Don Giovanni

Scuola anarchica

Sono perfettamente d’accordo con tutto quello che Leporello ha scritto nel suo intervento (http://libertino.is/?p=1868). Poveretto, lo compiango: ecco che cosa succede a sposarsi. Si hanno figli, bisogna mandarli a scuola, e la scuola è quello che è. Meglio i rapporti a-genitali, quelli che hanno scelto le persone come me o la mia cara amica Carmen (è vero che io ho commesso l’errore di sposare Donna Elvira, ma ne ho subito fatto ammenda, mandandola a quel paese in poche ore: matrimonio rato e non consumato, che la Sacra Rota potrebbe dichiarare nullo; ma io del divorzio cattolico me ne faccio un baffo, e anche di quello civile; lungi, tanto la Chiesa quanto lo Stato, dagli affari sentimentali delle persone capaci di intendere e di volere!).

Per quanto riguarda l’omertà dei colleghi e dei capi d’istituto quando qualche insegnante tiene comportamenti criminali nei confronti degli alunni affidati alle sue cure, basterebbe applicare rigorosamente la legge. L’art. 331 c.p.p. è chiaro in proposito: “…i pubblici ufficiali e gli incaricati di un pubblico servizio che, nell’esercizio o a causa delle loro funzioni o del loro servizio, hanno notizia di un reato perseguibile d’ufficio, devono farne denuncia per iscritto, anche quando non sia individuata la persona alla quale il reato è attribuito. La denuncia è presentata o trasmessa senza ritardo al pubblico ministero o a un ufficiale di polizia giudiziaria…” Altrettanto chiaro l’art. 362 c.p.p.:” L’incaricato di un pubblico servizio, che omette o ritarda di denunciare…un reato di cui abbia avuto notizia nell’esercizio o a causa del servizio, è punito con la multa fino a euro 103…” Se tutte le volte che viene alla luce un caso di maltrattamenti  da parte di insegnanti ai danni dei loro alunni la Magistratura, oltre ad aprire un procedimento penale contro gli imputati, indagasse su eventuali comportamenti omertosi  di colleghi o funzionari gerarchicamente sovraordinati, infliggendo le sanzioni comminate dalla  legge nel caso risultino confermati, forse il fenomeno si ridimensionerebbe, perché la vigilanza preventiva diventerebbe più stretta e avrebbe un forte connotato di deterrenza.

Perché finora non s’è fatto? Rispondano quelli che vorrebbero ribaltare l’Italia come un calzino e partono dal presupposto che tutti sono colpevoli fino a prova contraria, alla faccia della costituzione più bella del mondo, di cui si riempiono la bocca.Quanto all’abolizione del valore legale dei titoli di studio, ne abbiamo già parlato più di una volta. Sarebbe la riforma delle riforme, la condicio sine qua non per ridare lustro a un sistema scolastico che versa in condizioni di pieno degrado. Purtroppo ormai non ne parla più nessuno, neppure chi si dice liberale. I liberali veri di un tempo, uomini di specchiata moralità e di altissima cultura  come Luigi Einaudi o lo scienziato Adriano Buzzati Traverso, ne facevano una bandiera. Alcuni parlamentari del vecchio PLI, un partito che, per citare Luigi Barzini jr, comprendeva anche personaggi “per nulla liberali”, in anni ormai lontani dello scorso secolo, presentarono un progetto di legge per l’abolizione del valore legale dei  titoli di studio, che sarebbe interessante andare a rileggere. Oggi spira tutt’altra aria. Non solo si vuol rafforzare il valore legale di lauree e diplomi, ma siamo arrivati al punto che per svolgere qualsiasi attività è necessario avere un titolo, o un attestato, o un patentino, o bisogna essere iscritti a un albo. Anche per pulire i cessi. E’ vero che, dopo la formazione dello sgangherato governo in carica, un grillino e un leghista (che cinque anni fa ha presentato anche lui un disegno di legge in proposito) hanno riproposto il tema del valore legale, ma in toni e con finalità che con gli intenti dei veri liberali di un tempo non hanno nulla che fare. Fieri della loro sbandierata ignoranza, i grillini mirano, in concreto, a facilitare, nel Sud, gli accessi dei giovani ai concorsi pubblici, in chiave coerentemente assistenzialistica; i leghisti a dar lustro a certe sgangherate Università padane (in una delle quali, qualche decennio fa, fu chiarissimo professore di “Etica degli affari” quell’altro analfabeta che risponde al nome di Antonio Di Pietro). Quando si renderanno conto che l’esito di un’eventuale abolizione sarebbe del tutto opposto ai fini da loro perseguiti, manderanno tutto al macero. “Non ti curar di lor, ma guarda e passa”. 

