I vecchi e i giovani
Non tutti hanno, come me, la fortuna di essere nati adulti, alla maniera di Atena dalla testa di Zeus. E’ la sorte invidiabile di chi è fatto della sostanza dei sogni. I miei due padri, Da Ponte e Mozart, mi hanno generato così, anarchico, libertino, irriverente, e così rimarrò in eterno. Non sono diventato quel che sono. Io semplicemente sono quel che sono. Intendiamoci bene: non è che mi abbiano creato proprio dal nulla. Hanno preso un ferrovecchio inventato dai Gesuiti per far venir la cacarella agli scapestrati cristianucci, dipingendo nel modo più spaventoso la punizione che attende i reprobi tra le fiamme dell’inferno, e sulle orme di qualche precedente, grandiosa rivisitazione (in primis, quella di Molière) l’hanno trasformato nell’emblema della libertà. Io sono l’emblema della libertà assoluta, dell’anarchia senza specificazioni.
Purtroppo, chi non è nato dalla testa di Zeus o non è fatto della sostanza dei sogni deve imparare dall’esperienza. Deve diventare quello che sarà, talvolta a fatica, tra mille dubbi e ripensamenti, fra entusiasmi fragili e delusioni cocenti. C’è qualcuno che non diventa un bel niente. Rimane sempre bambino. A sessant’anni e più ragiona come quando ne aveva venti, o magari dieci. Uno così è da compiangere. Non appartiene a tale schiera un mio vecchio, caro amico, che ho incontrato qualche giorno fa, dopo lunghi anni di mancata frequentazione, dovuta a spiacevoli circostanze che qui non è il caso di spiegare. Lo ricordavo come un liberale classico, devoto al mito dell’Italia risorgimentale, in maniera più moderata a quello della Resistenza, europeista convinto, fiducioso nell’avvenire della democrazia rappresentativa, corroborata da meccanismi perequativi e assistenziali a favore dei ceti più deboli. Un fautore, in somma, di quella che una volta si chiamava politica lib-lab, la “terza via” di un Ralf Dahrendorf o di un Anthony Giddens, che intendeva fondere il meglio del pensiero liberale con il meglio del socialismo democratico. Quanto mutatus ab illo! Mi sono bastati pochi minuti per comprendere che è diventato più anarchico di me.
Quel che più mi ha fatto piacere è stato sentirgli dire, come io ho sempre sostenuto, che partire dal liberalismo per arrivare all’anarchia non è una contraddizione, ma, al contrario, un percorso di grande coerenza. Che il liberalismo sia un anarchismo temperato dal senso della realtà lo disse una volta Nicola Matteucci. Io mi permetto di obiettare, con tutto il rispetto per il grande politologo, che quanto sembra utopia oggi può essere senso comune domani.Tutto questo bel discorso per dire che bisogna maturare, non si nasce con la scienza infusa, non si nasce saggi. Negli anni dell’infanzia e dell’adolescenza, in qualunque Paese si nasca, in qualunque sistema politico si viva, si viene immersi in un sistema educativo che in gran parte è anche indottrinamento. Indottrinamento privato, da parte della famiglia; indottrinamento pubblico, da parte della scuola di Stato. I preti fanno la loro parte: oggi hanno perso gran parte del loro seguito e del loro prestigio, ma non demordono. Per nostra fortuna, molto spesso entra in gioco l’eterogenesi dei fini: lo stesso sistema educativo che è stato escogitato per forgiare le giovani menti in un certo modo, contiene in sé gli anticorpi grazie ai quali le persone più intelligenti trovano il grimaldello per liberarsi dai pregiudizi e dai dogmi di cui sono stati imbottiti. Quanti liberi pensatori sono usciti dalle scuole dei Gesuiti! In senso lato, per le ragioni suddette, si può affermare che anch’io sono uno di loro. Si è soliti lodare la freschezza e la spontaneità dei giovani, i cui sentimenti e i cui ideali non sarebbero ancora stati contaminati dall’opportunismo degli adulti e dalle ipocrisie della società. Io credo invece che avesse ragione Benedetto Croce, quando diceva che il compito dei giovani è quello di invecchiare, nel senso di maturare, attraverso lo studio e l’esperienza.
