Don Giovanni

Il bene comune è un asino che vola

L’uomo è un animale politico, diceva Aristotele. Forse voleva dire un animale sociale. Anche chi di politica si interessa poco o niente, per quanto misantropo sia, non può vivere in pieno isolamento. Fin qui, nulla da obiettare. Papa Paolo VI una volta ebbe a dire che la politica è la più alta forma di carità. Qui invece – con tutto il rispetto – proprio non ci siamo. Sono andato a rileggermi il capitolo 13 della prima Lettera ai Corinzi di San Paolo, che ritengo la pagina più alta di tutto il Nuovo Testamento, il cosiddetto “Cantico della Carità”. Della carità vi si dice tutto il bene possibile, si arriva addirittura a metterla al di sopra della fede e della speranza. Sentite: “La carità è magnanima, è benigna la carità, non è invidiosa, la carità non si vanta, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia, ma si compiace della verità; tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta”. Non mi pare ci sia scritto: “La carità è politica, la carità fa politica”, o qualcosa di simile. E’ vero che l’ideologia cattolica ha spesso della politica una concezione così ingenua che più ingenua non si può, anche se la Chiesa ha fatto nel passato, e continua a fare nel presente, la politica più canagliesca.

Ricordo una conferenza di qualche decennio fa, tenuta da uno di quei giornalisti-intellettuali di cui si gloriano molti quotidiani locali, uno di quei tuttologi che sono esperti di letteratura, di cinema, di teatro, di pittura, di musica, di filosofia, e non tralasciano occasione per sproloquiare d’ogni cosa, a proposito e a sproposito. Ebbene, costui arrivò a dire che per raddrizzare le storture della politica ci vorrebbero i santi. Avete letto bene: la politica in mano ai santi! Mi chiesi: “Ma costui ha mai letto Machiavelli? Ha un’idea di quel che è la politica? Ha presente la differenza che corre tra politica e morale?” Evidentemente aveva poche idee e ben confuse. Pensava, come tutti i buoni cattolici, che la politica fosse l’arte di perseguire il bene comune, quest’Araba Fenice che dove sia nessun lo sa. La politica riguarda l’utile, come l’economia, non la morale. Innanzitutto l’utile di chi comanda, come ben dice Trasimaco nella Repubblica di Platone. Per chi crede nello Stato, come Machiavelli, la politica deve mirare all’utile dello Stato, a costo di contraddire la morale ordinaria. Per il bene dello Stato il Principe deve anche essere crudele, mancatore di parola, ipocrita, mentitore. Altro che tutto sopportare, tutto sperare, non cercare il proprio interesse, compiacersi della verità! Se avessimo santi in politica, si andrebbe subito a catafascio. Giorgio La Pira, terziario domenicano che fu sindaco di Firenze, lamentava che le banche, pur piene di soldi, non li elargivano generosamente ai bisognosi. Un tipo così che arrivasse ai vertici di una banca – avrebbe detto Luigi Einaudi – si sarebbe meritato d’essere messo in manette sbattuto in galera.

Gesù Cristo aveva capito tutto. Quando i suoi maliziosi interlocutori cercavano di portare il discorso sulla politica, rispondeva elusivamente o non rispondeva. I suoi apostoli zucconi, anche dopo la resurrezione erano convinti che, finalmente, avrebbe restaurato in tutta la sua antica gloria il Regno d’Israele. Risponde, rassegnato. “Aspettate la discesa dello Spirito Santo e capirete”. Purtroppo la Santa Chiesa nella politica si trova invischiata ben presto. L’Impero Romano nei primi secoli si comporta come come un antagonista, non privo però di momenti di tolleranza e di apertura; e in ogni caso gli si deve riconoscere il merito di consentire, grazie alla sua organizzazione logistica, un rapido diffondersi della nuova fede. Poi, con Costantino, arriva il grande tradimento. La Chiesa s’immerge nella politica fino al collo. L’Imperatore è visto come il braccio secolare del potere spirituale, il bene comune che deve innanzitutto perseguire è quello di difendere la fede, anche con le armi, se necessario, anche con la repressione giudiziaria, il carcere o la morte. I perseguitati di un tempo diventano così i persecutori. Bella cosa davvero, la politica!