Per rimanere nell’ambito della scuola, come garantire che ottengano le cattedre i candidati migliori? Innanzitutto i capi d’istituto dovrebbero essere veri e propri dirigenti, con pieni poteri di assumere e licenziare. Ogni istituto scolastico dovrebbe avere piena autonomia gestionale. Gli insegnanti dovrebbero essere assunti tramite concorso, che ogni istituto bandirebbe secondo le proprie necessità. Le commissioni esaminatrici potrebbero essere formate o da insegnanti da lungo tempo in servizio, o da docenti in pensione, o anche da commissari provenienti da altre scuole. Prima dell’assunzione definitiva il candidato che ha superato l’esame dovrebbe dimostrare le sue capacità didattiche in un anno di prova, sotto il controllo del capo d’istituto e dei colleghi più anziani. Gli istituti così organizzati opererebbero  in concorrenza fra loro. A questo punto sarebbero gli utenti (le famiglie) a scegliere quello che ritengono migliore. In assenza di valore legale dei diplomi, si guarderà alla sostanza. L’ istituto che avrà assunto insegnanti schiappe resterà senza alunni e, se non si metterà in riga, chiuderà. I diplomi, perduto il valore legale, acquisteranno un valore morale, derivante dal prestigio che gli istituti dai quali sono stati concessi hanno saputo acquisire sul libero mercato.

Utopia? Può darsi. Mi piace però ricordare un aneddoto di parecchi decenni fa, protagonista un vecchio preside, inattaccabile per dedizione al servizio, onestà, rigore.  Una volta gli venne assegnato dalle autorità scolastiche un insegnante di Latino che conosceva la lingua di Cicerone ancor meno dell’attuale papa regnante. Famiglie e alunni erano in subbuglio. Il preside si permise di chiamare l’insegnante nel suo ufficio, lo fece accomodare, gli squadernò davanti l’incipit del “De rerum natura” di Lucrezio (uno dei testi che rientravano nei programmi ministeriali): “Aeneadum genetrix hominum divomque voluptas”. “Legga e traduca!” “Ma lei non me lo può imporre, è comportamento illegale e antisindacale!” “Legga e traduca, le ho detto. Poi mi denunci. Dopo anni di onorato servizio ho le spalle abbastanza larghe”. Non so come sia finita la faccenda. Credo però che l’abbia vinta il preside, e l’insegnante somaro sia stato costretto a far fagotto. In un sistema anarchico le cose andrebbero più o meno così. Sarebbero i genitori, alla fin fine, a scegliere gli insegnanti. Oggi invece devono accontentarsi di quelli che lo Stato gli appioppa. Sarebbe un bel ritorno all’antico. Che cos’erano, nel Medioevo, le Università? Almeno all’origine, non avevano nessun rapporto con i pubblici poteri (che solo in un secondo tempo sarebbero intervenuti a riconoscerle: il “valore legale”, purtroppo, ha origine di qui). Erano associazioni di studenti (“universitas” ha proprio questo significato) che sceglievano i loro maestri, possibilmente i migliori disponibili, si accordavano sugli onorari, e frequentavano le loro lezioni. Con pari soddisfazione di chi montava in cattedra e di chi sedeva sugli sgabelli.(Per inciso: quel preside di cui vi ho parlato era stato fascista ed era un nostalgico convito di quel regime. Adesso non mi si venga a dire che sono fascista anch’io perché ammiro il suo comportamento in quell’occasione. Nessuna argomentazione “ad personam”, per favore) 

Giovanni Tenorio

Libertino

8 pensieri riguardo “Scuola anarchica

  • Questo vale però solo per la scuola di infanzia, dove i bambini non si possono difendere: ben vengano le telecamere per smascherare le maestre bastarde e le complicità dei colleghi. Ricordo negli anni 60 vi fu il caso di Suor Pagliuca che fece scalpore e chissà quanti altri che non vennero mai alla luce. Oggi almeno con i nuovi mezzi si hanno più possibilità di prevenzione.

