Don Giovanni

Lo Stato è un delinquente

Lo Stato, in qualunque forma, in qualunque luogo e in qualunque tempo, è il più gran delinquente che si possa immaginare. Attraverso le sue leggi fa diventare lecito ciò che di per sé è illecito. Non mi si venga a dire che lecito e illecito sono concetti soggettivi, relativi, mutevoli; che il cosiddetto Diritto Naturale è una fanfaluca; che l’unico Diritto è quello positivo; che quindi l’autorità dello Stato è l’unica fonte di legittimità. Lo so anch’io che il Diritto Naturale è una fanfaluca, con buona pace di Murray N. Rothbard. Non ammetto però che lo Stato dichiari delittuoso un certo comportamento quando è imputabile a un privato cittadino, e invece lecito, o addirittura encomiabile, quando prescritto a un funzionario pubblico. Rubare non è soltanto un peccato secondo i Dieci Comandamenti, è anche un atto comunemente riprovato in ogni consorzio sociale che abbia raggiunto un certo grado di civiltà. In tutti i Paesi civili è sanzionato dalla legge, spesso con la carcerazione. Però lo Stato, che con la legge punisce i ladri, si comporta a sua volta come il peggiore dei ladri. L’imposizione fiscale è un furto. Eppure nel pensiero volgare, fatto proprio non solo da chi comanda, ma anche dai suoi numerosi tirapiedi, il ladro non sarebbe l’estorsore legalizzato, che agisce attraverso la longa manus delle Agenzie delle Entrate, della Polizia Tributaria e di tutti gli altri sgherri e parassiti di cui si circonda, ma il suddito che non vuole pagare ed escogita tutti gli espedienti possibili per sottrarsi alla rapina.

Nel Bel Paese che si chiama Italia un certo signore che esercitava la carica di Presidente del Consiglio, tal Giuliano Amato, pensò bene, per risanare il bilancio pubblico sull’orlo del fallimento, di rubare dai conti correnti dei cittadini una certa percentuale sui depositi. Fu salutato allora come un salvatore della Patria, ed è ancor oggi osannato. Pare che ora goda, come ricompensa delle sue malefatte, di rendite favolose, anch’esse prelevate dalle tasche dei produttori di ricchezza. Se una persona qualsiasi facesse qualcosa di simile, su scala assai più ridotta, sarebbe come minimo incriminata di furto con scasso, o anche peggio. Si farebbe un bel po’ di anni in gattabuia. Gli imbecilli dicono: ma quell’insigne statista ha agito per il bene della Patria, non per il proprio tornaconto. Rispondo che, con buona pace di Machiavelli (il quale, a dire il vero, non l’ha mai affermato, almeno in questi termini), il fine non giustifica mai i mezzi; e che la Patria, come diceva Samuel Johnson, è l’ultimo rifugio dei mascalzoni. L’esempio della Tassa sul Macinato di Quintino Sella è un pessimo esempio. Salvò dal disastro finanziario l’Italia da poco unita? Può darsi. Sarebbe come dire che per evitare che la mia famiglia finisca sul lastrico per i debiti da me contratti sbevazzando e andando a puttane, faccio bene a rubare il portafoglio del mio vicino di casa. Io sono un familista amorale e i Sella e gli Amato specchiati galantuomini? No e poi no!  Vorrei capire perché Salvini debba essere processato per sequestro di persona mentre Giuliano Amato non è mai stato processato per furto aggravato o qualcosa di peggio. Anche Salvini, per giustificarsi, tira in ballo la Patria, di cui avrebbe difeso i sacri confini. Mascalzoni tutt’e due, ma, per quanto Salvini mi sia indigesto, lo ritengo meno colpevole di Amato. Avrà anche sequestrato i migranti, ma  non ha fatto danni ai suoi concittadini.