Oggi la Chiesa continua a dir la sua sui compiti della politica, e fin qui nulla di male: ognuno deve avere il diritto di dire quello che pensa, anche se si tratta delle più strampalate sciocchezze. Si può parlare liberamente anche di quel che non esiste, ad esempio degli asini che volano. Il bene comune è un asino che vola. Chi l’ha mai visto? Che cos’è? Interroga cento persone e ognuna di loro ti darà il suo pensiero sul bene comune, uno diverso dall’altro. Cento persone, cento pensieri. Per un culattone le nozze gay rientrano nel bene comune, per un bigottone sono il male assoluto. Per un libertino come me le nozze sono sempre un male, senza distinzione fra omo ed etero. Per alcuni atei l’aborto è buona cosa, per altri è un delitto. Per un credente è un delitto, ma qualcuno ha detto che se ad essere violentata è stata una suora, allora… Per qualcuno – anzi per la maggior parte – consentire la semina di OGM significa avvelenare il mondo, per altri è l’unico modo per risolvere il problema della denutrizione e della desertificazione. Qual è il bene comune? Uno nessuno e centomila…

Le cose cominciano a complicarsi quando la Chiesa non solo si esprime in astratto sulla politica, ma vi entra rumorosamente, cercando di condizionare le scelte dei cittadini. Anche questo è un atto di libertà che nessuno dovrebbe negarle, fermo restando il diritto, per chiunque lo voglia, di replicare con durezza anche nei modi meno garbati, senza correre i rischio d’essere accusato di vilipendio. Io credo però che la cosa più intelligente sia quella di lasciar cadere nel vuoto certe sortite di papa, vescovi, preti. Replicare significa rafforzarli, renderli ben visibili, ammantarli di un prestigio che non hanno. Prendete l’episodio recente di quel prete brianzolo che, durante la predica domenicale ha esaltato il valore cristiano dell’accoglienza, esortando a metterlo in pratica – e fin qui tutto bene. Ma poi ha aggiunto: “O si è Salvini o si è cristiani”. Apriti cielo! Fosse una persona intelligente, Salvini avrebbe del tutto ignorato l’allusione. La predica del prete brianzolo sarebbe entrata da un orecchio dei tanti leghisti presenti a messa ed uscita subito dall’altro. Nessuno sui giornali ne avrebbe parlato. Invece no. Subito fuoco e fiamme, la curia interviene a prendere le distanze dalle parole dell’incauto predicatore, col solito tartufesco argomento che si può essere cristiani in tanti modi e sarà Dio a giudicare. Sulle gazzette è polemica. Salvini arriva addirittura a chiedere un intervento del papa.

Ma lascialo stare, Francesco! Proprio lui, che nel suo viaggio in America ha detto qualcosa di peggio. Se l’è presa addirittura con Trump, dicendo che chi vuol costruire muri non è cristiano. Anche in quell’occasione polemiche a non finire. Peccato che Trump non abbia potuto chiedere l’intervento di un’istanza superiore: sopra il papa c’è Dio, ma non pare che Dio abbia intenzione di intervenire in queste bazzecole. Che dovrebbe fare, prendere un fulmine e incenerire la sua servitù impicciona e politicante? Mi viene in mente un gustoso Madrigale del grande poeta milanese Carlo Porta, “In occasione del solenne Te Deum che fu cantato dai preti per le vittorie riportate da Napoleone”*. In breve: Gesù Cristo quando si accorge che i suoi preti inneggiano a Napoleone (si vede che era bene comune attizzare tante guerre e mandare al macello tanti giovani, nel nome di Liberté Fraternité Egalité) è lì lì per brusaj tucc con la livreja in spalla, bruciarli tutti con la livrea indosso. Ma poi ci ripensa. A che pro? Tanto si sa che la servitù è una grandissima canaglia.

( * )“Quand el s’è accort Gesù che in su la terra/cantaven i nost pret a tutt cantà/perché l’aveva in guerra/defes Napoleon patron de cà,/gh’eva ciappaa tant cald/che Dia ne guarda se nol tegnen sald!/L’è nanca on’ora, el disc,he tucc costor/m’han pregaa in di secrett/de fagh trà l’ultem pett,/e adess canten per lu! birbi, impostor!/E me serven inscì?pocch pocch me calla/a brusaj tucc cont la livreja in spalla./Infin, pensandegh su/el repia…Conven che ghe perdona:/se sa che dal pu al men la servitù/già l’è tutta canaja bozzarona”.

Giovanni Tenorio

Libertino