    Ma già dalle elementari le cose si ribaltano totalmente e i vessati sono gli insegnanti: i casi di aggressione da parte dei genitori non si contano più.

    Se i maestri osassero dare un meritato ceffone salutare verso le merdine viziatelle di oggi, le merdine viziatelle troverebbero sempre un appoggio nei genitori e nei tribunali che io e quelli della mia generazione col caxxo potevamo avere, quindi le merdine sono solo destinate a crescere in puzza e numero.

    La pedagogia è diventata una scienza esatte che spiega e quasi giustifica ogni cattiva azione soprattutto con l’influenza ambientale e sociale (il libero arbitrio, questo sconosciuro).
    Gli psicologi dell’età evolutiva dettano legge e tutti devono stare zitti, ascoltare e mettere in pratica le loro pratiche buoniste.

    I risultati di una educazione permissiva e indulgente li abbiamo visti: i cosiddetti esperti hanno prescritto ricette fasulle e senza punizione si continua nella strada sbagliata: un po di sane nerbate farebbero solo bene. “Chi risparmia il bastone odia suo figlio”. (prov. 13,24)

    (mi si venga a pure a dire che sono nazista: l’argumentum ad hominem o la reductio ad nazium non mi spaventano).

    • @Max

      “Se i maestri osassero dare un meritato ceffone salutare verso le merdine viziatelle di oggi, le merdine viziatelle troverebbero sempre un appoggio nei genitori e nei tribunali che io e quelli della mia generazione col caxxo potevamo avere, quindi le merdine sono solo destinate a crescere in puzza e numero.”

      “Ma già dalle elementari le cose si ribaltano totalmente e i vessati sono gli insegnanti: i casi di aggressione da parte dei genitori non si contano più.”

      Il problema non è trovare un insegnante con il ceffone facile verso i nostri o i tuoi figli (che non credo tu voglia includere tra le “merdine viziatelle”), quanto trovare un insegnante autorevole, con i bambini, i ragazzi e soprattutto con i genitori. Per fare questo non serve replicare il duello tra Trinità e Wildcat Hendrix, ma eliminare qualche ombrello protettivo: l’obbligatorietà scolastica di 10 anni, valore legale del diploma, parificazione, scuola di Stato, graduatorie automatiche, valore legale del titolo di studio. L’autorevolezza partirebbe dai dirigenti (lo spiega benissimo Don Giovanni nell’articolo) e si propagherebbe agli insegnanti scelti (e non piazzati da un algoritmo nelle graduatorie).

      Il ceffone a quel punto non sarebbe la base su cui costruire un rapporto, probabilmente uno sguardo sarebbe sufficiente a incutere rispetto (ai bambini sicuramente e forse anche agli adolescenti): eventualmente, più di un rozzo ceffone, sarebbe utile un gesto elegante, come nel caso famoso del libretto universitario che, gettato dalla finestra, si sarebbe dovuto elevare verso i piani superiori, considerando le conseguenze della risposta dello studente a una domanda relativa all’accelerazione di gravità).

      Un insegnante che ricorre al ceffone è un rozzo individuo decisamente degno di essere trattato in analogo modo dai genitori (anche se è chiaro che, da parte di questi, la scelta di difendere i figli in modo acritico e di pretendere il titolo di studio come se fosse “dovuto”, non è l’opzione educativa migliore).

      Quanto all’educazione “permissiva e indulgente”, mi sembra un punto di vista moralistico, tipico di quelli che la morale la conoscono in modo assoluto (ma qui, si sa, siamo relativisti e libertini).
      Io preferisco puntare sulla responsabilità “gandhiana”, sulla valorizzazzione delle conseguenze delle scelte dei ragazzi (fosse anche bocciare o negare il “pezzo di carta” alla fine del ciclo di studi se parliamo di scuola), non certo sulle botte e sui ceffoni. Poi chiaramente i ceffoni sfuggono a tutti, compreso me: possono anche avere effetti positivi, ma non li eleverei a “metodo”.

