbe  anche che, secondo alcune teorie scientifiche, le variazioni climatiche sono legate al ciclo delle macchie solari, e quando queste sono al minimo (“minimo di Maunder”, in termini tecnici) le temperature medie calano. Non c’è nulla di certo, però.  Questa è vera Scienza. Ma questo sarebbe troppo bello e troppo razionale! Visto invece che l’ambientalismo è diventato una religione, abbracciata da tutti, dal papa a Confindustria, con i suoi riti e le sue Madonne, bisogna farne una materia a sé, incentrata sul dogma del riscaldamento globale di origine antropica; e questa religione va insegnata scuola, come quell’altra religione dello Stato come cosa sacra, delle tasse come cosa bellissima e degli evasori come delinquenti da ammanettare, oggetto dell’Educazione Civica. A questo punto anch’ io farei una mia  proposta. D’accordo, insegniamo pure a scuola le religioni, come insegniamo la religione cattolica. Però dalle lezioni di Religione Cattolica si può chiedere l’esonero, diventando, con orrendo termine burocratico, “non avvalentisi”.

Non pretendo che ci si possa esonerare anche da Educazione Civica: sarebbe come esigere di essere esonerati dalla Religione Cattolica in una scuola privata confessionale. Una scuola di Stato non può esonerare dalla religione di Stato. Ma dalla religione ambientalista, sì. Ci sono pochi eretici che non credono nella Madonnina Greta Thunberg e nei dogmi a lei legati. E’ giusto che possano essere esonerati dall’apprendimento delle sue dottrine.Anche loro diventerebbero “non avvalentisi”.  Ma qui sorge un problema forse insormontabile. Chi non crede nella Madonna Greta è classificato come “negazionista”. I negazionisti sono fascisti, anzi nazisti. Rientrano nella categoria che la Commissione Segre può bollare come fomentatori di odio e propalatori di notizie false. No, non si può concedere nessun esonero. Anzi, per loro le ore di lezione dovrebbero essere raddoppiate, perché hanno bisogno di una rieducazione. Come quelli che, per aver esaurito i punti della patente, devono tornare a scuola guida, se vogliono riavere il permesso di circolazione.

Giovanni Tenorio

Libertino

2 pensieri riguardo “La nuova religione

  • Alessandro Colla

    La scuola delle tre “I” o della confindustria, non è funzionale alla produzione. Il produttore ignorante produce meno e peggio a causa di fortunatamente inesorabili leggi fisiche. Ottimo rafforzare inglese e informatica ma inutile senza filosofia e lingue antiche. Quanto all’attuale ministro pseudoistruttivo eletto nel collegio territorialmente insistente nel mio municipio romano (il sesto), se le leggi Fiano o Segre dovessero avere attuazione, sarebbe il primo a dover rispondere di procurato odio antigiudaico viste le sue posizioni ostili e boicottanti nei confronti di Israele. Ma forse la sua è una posizione antidantesca: se l’Alighieri era islamofobo, lui da buon analfabeta deve per forza essere antiplutomassogiudaico.

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  • La scuola ad usum confindustria era molto più quella fatta dal PD che quella di Pompetta e la sua oca giuliva Gelmini. La riforma Berlinguer degli anni 90 è già un embrione di linguaggio aziendale: i presidi diventano dirigenti, arrivano i crediti e debiti formativi (roba da partita doppia), si introduce l’alternanza scuola/lavoro.

    Confermo che la scuola regia era più che buona; mio padre – liceo classico fatto negli anni 30 – sapeva benissimo il latino. E in più lo sapeva anche parlare, almeno a livello elementare. Una volta comunque ha conversato con un prete inglese che non sapeva l’italiano (e mio padre in inglese sapeva solo dire “people”); non so chi fosse il migliore, ma mi piace pensare che mio padre abbia vinto.

    Mio nonno contadino invece – scuola elementare fatta a fine 19° secolo – sapeva benissimo leggere, scrivere e “far di conto” e negli affari non lo fregava nessuno. Il latino, lui, lo lasciava volentieri a preti e legulei.

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