Don Giovanni

Stupidità

Ogni offerta crea la sua domanda, dice un vecchio adagio economico risalente a Jean Baptiste Say (1767 – 1832). Che cosa vuol dire, in concreto? Che per ogni bene o servizio esiste sempre un prezzo di equilibrio tale da rendere possibile la transazione. Allora si può vendere proprio tutto, purché si chieda il “giusto” prezzo (giusto nel senso di “adeguato”. sia ben chiaro)? Direi di sì. Tant’è vero che si può vendere anche la merda. Non parlo del letame, che è utilissimo in agricoltura, quindi non se ne potrebbe fare a meno. Parlo della merda di cane o di gatto, o addirittura di quella umana, che è la più fastidiosa. Non storcete il naso. I più giovani di voi non lo potranno ricordare, ma negli anni Sessanta del secolo scorso ci fu un artista, o sedicente tale, Piero Manzoni, che mise la sua merda in una scatola di latta e riuscì a venderla come merda d’artista. Direte voi: “Ma che ci ha di peculiare il residuo escrementizio di un artista, fosse anche il più grande, come Michelagelo o Raffaello? In che cosa si differenzia da quello dei comuni mortali?” In nulla. Però basta quella parola, “d’artista”, e il gioco è fatto. Il prezzo d’equilibrio sale addirittura alle stelle. D’altra parte, non succede la stessa cosa con gli abiti firmati? Uno straccetto che, senza firme, al mercatino cinese si venderebbe per pochi spiccioli, se viene firmato da un grande “stilista”, come s’usa dire oggi, viene venduto a prezzi esorbitanti. A che pro? Vuoi mettere il gusto di poter dire: “Io vesto solo abiti firmati”? Sai quant’è bello far invidia alle proprie amiche o ai propri amici… (oggi che i maschi stanno diventando tutti checche assumono gli stessi vezzi delle donne). Ma c’è dell’altro. Avete presente certe diete dimagranti, per cui ci si impone di mangiare cibi ributtanti, peggio addirittura della merda? Anche in questo caso si vende, e come! E non certo a prezzi modici. Che gusto c’è a rovinarsi la salute, e per di più a pagamento? Gran gusto, signori miei. Diventar magri fa molto chic. Specie fra le donne. Io rimango d’accordo con il Benoit della “Boheme” pucciniana, secondo cui le donne magre son grattacapi, o meglio…sopracapi. Anche in questo caso i maschietti non sono da meno. Vogliono dimagrire, restare pelle e ossa, diventare il ritratto della miseria. “C’è qualcosa di perverso nella magrezza” diceva Baudelaire. Ma quelli erano tempi grami per la povera gente. I ricchi erano grassi, i poveri magri. La magrezza era dunque segno di malattia, denutrizione, basso rango sociale. Oggi che ricchi e poveri mangiano le schifezze del Mc Donald’s (altra merda, però a buon mercato) la grassezza diventa obesità, cioè malattia, e la magrezza salute.. Mala tempora currunt!
In somma, si può vendere tutto. I papi del Rinascimento vendevano addirittura le indulgenze, facendo credere ai gonzi di conquistarsi in questo modo Paradiso. Più prezioso di una montagna d’oro! A me piacciono quei papi simoniaci e puttanieri, alla faccia di Girolamo Savonarola (se l’è cercato, il rogo, peggio per lui!) e di quell’antipatico di Lutero oggi incensato dal papa regnante. Viva la simonia, se col denaro raccolto vendendo merda (le indulgenze fasulle) si sono potuti ingaggiare artisti sommi, che hanno regalato al mondo opere mirabili. Quel coglione di Savonarola le opere d’arte e i libri li bruciava. E riuscì a convincere anche Sandro Botticelli a gettare sul rogo alcune sue opere, pentito di aver dipinto donne nude (la splendida Venere: che Dio lo benedica! Chi dipinge opere così, lui sì merita il Paradiso!!!).
Domanda: si può vendere anche il nulla? Si direbbe di no. Uno straccio non è un nulla, è pur sempre qualcosa. Così pure il cibo Mc Donald’s, o anche le indulgenze, per chi crede. Il nulla è zero, quindi vale zero, qualsiasi numerario si voglia adottare come moneta. Eppure, signori miei, voi non ci crederete, ma siamo arrivati anche a questo: si vende il nulla, e si riesce a farlo pagare. Succede a Como, la “regia cittaa di missoltitt, cioè degli agoni seccati, come la chiamava Carlo Porta. Entrata in grave crisi l’industria della seta, la città lariana diventa sempre più brutta. Qualche anno fa un giornale canadese pubblicò la classifica dei laghi più belli del mondo, mettendo al primo poto il Lario ( con buona pace di Cletto Arrighi, che nel romanzo “La scapigliatura e il sei febbraio” dà la palma al Lago Maggiore). Però pochi giorni dopo il “New York Times” ribatteva: “Il lago di Como è bellissimo, ma la città da cui prende nome no”. Come dargli torto? Brutta e cara. Oggi tenta di riciclarsi come città turistica. Un tempo i turisti li faceva scappare. Negli anni Cinquanta del secolo scorso, durante un “Giro d’Italia” che ebbe la cattiva sorte di toccare anche la città lariana, si arrivò a far pagare un caffè trecento lire, che allora era una cifra da capogiro. Il vizietto di scorticare i malcapitati avventori pare sia rimasto nel DNA dei ristoratori comensi. E’ di questi giorni la notizia che in un rinomato ristorante del centro storico, che offre vivande a prezzi proibitivi, s’è avuta la bella pensata di …far pagare il vuoto!!! In che senso? Nel senso che se un avventore vuol condividere la sua portata con un compagno di tavola, versandone una parte nel di lui piatto vuoto, deve pagare il 20% in più!!!
Qualcuno ha protestato, ma i proprietari sono in una botte di ferro: era tutto scritto a chiare lettere sulla lista del giorno. Se a un avventore non garbava, poteva andarsene a mangiare altrove.
Io auguro a quel ristorante di andare in fallimento al più presto. Mi dispiacerebbe solo per i dipendenti. Ma vedrete, non chiuderà. Anzi, diventerà un luogo ancora più chic, come gli straccetti firmati e la merda dì’artista. Einstein diceva: “Due cose sono infinite, l’Universo e la stupidità umana. Sull’Universo però ho qualche dubbio”.

Giovanni Tenorio

Libertino

Un pensiero su “Stupidità

  • Alessandro Colla

    Come successe a Benoit. Per fare lo spiritoso in tema di donne, davanti a qeui quattro marpioni, ci ha rimesso un trimestre di affitto. Un trimestre senza clienti può essere sufficiente per mandare in fallimento un ristorante, specie se paga l’affitto o li mutuo per l’utilizzo del locale.

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