Don Giovanni

Lo Stato è morto, lo hanno ucciso!

Ricordate la disputa al calor bianco fra evoluzionisti e creazionisti? S’è un po’ placata, ma dura ancora. A ben pensarci, è un’assurdità. Com’è possibile mettere sullo stesso piano una teoria scientifica (falsificabile, ma finora corroborata da prove sempre più stringenti) e un atto di fede? Perché la creazione è un articolo di fede, che neppur tutte le religioni condividono. Alcune ammettono un demiurgo che ha operato sulla materia eterna, preesistente. Altre parlano di “emanazione” dalla divinità. A che pro allora pretendere – come in Italia timidamente propose anche Letizia Moratti, quand’era ministra dell’istruzione – che nell’insegnamento delle Scienze il creazionismo sia presentato come un’alternativa scientifica all’evoluzionismo? Significa confondere le idee, proprio quello che una buona scuola non dovrebbe fare. Ha ragione Strephen Jay Gould: Scienza e Religione sono “non overlapping magisteria”. Non devono sovrapporsi: ciascuna per la sua strada.

Potremmo domandarci da dove derivi questa riluttanza ad ammettere che il mondo in cui viviamo possa essere spiegato, nella sua formazione, senza l’intervento di un creatore. Ce lo spiega la stessa teoria dell’evoluzione: è un meccanismo adattativo, acquisito dal nostro sistema cerebrale. L’uomo della foresta è indotto a credere che ogni rumore, fosse anche soltanto un refolo di vento, sia prodotto da un essere senziente e volitivo: grazie a questo riflesso condizionato è sempre pronto a reagire per difendersi in caso di attacco; cosa che non accadrebbe se rimanesse indifferente a segnali che potrebbero essere di pericolo (un’aggressione), anche se spesso sono soltanto falsi allarmi (il vento). Di qui l’idea che tutto ciò che esiste debba avere come causa un essere intelligente e onnipotente.

Oggi a un dio creatore, tranne pochi fanatici e qualche ministro dell’istruzione, sono pochi a credere senza se e senza ma. Si direbbe che anche i preti abbiano qualche dubbio: la Chiesa cattolica ormai è “un ospedale da campo”, una grande Onlus, e nulla più. Ricordate il Nietsche della “Gaia scienza”? Un Folle arriva sulla piazza del mercato a gridare che Dio è morto, anzi è stato ucciso. Tutti lo guardano stupiti, non capiscono che cosa voglia dire. La cosa li lascia abbastanza indifferenti. Eppure ha detto una grande verità.

A morire però è il Dio della tradizione giudaico-cristiana ( quello dei musulmani per ora è vivo e vegeto). Per i condizionamenti evolutivi di cui sopra si diceva, l’uomo tuttavia continua ad aver bisogno di credere in una divinità. Morta una, deve crearsene un’altra. Non aveva torto neanche Feuerbach: non è Dio a creare gli uomini, sono gli uomini a creare Dio. E l’ultima creatura divina degli uomini non è la Scienza, come dicono i cretinetti: com’è possibile, con tanto antiscientismo (opposizione ai vaccini, agli OGM) e pseudoscientismo (riscaldamento globale di origine antropica) dominanti? Il nuovo Dio è soltanto uno: lo Stato. Una volta si diceva: come potrebbe esistere il mondo se qualcuno non l’avesse creato? Come potrebbe il cosmo essere così ordinato se non esistesse un ordinatore? Come potrebbero operare le leggi della fisica e della biologia se qualcuno non le avesse sancite con un atto di libera volontà? Oggi si dice: come potrebbe esistere una società senza qualcuno che l’abbia formata, emancipandola dallo stato ferino? Come potrebbe un consorzio umano sopravvivere senza qualcuno che lo governi con leggi e sanzioni? Come potrebbe operare un libero mercato senza qualcuno che ne fissi le regole e ne garantisca la libertà? Impossibile! Quindi lo Stato è una necessità, non potrebbe essere ucciso. Nessun Folle potrà mai venire a gridare che lo Stato è morto. Lasciamolo credere a quei poveri mentecatti che si definiscono anarchici.

