Sogni e incubi
C’è una signora che dice di stare col popolo veneto, in nome della libertà, che è anche libertà di separarci da chi non ci va e di vivere con chi ci pare e piace. Chi potrebbe darle torto, su quest’ultimo punto? Peccato che la signora abbia poche idee e ben confuse. Innanzitutto: popolo veneto. Che intende dire? In realtà si riferisce al movimento degli indipendentisti veneti, e forse neppure a tutti in generale, bensì, in particolare, a quelli che, pur di separarsi da Roma ladrona, sarebbero disposti a ricorrere alla violenza. Intendiamoci bene: sono un gruppo di sfigati. Hanno costruito un marchingegno bellico camuffando un trattore da carro armato, hanno racimolato un po’ di fucili e pistole qua e là. Roba da ragazzini che giocano alla guerra con le pistole ad acqua, facendo pum pum con la bocca. Però l’idea di far fuoco c’era: e non era soltanto propaganda smargiassa (tipo quella bossiana dei montanari bergamaschi pronti a scendere a valle muniti di Kalashnikov, mentre era tanto se possedevano, oltre alla zappa, qualche fucile da caccia per sparare alle lepri e agli uccellini). No: dalle parole volevano passare ai fatti. E questi poveri di spirito sarebbero il popolo veneto? Se fossi veneto mi offenderei. Anche tutti gli indipendentisti di tutte le sigle messi assieme non sono il popolo veneto. E anche se si andasse a referendum e vincessero gli indipendentisti, la vittoria sarebbe degli indipendentisti, non del popolo veneto. Ma proseguiamo con ordine, e vediamo i fatti. 1) Si scopre che un gruppo di persone sta preparando un rudimentale attacco armato contro organi istituzionali. In quale Paese, anche il più liberale di questo mondo li si lascerebbe operare in tutta tranquillità? 2) I responsabili vengono incriminati e rinviati a giudizio. Forse che il fatto non costituirebbe reato in qualsiasi parte del mondo? Quale legislazione positiva può ammettere la sovversione armata? 3) Si accerta che, nelle intenzioni degli imputati, il piano eversivo non era uno scherzo di Carnevale, anche se di fatto era una carnevalata. Sono da assolvere? No. Pene miti, d’accordo, mitissime, con l’attenuante della scarsa capacità di intendere e di volere. Non c’è bisogno neppure di una perizia psichiatrica, tant’è evidente che solo chi è fuori di testa può concepire simili disegni.
La signora non sembra però rendersene conto. Sostiene, imperterrita, che i sovversivi sono trattati da traditori quando i loro piani falliscono, mentre diventano eroi se hanno successo. Vero. Che è come dire: la Storia viene scritta dai vincitori. Però c’è una bella differenza tra La Rivoluzione Francese e quattro mentecatti che vogliono liberare il Veneto dall’oppressione di Roma con un trattore camuffato da carro armato e qualche fucile raccattato qua e là. Ve li immaginate questi signori in piazza ad assalire la Bastiglia? Sarebbero finiti nella Bastiglia anche loro, a tener compagnia a quei due o tre delinquenti comuni che vi erano rinchiusi. La Bastiglia è diventata un mito perché quella sì fu una battaglia di popolo (anche se non tutto il popolo di Francia era d’accordo con i rivoluzionari, come la reazione vandeana avrebbe dimostrato). Ogni regime politico è frutto di un sopruso: può essere una guerra, può essere una rivoluzione, o un qualsiasi altro atto di violenza. Il cosiddetto contratto sociale è una panzana inventata dai filosofi, prendendo a prestito un concetto giuridico di tutt’altra natura. Chi vince -con la violenza, sempre- conquista il diritto di comandare e costruisce i miti che sorreggono l’ideologia con cui legittima il proprio potere. Pensate alla favola di Menenio Agrippa, inventata apposta per giustificare, a Roma, il dominio del patriziato sulla plebe. La plebe deve obbedire per i bene comune, lasciando che siano i patrizi a governare, sempre per il bene comune. Ha ragione Trasimaco nella “Repubblica” di Platone: chi comanda lo fa nel proprio interesse, come il pastore accudisce le pecore per tosarle.