Purtroppo c’è poco da sperare che le cose cambino, almeno finché non si riesce a sradicare quella che Larken Rose, in un suo lucidissimo libello, chiama “the most dangerous superstition”, la superstizione più dannosa, cioè la fede cieca nell’autorità dello Stato. Una vera e propria fede religiosa, che non si discute. Come il buon cristiano che accetta i dogmi di Santa Romana Chiesa continua a credere che il dio atroce dell’Antico Testamento è un Dio misericordioso, a dispetto di quanto è scritto nei cosiddetti testi sacri, e non un grande criminale, così il buon cittadino crede che tutto quanto viene comandato dalla legge positiva è buono e giusto, e anche i governanti più farabutti devono essere riveriti e obbediti, perché, come dice San Paolo, il loro potere è di origine divina. Specialmente se la legge positiva è stata approvata secondo le procedure costituzionali in un sistema democratico. Perché in uno Stato democratico, per definizione, è il popolo a comandare; e quindi anche una legge che ruba al popolo o manda il popolo a massacrarsi in una guerra contro chi non gli mai torto un capello scaturisce dalla volontà del popolo. Parole vuote, che però, se interpretate in un certo modo, potrebbero anche avere un senso e ritenersi giuste. E’ vero o non è vero che, se mi siedo a un tavolino per giocare a carte, implicitamente accetto le regole del gioco? E così pure se in un casinò voglio giocare alla roulette? L’idea lockiana del “contratto sociale” è un’altra fanfaluca, però non si può negare che, nel momento in cui un cittadino accetta di presentarsi alle urna per eleggere i propri rappresentanti e magari per scegliere un governo, accetta le regole del gioco democratico. Vogliamo dire che sottoscrive un contratto? Diciamo pure così. Di solito si afferma che chi non vota non può poi lamentarsi delle scelte governative.

L’è proprio tutta a rovescio, come diceva Renzo Tramaglino all’avvocato Azzeccagarbugli. Sono quelli che hanno accettato le regole del gioco a non potersi lamentare. Se io accetto di giocare a scopa e poi perdo, devo prendermela solo con me stesso. Se non volevo perdere, non dovevo giocare. C’è però una differenza: in politica, anche chi non gioca deve subire le conseguenze del gioco altrui. Sarebbe come se, pur non avendo giocato a scopa, dovessi partecipare coattivamente all’esborso di denaro di chi è stato sconfitto.Il voto è un modo per “fidelizzare” i sudditi, facendoli sentire cittadini. Ma ci sono tanti altri modi per “fidelizzarli”. Uno dei più subdoli è quello che io chiamo “sistema kapò”. Consiste nel far diventare alcuni sudditi complici del potere, trasformandoli in sbirri, spie, esattori. Il datore di lavoro che diventa sostituto d’imposta nei confronti dei suoi dipendenti diventa complice della rapina fiscale, mettendosi al servizio dell’Agenzia delle Entrate. Le società elettriche fanno qualcosa di simile imputando alle bollette degli utenti le somme relative al canone RAI. Gli albergatori, registrando i dati della carta d’identità dei loro avventori per comunicarli alla Polizia si trasformano, loro malgrado, in sbirri. Le banche, squadernando i conti correnti dei depositanti davanti agli occhi del fisco, che può in questo modo sapere per filo e per segno come ciascun suddito spende i proprio denaro, sono diventate il più mostruoso servitore del Grande Fratello. Sostenendo la politica governativa di ridurre il più possibile l’uso del contante lucrano sulle forme di pagamento elettroniche, e con il pretesto di rendere più efficienti le transazioni economiche aprono una nuova via della schiavitù. Un domani sarà possibile ridurre alla fame un avversario bloccandogli le operazioni per via elettronica sul conto corrente, le uniche consentite. Lo stupidone mi replica: è possibile farlo anche adesso, mettendo la moneta fuori corso. A parte il fatto che l’operazione sarebbe più lunga e complessa, si tratterebbe di un provvedimento erga omnes, inadatto a colpire solo gli avversari che si vogliono eliminare.L’ultima bella trovata del governo Conte II è quella di “fidelizzare” i gonzi attraverso la cosiddetta “lotteria degli scontrini”. Iscrivendosi a un apposito sito, si ottiene una sigla che, associata agli scontrini fiscali degli acquisti, consente di partecipare a una lotteria, dove sono in palio premi in denaro succulenti. Vi racconto una storiella.

