Don Giovanni

La Befana vien di notte

Cari amici, sarà il caso di aggiornare la vecchia canzoncina della Befana. Ve la ricordate?

“La Befana vien di notte
con le scarpe tutte rotte
con le toppe alla sottana
viva viva la Befana”.

No, non è più così. Quella con le scarpe rotte e con le toppe alla sottana era la Befana dell’epoca pre-capitalistica, quando la povertà era dura e ne soffriva una massa di gente piuttosto numerosa. Oggi non è che la povertà sia sparita, tutt’altro, ma, almeno nei Paesi a capitalismo avanzato, si sta molto meglio di un tempo, a dispetto di quel che dicono Piketty e compagni. Si potrebbe stare meglio ancora, e di gran lunga, se sparisse lo Stato, e se il sistema di mercato, nei suoi aspetti più radicali, diventasse dominante. Per ora è un sogno; in un futuro lontano, molto lontano, chissà mai che non scenda lo Spirito Santo a farci la grazia, portandosi via, già che c’è, oltre a tutti i politici, i burocrati e gli sbirri, anche tutti i preti. Dicevo: oggi la Befana ha mutato abbigliamento, è una gran signora. Avete visto come s’è messa in ghingheri la Yellen per la conferenza stampa della FED? Peccato che, mentre l’involucro è così lussuoso, il contenuto rimanga una Befana, la Befana dei giorni nostri, appunto. Anche nei ragionamenti, che sono quelli di una vecchina svampita. Alla pari dei suoi colleghi Babbi Natale (di solito sbarbatissimi come gentiluomini del Settecento, vedi il Draghino della BCE), pur rallegrandosi della ripresa economica, si rammarica che l’inflazione sia ancora al di sotto del 2%. Mistero, dice la Befana, come quello della Cometa che guidò, non si sa come, i re Magi alla dimora del Redentore, nel fatidico 6 gennaio. Negli anni scorsi l’anomalia si spiegava: prezzi bassi del petrolio e dell’energia, dollaro forte che favoriva le importazioni a buon mercato. Ma adesso? Continuo a non capire quest’attesa spasmodica dell’inflazione come toccasana dell’economia. Siamo sicuri che la Befana, se vedesse sulle bancarelle dell’ortofrutta le patate a un buon prezzo, aspetterebbe fino alla settimana prossima a comperarle, sperando che il prezzo scenda ancora? E che, vedendo il prezzo del pane aumentare, ne comprerebbe oggi quintali e quintali da congelare in frigorifero per i mesi prossimi venturi, nel timore che il prezzo possa continuare a salire? Ed è proprio sicura, la Befana, che l’inflazione, intesa come aumento dei prezzi (non, come sarebbe più corretto, aumento della massa monetaria) abbia rinunciato a manifestarsi, nonostante il diluvio di moneta – bel regalo suo ai bambini buoni, gli amici banchieri – che ha invaso il sistema? Se si fosse invece sfogata nel forte apprezzamento dei titoli borsistici e nella ripresa robusta del mercato immobiliare? Guarda caso, proprio i due comparti, la finanza e l’edilizia, dove sono maturate le bolle speculative che una decina di anni fa, esplodendo, hanno provocato il disastro da cui – così si dice – stiamo finalmente uscendo (anche l’Italia, almeno come fanalino di coda; ma sarà poi vero?). Se le cose stanno proprio in questi termini, c’è poco da stare allegri. La ripresa porterà a maturazione altre bolle della stessa natura, che faranno ancora un bel botto. E saremo da capo.

La Befana e i Babbi Natale suoi amici hanno fatto proprio il motto di San Paolo: si prova più gioia nel donare che nel ricevere. E allora, denaro a palate. Non c’è più neanche bisogno di stamparlo, oggi basta digitare un numero su un supporto elettronico, e quel numero diventa moneta sonante. Poi il sistema bancario ci pensa per conto suo a moltiplicarlo, grazie a quella catena di Sant’Antonio che prende il nome di Riserva Frazionaria. Come opera? In soldoni, così. Io deposito un gruzzolo presso di te, tu invece di conservarlo fino a mia richiesta ne presti ad altri una parte; questi altri a loro volta ne versano in deposito una porzione, che viene anch’essa parzialmente prestata, e così via fino a esaurimento. Sistema truffaldino, ma legale. Finché arriva a deposito denaro fresco con cui far fronte alle richieste di prelievo, la barca va. Se tutti i depositanti dovessero richiedere contemporaneamente il denaro depositato, sarebbe la bancarotta. Ogni tanto capita. E’ questo i motivo per cui si rendono necessarie le Banche Centrali come occhiuti controllori del meccanismo perverso, e prestatori di ultima istanza.

