Don Giovanni

La distratta malafede di un professore

Gli indipendentisti – in particolare quelli veneti – non si stancano di denunciare le menzogne con cui, nella scuola di Stato, si condiscono le memorie dell’epopea risorgimentale: uno dei due miti -l’altro è quello della Resistenza, “novello Risorgimento”, su cui si fonda l’Italia di oggi, passata dalla monarchia alla repubblica senza soluzione di continuità (al punto che il suoi codice penale è ancora, sostanzialmente, quello firmato dal guardasigilli Alfredo Rocco, nell’anno 1930, e sono ancora in vigore molti regi decreti risalenti addirittura all’Ottocento). Ben vengano le dissacrazioni: la retorica risorgimentale va messa alla berlina, e quella resistenziale anche. Garibaldi che a Teano saluta il “Re d’Italia”? Chissà quante maledizioni gli ha lanciato sotto voce. Ferito ad Aspromonte per sbaglio “da una pallottola di rimbalzo”? No, preso di mira da un soldato dell’esercito regolare, comandato dal generale Pallavicini, quello che aveva “liberato”, non si sa bene da chi, le Marche e l’Umbria. Sempre lui, l’Eroe dei due Mondi, che dopo Bezzecca dice “Obbedisco”? Chissà quante bestemmie, dopo l’ordine regio di sospendere le ostilità. Vittorio Emanuele II che, giunto a Roma dopo la caduta dello Stato Pontificio, esclama: “Qui siamo e qui resteremo”? Macché! Pare abbia bofonchiato, in piemontese (l’unica lingua che conosceva bene): “Finalment i suma!”! L’episodio di Bronte in Sicilia, durante la spedizione dei Mille? Giustizia sommaria per mano di un tipaccio come Nino Bixio (Leonardo Sciascia ne ha fatto una ricostruzione esemplare). I “Picciotti” che si uniscono a Garibaldi? “Mafiosi”, come ben dice il Principe di Salina al nipote Tancredi che vuol arruolarsi tra le Camicie Rosse. I plebisciti con cui i popoli “oppressi” salutarono l’annessione al regno sabaudo? Una messinscena ben orchestrata, esibita al mondo intero quando ormai i giochi erano fatti. La battaglia di Lissa? Sulle navi austriache i marinai parlavano veneziano, e l’ammiraglio Tegetthoff impartiva gli ordini in veneziano. La lotta contro il brigantaggio nel Sud? Delinquenti contro delinquenti: ma i peggiori erano quelli che stavano dalla parte d ella “legalità”, vestendo la divisa militare: il generale Cialdini, il tenente colonnello Pier Eleonoro Negri e altri personaggi della loro risma. Anche tra le file della Resistenza c’erano fior di delinquenti. E per sapere in che modo, sulle ali della Mafia, gli Americani portarono in Sicilia la democrazia, nell’agosto del 1943, il recente film “In guerra per amore” di Pif vale più di tante agiografie.
Detto questo, non è proprio il caso di costruire altre mitologie, che rovesciando quelle risorgimentali si iscrivono nel medesimo spirito magniloquente e menzognero. Vero che Napoleone, da gran ladrone qual era, trafugò una grande quantità d’opere d’arte anche dalle Venezie, per donarle alla sua dolce Francia, fra cui i cavalli che ornavano la facciata di San Marco. Ma non meno ladroni erano stati i Veneziani a trafugarli da Bisanzio durante l’infame quarta Crociata, risoltasi in una guerra di cristiani contro cristiani. Tutti gli Imperi, anche i più gloriosi -direi soprattutto i più gloriosi- sono latrocinium magnum, come diceva Sant’Agostino nel “De civitate Dei”. Se vogliamo fare un discorso libertario, dobbiamo prenderne, moralmente, le distanze, il che non vuol dire disconoscerne i meriti storici. Invece gli indipendentisti ci costruiscono sopra nuovi miti, perché sono statalisti: quelli veneti sputano sul tricolore ma inalberano il gonfalone di San Marco; e sarebbero ben contenti, in una scuola statale veneta, di rendere obbligatorio lo studio del veneziano, come lingua nazionale; e magari di pretendere insegnanti veneti purosangue, impiegati pubblici veneti purosangue. Il loro idolo è Trump, costruttore di muri.
Fatti loro: però non dicano bestialità. Che sono scusabili quando proferite da qualche maldestro orecchiante di storie patrie, non da un professore universitario insignito di parecchie onorificenze, autore di prestigiosi saggi, pubblicista di rilievo e politicamente impegnato come ideologo del particolarismo modello Svizzera. Non si può scrivere, in un articolo pubblicato su un blog miglino (anche nel titolo) che il Medioevo era considerato età buia nella retorica risorgimentale. Come può un studioso di Storia raccontare una panzana del genere? Se c’è un merito da riconoscer alla scuola di Stato è proprio quello di non aver mai ostentato disprezzo per il Medioevo in nome del Risorgimento. Semmai, ha fatto proprio tutto il contrario, e, per una volta tanto, in tutta onestà. Il Risorgimento è frutto del Romanticismo, ed è proprio il Romanticismo a rivalutare il Medioevo, ravvisando, nel disfacimento del Sacro Romano Impero, la culla delle nazionalità moderne: quelle nel cui nome si vogliono fondare i nuovi Stati liberal-democratici, in conflitto con la geopolitica legittimista del congresso di Vienna. La lotta dei Comuni contro il Barbarossa, il Giuramento di Pontida , il Carroccio, la Lega Lombarda, prima di essere branditi come emblemi da Bossi e compagni contro Roma ladrona, furono simboli delle lotte risorgimentali che nella proclamazione di Roma capitale vedevano il coronamento dell’unità nazionale. Come comincia “La battaglia di Legnano ” di Verdi? Con un coro che canta -antistoricamente! Ma i miti non sono Storia- ” Viva Italia! Sacro un patto /tutti stringe i figli suoi:/ esso alfin di tanti ha fatto/un sol popolo d’eroi./ Le bandiere in campo spiega,/ o Lombarda invitta Lega…” E dove fu rappresentata per la prima volta quest’Opera? Proprio a Roma, il 27 gennaio 1949, mandando il pubblico in delirio.
Il Risorgimento contro i cosiddetti “secoli bui?”. Caro professore, Lei confonde il Romanticismo con il Neoclassicismo e l”IIluminismo. Lo lasci dire a me, che dell’Illuminismo libertino sono il rappresentante più titolato. Furono i miei due papà Da Ponte e Mozart a svillaneggiare il Medioevo, propalando la fanfaluca dello Ius primae noctis (una baggianata priva di qualsiasi fondamento storico) nelle “Nozze di Figaro”. Con il Medioevo i padri del Risorgimento, da bravi romantici, ci andavano
a braccetto.

Giovanni Tenorio

Libertino