Molti anni fa, un ragazzotto piuttosto intraprendente organizzò con i suoi amici una lotteria, mettendo in palio, fra tante cianfrusaglie, anche una bellissima sveglia. La quale, in realtà, era stata presa in prestito da una ragazza, con il patto che, con uno stratagemma truffaldino, si sarebbe fatto in modo che ritornasse nelle sue mani. Tanti gonzi ci cascarono. Il ricavato servì agli organizzatori per andare a fare una bella mangiata. Quando il padre del ragazzotto venne a conoscenza del fatto, prese il figlio a sonori ceffoni, ammonendolo che le lotterie si fanno per beneficenza, non “pro pancia”. Ecco, anche la lotteria degli scontrini è una lotteria “pro pancia”, molto più abominevole, però, per almeno due ragioni. Prima di tutto perché lo Stato può indire tutte le lotterie che vuole, mentre se è un privato a volerlo fare deve chiederne l’autorizzazione e pagare balzelli. Altrimenti è un’attività illecita. Ancora una volta quel che è lecito per il potere è illecito per il suddito. In secondo luogo perché allo Stato non basta rubare attraverso l’esazione dell’IVA sugli acquisti di beni e servizi. Vuole anche far credere di essere generoso, mettendo in palio ricchi premi. Molti gonzi cadranno nel tranello. Invece di pagare in nero, risparmiando denaro, si faranno rilasciare più scontrini che possono, col miraggio di vincite favolose. Non so bene che cosa dica la legge, ma ci scommetto che sulle vincite bisognerà pagare un’imposta. E’ un po’ come la sveglia che ritorna alla sua padrona.. A proposito di sveglia, sono i sudditi che devono svegliarsi. Non cedendo alle lusinghe del potere. Usando contanti il più possibile, ricorrendo ai pagamenti in nero e al lavoro nero, sottraendosi con tutti i mezzi al versamento delle imposte, esercitando azioni di boicottaggio e di sabotaggio. Sì, anche di sabotaggio. Se io fossi un esperto provetto di elettronica, mi divertirei a mettere fuori uso tutti gli apparati di controllo, cancellando i dati in possesso del Grande Fratello fiscale, accecando gli autovelox, mandando in tilt le apparecchiature fotografiche dei “semafori intelligenti”, e via di seguito. Per un simile divertimento sarei anche disposto, per un po’- ma solo per un po’- a rinunciare alle donne. 

Giovanni Tenorio

Libertino

2 pensieri riguardo “Lo Stato è un delinquente

  • L’iniquità del 6×1000 – prelevato dal gran ratto di chiavica a mo’ di furto con destrezza – fu aggravato dal fatto che fosse stato fatto SOLO su:

    – LIQUIDITA’ di: conti correnti e libretti di risparmio;
    – ILLIQUIDITA’ di: libretti di risparmio vincolati.

    Nulla fu prelevato su immobili, azioni e soprattutto titoli di stato (bot, btp, cct, buoni postali) su cui invece furono fatte circolare ad arte già mesi prima voci di possibili congelamenti per cui molti se ne disfarono in fretta (e io gran fesso tra quelli). Quando i conti furono ben pingui, la pantegana fu libera di agire. Mi fu detto che alcuni – con complicità magari della banca (allora si poteva ancora), datando un assegno il giorno del prelievo e trasferendolo ad un altro c/c proprio o di un famigliare – riuscirono ad evitare il balzello: ben contento per loro!

    Mi chiedo però come in un paese zeppo di giuristi e legulei nessuno abbia trovato un’eccezione di incostituzionalità su questo operato (ammesso che si debba rubare sul patrimonio che almeno non si giochi a figli e figliastri).

    Purtroppo questi particolari sembra che li ricordi e li dica sempre solo io. E, ciliegina sulla torta, il grassatore assicurò chi lo criticava che ciò avrebbe “coinciso con la fine della sua carriera politica”. Forse su Marte, qui lo vedo in circolazione e ciarlante tuttora.

    • Ho sbagliato: allora non ne possedevo, ma ora ricordo che gli immobili furono tassati eccome istituendo l’ISI poi diventata ICI, e in più fu istituito il famigerato “catasto elettrico” con grossi improperi di mio padre. Invece non vi fu nessuna “una tantum” sulle auto, come andava di moda negli anni 70, anche se sicuramente avranno aumentato benzina e bollo (non ricordo più).

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