Il sistema è così dominante, in ogni angolo del mondo, che ben pochi si rendono conto della sua stolidità. Un tempo erano Pinocchio e Lucignolo a credere che il denaro potesse crescere sugli alberi e farci tutti ricchi. Era una mia vecchia zia a chiedersi, in tutta serietà, perché mai lo Stato non stampasse tante belle banconote da distribuire ai poveri, rendendoli facoltosi e felici. Oggi ci credono i superlaureati in Economia, con un “master” in una prestigiosa Università degli Stati Uniti, o gli alti dirigenti della Goldman Sachs, la banca da cui sono usciti quasi tutti i banchieri centrali e che ha avuto tra i suoi consiglieri (advisors, dicono i barbari) quel lugubre figuro di Mario Monti. Quello che una volta si chiamava “corso forzoso”, cioè stampa di denaro non coperto da riserve auree (pratica comune ai falsari e alle autorità monetarie) oggi si chiama “Quantitative Easing”. Non l’ha inventato la Befana, che però l’ha ereditato dal suo predecessore Ben Bernanke (un Babbo Natale, questa volta, con tanto di barba) e se n’è servita a iosa. Ora gioisce del risultato. La Legge di Pinocchio e Lucignolo nel Paese di Acchiappacitrulli ha dato i suoi frutti. Per ora ne godono quelli che hanno potuto metter le mani su tanto ben di Dio, e specularci sopra. Come il Gatto e la Volpe. Quando la bolla scoppierà, saranno altri a rimetterci la pelle nello scoppio.
Anche il Cavalier Berlusconi è stato contagiato dalla Legge di Acchiappacitrulli. Riprendendo la proposta che qualche demente aveva lanciato anni fa, suggerisce di introdurre, accanto all’Euro, una moneta nazionale, una sorta di Neo-Lira, da usare per le transazioni interne. Sarebbe agganciata all’Euro da un rapporto di cambio fisso, e verrebbe governata dalle autorità monetarie italiche. Chi ne garantirà il valore? Mistero. Vi ricordate gli “assegnati” al tempo della Rivoluzione Francese? Di fatto erano titoli di debito pubblico che avrebbero dovuto essere garantiti dai beni espropriati a nobili e clero, il cui valore sarebbe stato reso liquido dalla vendita all’asta. Tale vendita si rivelò tuttavia più difficile del previsto. Non solo i titoli non furono rimborsati, ma se ne stamparono altri, che circolavano come moneta corrente. I prezzi salirono in pochi mesi alle stelle. Nessuno ne gongolava. L’economia entrava in una gravissima crisi. L’oro scomparve, in base alla famosa Legge di Gresham, secondo cui la moneta cattiva scaccia quella buona. Uno potrebbe chiedersi: ma non dovrebbe essere il contrario? Di solito, sono le merci buone a espungere dal mercato quelle cattive. Sì, ma le merci cattive sono soggette al prezzo di mercato, corrrispondente al punto in cui la curva della domanda si interseca con quella dell’offerta; invece il rapporto fra moneta cattiva e moneta buona è fissato per legge. Se una moneta d’argento da Lire 500 vale, per legge, come una banconota su cui è stampata la medesima cifra, è inevitabile che la moneta d’argento venga tesaurizzata e scompaia dalla circolazione. Così capitava in Italia negli anni Sessanta dello scorso secolo. E’ questo il motivo per cui i sistemi bimetallici di solito si rivelano inefficienti. Se il rapporto oro-argento è fissato per legge e non corrisponde ai valori di mercato, è inevitabile che la moneta più preziosa, quella d’oro, scompaia dalla circolazione.

Il Cavaliere vuol ridurre l’Italia con le pezze nel culo, stampando, in nome della sovranità monetaria, liracce di carta sputacchievoli come gli “assegnati” di un tempo.

Nel “Tamerlano “di Handel che in questi giorni si rappresenta alla Scala, il regista Davide Livermore ha proiettato in avanti di parecchi secoli l’ambientazione della vicenda, collocandola al tempo della Rivoluzione d’Ottobre. Suggerisco al regista che curerà l’allestimento dell’ “Andrea Chenier” all’apertura della prossima stagione di ambientare l’intreccio in un’ epoca berlusconiana prossima ventura. Quando, verso la fine dell’Opera, il carceriere Schmidt, al vedere l’oro offertogli da Maddalena, esclama “Evento strano in tempo di assegnati!”, potrebbe invece cantare, esibendo un mazzetto di Euro: “Evento strano in tempo di Neo-Lire!”.

Puttanate registiche se ne vedono tante. Una più, una meno… Ma questa sarebbe profetica.

Giovanni Tenorio

Libertino

Un pensiero su “La Befana vien di notte

  • Alessandro Colla

    Per Andrea Chenier vedrei bene nella parte del Presidente del Tribunale di Salute Pubblica, il guardasigilli Orlando (voce non impostata giuridicamente). Che diventerà… Furioso se il parlamento non gli approverà l’obbrobrio del quale in questi giorni risulta, novello Rocco, proponente. Lo sbirro di Montenero di Bisaccia non può interpretare la parte perché Luigi Illica ha avuto l’ardire di scrivere il testo in italiano. Peccato, perché come “buffo” avrebbe avuto qualche possibilità di successo.

I commenti sono chiusi.