    • Sicuramente per bambini sensibili di famiglie educate (chi ne ha notizie mi avvisi, perchè io non ne vedo più in giro) non occorrono ceffoni, può bastare uno sguardo, un occhiataccia, un certo tono di voce. Ma non sono tutti Bottini, ci sono anche i Franti.

      Insomma, io davo “del Lei” alla Signora Maestra, la quale un paio di volte mi ha dato uno scappellotto non particolarmente forte (ma era l’anello che faceva male sulla testa…) per non so più quale motivo, ma me lo meritavo sicuramente. A casa me ne stavo zitto perchè sennò me ne prendevo un altro da mia madre. Sono cresciuto forte e sano senza problemi.

      Oggi le merdine dicono “Ciao maestra” e la mandano pure affanculo e se le sanzioni vanno a frignare dai genitori che ricorrono al TAR che spesso da loro ragione. Anche qui, davvero non ci siamo.

      Per quanto riguarda i rimedi in una ipotetica società anarchica, io non mi esprimo mai perchè non sono all’altezza, ma prendo nota di tutto.

  • Alessandro Colla

    L’antico testamento è superato dal nuovo per i cristiani e dal continuo aggiornamento del Talmùd per gli ebrei. Quel passo del libro dei proverbi è un’autentica idiozia e probabilmente veniva rievocato proprio da suor Diletta Pagliuca. Basterebbe abolire l’obbligo scolastico. L’insegnante eventualmente aggredito potrebbe rifiutarsi di continuare a istruire l’aggressore o chiedere il triplo del compenso. La vera ricetta fasulla è quella della contrattazione collettiva obbligatoria.

    • Va detto che la Pagliuca comunque era una ex suora; non lo era più al momento dei crimini, se non sbaglio fu pure cacciata; dubito tra l’altro che conoscesse la bibbia se non di nome.

      L’uso del bastone va inteso nel suo giusto senso, come quello del buon pastore che con qualche colpo di verga sul sedere indirizza le sue pecore verso la giusta strada, mentre altrimenti finirebbero perdute. Molti proverbi popolari confermano i proverbi biblici, che sono appunto proverbi raccolti nel libro sacro. A Napoli si dice “Mazze e panelle fanno i figli belli, panelle senza mazze fanno i figli pazzi”.

      Maria Teresa Ruta (nota esperta in religioni, teologa ed esegeta) ha citato il Talmud in TV dicendo “Dio conta le lacrime delle donne”. Ok, ha fatto la sua porca figura. Ma il Talmud è un libro falso e tendenzioso, creato dai rabbini integralisti quando si accorsero che l’AT portava a Gesù Cristo. Non è accettato neppure da tutti gli ebrei, non ha la stessa dignità della Torah. Io personalmente non lo toccherei neppure con la canna da pesca.

  • “Qui parcit virgae odit filium suum”.

    Ricordo che Giovanni Mosca, il quale, prima di diventare scrittore e giornalista era stato maestro di scuola, ebbe a stigmatizzare -credo sul “Corriere dei Piccoli”, di cui era direttore, ma la memoria mi potrebbe ingannare- quel proverbio, come disumano. Non credo ignorasse, da persona colta qual era, che viene da un testo biblico. Invece in un’antologia latina della vecchia Scuola Media, curata da un professore universitario che era anche prete, il proverbio veniva interpretato metaforicamente, come invito a una giusta severità nell’educazione dei figli. Non so che dire. Io continuo a credere che le contraddizioni tra Antico e Nuovo Testamento siano insanabili, anche se i teologi si arrampicano sugli specchi per spianarle. Il Dio che si pente di aver fatto l’uomo e manda il diluvio e il Dio-Amore di Cristo sono due Enti diversi. Del primo è l’erede diretto l’Allah di Maometto. il secondo piace moltissimo anche a un epicureo come me. D’altra parte, le contraddizioni non mancano neppure nel Nuovo Testamento. In Mt 5,18, Gesù dice: “Finchè non passino il cielo e la terra non un iota, non un apice cadrà della legge…”. Di contro, San Paolo, in Ef 2, !4-15 afferma che Cristo ha unito in un solo popolo ebrei e gentili, “annullando nella sua carne l’inimicizia, questa d legge dei comandamenti con le sue prescrizioni…” Credo che nessun teologo, neppur per sbaglio legga quello che io scrivo. Se qualcuno di loro intervenisse a smentirmi, sarebbe il benvenuto. E’ aperto a tutti quanti (inutile precisare che io qui sto con San Paolo, il quale in altri casi mi è un po’ indigesto, specie quando fa il misogino).