Mi sono divertito un mondo a leggere, in questi giorni, un bell’editoriale di Ernesto Galli della Loggia. Dico “bello” senza nessuna ironia, perché l’illustre storico e politologo che lo firma è persona garbata, intelligente, e inoltre ha il pregio, sempre più raro nei nostri tempi, di scrivere bene. Dice spesso molte cose che mi sento di condividere. Ma questo suo panegirico dello Stato proprio no! In breve, che cosa dice? Riprendendo, e condividendo, un precedente articolo di Giavazzi in cui si notava, con rammarico, che in Italia il mercato è da sempre guardato con sospetto, per un’ideologia statalista assai diffusa presso tutti i ceti, il Nostro cerca di individuare le ragioni di tale statalismo, e crede di trovarle nel fatto che, in Italia, lo Stato….non c’è”!!! Dirà qualcuno:”Ma se ce lo troviamo davanti a romperci i coglioni ad ogni piè sospinto!” Calma, calma. Questo non è il vero Stato. Il vero Stato non vende le imprese pubbliche agli amici degli amici, com’è accaduto in Italia. Il vero Stato non concede privilegi ai potenti. Il vero Stato non permetterebbe lo sfruttamento dei dipendenti Amazon, come purtroppo sta capitando. In somma, il vero Stato è giusto e pio.
Come il Dio d’una volta. Ma dove mai l’ha visto Galli della Loggia questo Stato giusto e pio, che crea il mercato e lo regola per il meglio, così come la Provvidenza governa il Creato? Che ci sia ciascun lo dice, dove sia nessun lo sa. Proprio come il Dio della Bibbia, che dovrebbe essere un Dio di somma giustizia, ma a un certo punto si pente di aver fatto l’uomo (che sarà mal fatto, ma non per propria colpa) e stermina l’umanità con il diluvio; ordina a un povero padre di scannare il figlio e offrirglielo in sacrificio, per poi dirgli, all’ultimo momento che è stato soltanto uno scherzo; accoppa tutti gli incolpevoli primogeniti degli Egizi per punire il faraone, incita il suo popolo eletto a invadere una terra occupata da altri e a passare a fil di spada i nemici, compresi vecchi donne e bambini, e invita ad altre prodezze del genere, degne delle peggiori canaglie. Ecco, lo Stato fa la stessa cosa. Pretende il monopolio della violenza, con la scusa di controllarla meglio, ma diventa il più violento masnadiero attraverso la guerra, costringendo il suddito a sparare contro chi non gli ha mai torto un capello, bollato come nemico (e solo il monopolio della violenza può portare alla costruzione della bomba atomica. Senza lo Stato, nessun delinquente avrebbe mai avuto i mezzi per costruirsela). Estorce denaro a titolo di imposta, per il bene dei sudditi (così dice), offrendo in cambio servizi spesso scadenti, che potrebbero essere messi a disposizione dall’iniziativa privata in mille altri modi (a fine di lucro, per beneficenza, secondo un sistema cooperativo ecc ecc.). Come il pastore – lo diceva Trasimaco nella “Repubblica” di Platone – finge di voler bene alle pecore, ma il suo unico fine è quello di tosarle. Anzi, spesso è molto meno accorto del pastore: spreme i sudditi a tal punto da renderli improduttivi. Il pastore non ridurrebbe mai le pecore a tal partito, altrimenti addio lana.