Se un domani i veneti, in seguito a un referendum (cioè in base alla tirannia di una maggioranza, magari risicatissima) dovessero diventar cittadini di un nuovo Stato, corrispondente al territorio dove abitano, l’ideologia del nuovo potere farebbe di quel referendum un mito, nei programmi scolastici di Storia i quattro sfigati del trattore camuffato da carro armato sarebbero incensati come i primi martiri della Rivoluzione Veneta, allo stesso modo che, per la Storia insegnata nelle scuole dell’Italia post-risorgimentale, gli sfortunati protagonisti dei moti carbonari e mazziniani erano fulgidi precursori di quel processo unitario che avrebbe trovato la sua guida provvidenziale nella monarchia sabauda. Avesse vinto la reazione legittimista, che aveva il suo fondamento politico-giuridico nelle decisioni del Congresso di Vienna, carbonari e mazziniani sarebbero bollati ancor oggi come delinquenti. Si dirà che il vento della Storia soffiava in favore dei sovversivi, e che quindi i sovversivi erano obiettivamente dalla parte giusta. Può darsi. La Storia come Storia della libertà? La libertà di chi? Non certo dei contadini di Bronte, o dei poveri cristi siciliani che sotto i Borboni non erano obbligati al servizio di leva, mentre dopo l’annessione (mi correggo, la”fausta unione”: ricordate che così si corregge, davanti al Principe di Salina, il piemontese cavaliere Chevalley di Monterzuolo, nel “Gattopardo”?) sono costretti a sobbarcarsi sette anni di naja.
La signora sente soffiare il vento della Storia nei novelli moti carbonari del Veneto. Storia della libertà, come sempre. Era libertà anche quella del Fascismo: libertà vera, che superava l’individualismo borghese dei liberali nell’idea dello Stato Etico, che non ha bisogno di legittimarsi perché ha in sé stesso il principio di legittimità.
Pensate un pochino che bella libertà sarebbe quella dei venetisti d’oggi se arrivassero al potere: Chi non è veneto fa piacere di far fagotto, si accetta chi viene dalla Svizzera e dall’Austria, ma non quelli che vengono dal Sud d’Italia, anzi da tutti i popoli a Sud del Rubicone: qualcosa di simile a quello che sta facendo l’amato Trump con quelli che vengono dagli Stati musulmani.L’Adda come confine Ovest, Brescia e Bergamo entro il territorio della Serenissima, come un tempo. Se la Lombardia vorrà restare con Roma ladrona, sarà bene costruire un bel muro, per evitare che, passando per il territorio lombardo, entrino nel Veneto i terroni. A scuola si studia la lingua di Venezia (e quella di Bergamo? E quella di Brescia? E ai Bellunesi, ai Padovani, ai Veronesi, ai Vicentini andrà bene?). Naturalmente, per difendere la Patria servizio militare obbligatorio, magari a rate annuali vita natural durante, come in Svizzera. Chissà se si introdurrà il reato di vilipendio alla bandiera, visto che a sventolare sui pennoni non sarà più l’odiato tricolore, ma il gonfalone con l’alato Leon.
Esagero? Farnetico? Ammetto che sto forzando i toni: la mia vuol essere una caricatura. Ma ancor più farneticante è il sogno della signora: che vede in una auspicata secessione veneta il possibile primo passo verso una comunità libertaria, attraverso un graduale superamento dello Stato. Marx la chiamava Aufhebung, e pensava che sarebbe avvenuta quando la massa proletaria fosse diventata tanto numerosa da poter tagliare senza difficoltà la testa ai capitalisti. La signora pensa che potrà avvenire quando, a furia di secessioni, si sarà formata una marea di staterelli così piccoli che sarà una bazzecola tagliare la testa a quegli sfigati che li governano. A ognuno i suoi sogni (e i suoi incubi)