    • Mi stupiscono i dubbi, sempre leciti per carità, su diversità di divinità e vizi insanabili tra AT e NT.
      Ma risulta che Cristo abbia mai detto qualcosa a riguardo? E che ci faceva poi nel Tempio a leggere le profezie dell’AT che lo riguardavano?

      Credo poi che davvero pochi argomenti siano stati sviscerati così bene come il rapporto tra il vecchio e il nuovo corso, non dai teologi, ma da S.Paolo stesso nella lunga lettera ai Galati (legge = pedagogo che conduce a Cristo e via dicendo…).

      Insomma, so che Ud. Don Juan è un estimatore di Marcione, ma davvero costui mi pare indifendibile. Classico parvenu che entra in un gruppo, dona una forte somma di denaro (che poi chiederà e otterrà indietro quando si ne andrà) e poichè “ha pagato” si sente in diritto di farsi un Vangelo tutto suo, tagliando e cucendo a suo piacimento. “Money talks” dicono gli anglofoni, ovvero il denaro comanda. Davvero non ci siamo.

  • Ognuno ha il suo Cristo, come ognuno ha il suo Socrate. Nessuno dei due (che io ritengo fra gli uomini più eccelsi di tutti i tempi; e così pensava anche Beethoven, come risulta dai suoi “quaderni di conversazione”) ha lasciato nulla di scritto. Le notizie a loro riguardo ci giungono da altre fonti. Così c’è un Socrate di Platone e uno di Senofonte, abbastanza diversi; c’è anche il Socrate delle “Nuvole” di Aristofane, presentato come ateo e sofista, nel senso peggiore del termine, e quello di Eschine, bollato come antidemocratico, educatore del futuro tiranno Crizia, e perciò giustamente condannato. Il mio Socrate è quello di Platone, ironico e maieutico, che sa di non sapere. Allo stesso modo c’è il Cristo dei Sinottici e quello di Giovanni; ma anche i sinottici presentano parecchie discrepanze: Matteo e Luca ne espongono due genealogie diverse; anche i particolari della nascita sono diversi (solo in Luca il Salvatore nasce in una stalla; solo in Matteo viene adorato dai Magi); solo in Luca uno dei due ladroni è buono e si merita il Paradiso. Poi c’è il Cristo di San Paolo, il vero fondatore della Chiesa, un po’ diverso, a quanto pare, da quello di Giacomo il Giusto. Marcione, con la sua idea di Cristo figlio di un Padre diverso dal dio vendicativo dell’Antico Testamento – un demiurgo inferiore, di cui i Musulmani si sarebbero fatti eredi- ha avuto l’unico torto di essere stato sconfitto. Avesse prevalso il suo canone dei libri sacri, la storia del Cristianesimo sarebbe stata diversa. C’è il Cristo dei Cattolici e quello dei Protestanti. C’è anche un Cristo epicureo. Ne parla il personaggio eponimo nel dramma di Büchner “La morte di Danton” , in un colloquio con Robespierre (Atto I , scena V): “Ci sono soltanto epicurei a questo mondo, chi rozzo e chi fine, e Cristo fu il più fine. Questa è l’unica differenza che io riesco a trovare fra gli uomini. Ognuno agisce secondo la propria natura, vale a dire fa quello che gli piace”. Inutile dire che il mio Cristo è questo. Gesù amava le donne, tant’è vero che le cose più belle le ha dette a loro (Marta, Maria, la Samaritana, l’Adultera). Anch’io amo le donne, sicuramente in modo molto meno fine. Ognuno ha la sua natura, e io mi guardo bene dalla blasfemia di paragonarmi, sia pur lontanissmamente, a Cristo, che apprezzo anche per la sua predicazione della non violenza e per alcuni tratti indubbiamente anarchici della sua personalità e del suo pensiero (per quel che possiamo ricavarne da fonti così incerte e contraddittorie).

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