E veniamo alla questione del libero mercato, fulcro dell’articolo di cui stiamo parlando. Lo Stato garante del libero mercato? Ma vogliamo scherzare? Non lo è mai stato e mai lo sarà. Non è un’anomalia riguardante soltanto lo Stato italiano, anche se è vero che il Bel Paese, morto Cavour, è stato sempre retto da un regime illiberale e protezionista, che ha favorito a suon di dazi il grande capitale del Nord e il latifondismo del Sud, deprimendo quelle attività che, in un mercato più libero, avrebbero potuto sollevare dalla miseria popolazioni costrette invece spesso a emigrare per sopravvivere. Diceva Gobetti: “Le classi borghesi mancano di una coscienza capitalistica e liberistica, e cercano di difendersi, di non lasciarsi sopraffare partecipando esse pure all’accordo (con le classi parassitarie, n.d.r.) e facendosi pagare in dazi doganali e sussidi ciò che devono elargire in imposte. L’operaio e l’agricoltore non usano avvedersi di questo ultimo anello della catena per cui il beneficio iniziale torna a ricadere su di loro. Mancando di iniziativa coraggiosa hanno bisogno di delegare, anche a proprio danno, allo Stato la funzione di allontanar l’imprevisto e il pericolo”. *

“Delegare , anche a propri danno, allo Stato la funzione di allontanar l’imprevisto e il pericolo”. Non si potrebbe dir meglio: ecco come nasce lo Stato assistenziale, con il pretesto machiavellico dell’assistenza pubblica a beneficio di tutti i sudditi. In questo modo da un lato si distorce il mercato, sviando risorse che altrimenti prenderebbero altre strade, dall’altro si svilisce la beneficenza privata, che in altri tempi sopperiva egregiamente alle necessità dei più deboli. Ma lo Stato assistenziale, il cosiddetto Welfare, non nasce con il Giolitti tanto inviso a Gobetti, nasce, un bel po’ prima, con Bismarck, e si perfezionerà con Mussolini Hitler, Roosevelt, Beveridge.

Dov’è il libero mercato? Forse ha ragione Kevin Carson, che vede Capitalismo e Statalismo nascere insieme da un’unica radice, agli albori dell’evo moderno**
Se la sua tesi è corretta (e temo proprio che sia tale) il libero mercato non è mai esistito, proprio per colpa dello Stato (in combutta con il grande capitale). Quindi, con buona pace di Galli della Loggia, è assurdo pensare che oggi proprio lo Stato possa esserne il garante. La situazione è addirittura peggiorata, grazie alla difesa strenua della proprietà intellettuale, che produce rendite enormi, al sistema bancario a riserva frazionaria governato dalle banche centrali, a una finanza onnipervasiva che è condizionata dalle manovre dei banchieri centrali, dalle agenzie di “rating” sensibilissime ai desiderata del potere politico-finanziario, dal debito pubblico e dalle politiche fiscali.

Stando così le cose, la lotta di noi anarchici si presenta davvero ardua, per non dire disperata. Ma non bisogna demordere. Forse arriverà un giorno in cui il Folle potrà gridare. “Lo Stato è morto, lo hanno ucciso!”, tra l’indifferenza dei più.


(*) PIERO GOBETTI, La rivoluzione liberale. Saggio sulla lotta politica in Italia, Torno, Einaudi, 1964, quinta edizione, pagg.160-161.
(**) KEVIN CARSON, Does “Free Market ” even mean anything”? in “Center for a stateless society” , 27 marzo 2016. “L’unica conclusione a cui posso arrivare è che l’espressione “libero mercato”, così come la stragrande maggioranza la utilizza normalmente, significa semplicemente “il sistema che abbiamo ora”, opposto (forse?) alla socialdemocrazia o ad un’idealizzata economia da New Deal. Ma è certo che ciò che abbiamo ora è tanto statalista quanto le socialdemocrazie o il New Deal; con l’unica differenza che lo stato sta meno dalla parte dei sindacati e dei poveri (…) Se politici, teste parlanti o intellettuali accademici vogliono parlare di capitalismo corporativo, che facciano pure. Ma che la smettano di dire che il sistema in cui viviamo oggi ha qualcosa a che fare con la libertà” (Traduzione di Enrico Sanna).

Giovanni Tenorio

Libertino