Ecco perché mi vien da sorridere quando penso a Greta Thunberg e alla sua rivale Izabella Nilsson Jarvardi. In un certo senso sono tutto l’opposto dei contestatori del Sessantotto, pur crogiolandosi nella stessa immaturità. Quelli pensavano di ribaltare il mondo sovvertendo dalle radici l’odioso sistema capitalistico. Avevano qualche ragione quando, negli Stati Uniti, si battevano contro la guerra del Vietnam. Non avevano tutti i torti quando denunciavano il vecchiume e il nepotismo del mondo accademico. Sbagliavano su tutta la linea quando proponevano, come modello alternativo al marciume liberal-democratico, la Cina di Mao, con la sua famigerata “Rivoluzione Culturale”.Sulle orme di Marcuse e della Scuola di Francoforte bollavano le libertà dell’Occidente capitalistico come false libertà, dipingevano il cittadino delle democrazie liberali come un “uomo a una dimensione”, snaturato da un consumismo mortificante, ma proponevano un rimedio di gran lunga peggiore del male. Le due ragazzine d’oggi , a dispetto delle apparenze, non sono affatto contro il sistema. Tant’è vero che sono state subito accolte a braccia aperte da tutti quelli che, da una parte o dall’altra, da sinistra o da destra, per dirla in soldoni, vedono nell’una o nell’altra la scintilla capace di trasformare in fiamma ardente i loro ideali. Sono due ragazzine alla moda! La Thunberg segue la moda di sinistra, tutta incentrata sul tema dell’ecologia e del riscaldamento globale di origine antropica. Chi ha il coraggio di fare opposizione, davanti a questi temi? Pochissimi, quasi nessuno. L’ecologia è di moda almeno dalla fine degli anni Sessanta. Ricordo un vecchio preside di scuola media che a quei tempi, come commissario a un esame di abilitazione, si lamentava di dover correggere una sfilza di elaborati che avevano come unico argomento i problemi ecologici. Allora non si parlava di riscaldamento, ma di raffreddamento globale. Si paventava l’avvento di una nuova glaciazione. Sono bastati pochi decenni perché quella paura si capovolgesse nel suo opposto. Era una sciocchezza allora ed è una sciocchezza adesso. Se la Thunberg vorrà studiare e maturare, forse imparerà che al tempo di Annibale la temperatura media era più alta di adesso, altrimenti il grande generale cartaginese non avrebbe potuto attraversare le Alpi con i suoi elefanti. Lo dice Carlo Rubbia, che non è l’ultimo cretino. Ma chi lo ascolta? Non certo il papa dell’enciclica “Laudato si'”, che non ha trovato il tempo di celebrare una messa davanti a Notre Dame dopo l’incendio e ha dedicato poche parole burocratiche all’eccidio di cristiani nello Sri Lanka, ma ha accolto ufficialmente con tutti gli onori la ragazzina ecologista, invitandola a continuare (a far che cosa? A proclamare bigiate scolastiche?). Anche la presidente del Senato, nonostante tutto quello che bolle in pentola in questi tempi tumultuosi per la politica italica, non si è lasciata sfuggire l’occasione di accoglierla e di lodare la grande missione che si è assunta.La rivale Izabella ha idee di segno opposto, ma anche lei segue la moda. Negli ambienti che per comodità possiamo chiamare “di destra”, che cosa c’è di più acclamato del sovranismo, del patriottismo, delle bandiere, degli inni nazionali, delle radici, dell’identità, del servizio militare obbligatorio, degli sbirri, dei prefetti, della lotta all’invasione islamica, dei dazi, delle barriere doganali… e via di seguito? A proposito, avete visto chi si è rifatto vivo dopo tanti anni di silenzio, con la chioma un po’ più bianca e la solita voce dissonante? Il colbertista Giulio Tremonti, quello che imprecava contro il mercatismo. Nel suo ultimo libro tira in ballo addirittura Goethe e Giacomo Leopardi per stigmatizzare l’avidità del turbo-capitalismo e il deserto morale della globalizzazione. Non era lui a dire che la cultura non si mangia? Con Goethe e Leopardi, non so quanto citati a proposito, qualche bel gruzzoletto riuscirà a raggranellarlo. Di solito i suoi libri hanno un certo successo. Ci scommetto che anche la Izabella ne comprerà una copia. Tremonti ormai non matura più, Izabella invece ha tutto il tempo di maturare. Forse allora capirà che il capitalismo di oggi è per molti aspetti esecrabile, ma il mercato in sé è una cosa buona: con tutti suoi difetti, come tutte le istituzioni umane. Capirà che si può amare il luogo dove si è nati e la cultura in cui ci si è formati, senza aver bisogno di carte d’identità, passaporti e altre brutture del genere; senza dover per forza appartenere a una determinato Stato-nazione, solo perché si è avuta la ventura, o la sventura, di nascere in un certo territorio e non in un altro. Forse capirà che le frontiere, come diceva Einaudi, sono un segno di barbarie. Che tra gli immigrati ci possono essere canaglie e anche terroristi, ma per la maggior parte sono persone desiderose di lavorare e di integrarsi: semplicemente, se delinquono devono essere puniti allo stesso modo dei nativi, perché la legge deve essere uguale per tutti. Che gli sbirri sono burocrati armati di manganello, incarnazione del monopolio della violenza. Che non è proprio il caso di esaltare le guerre vittoriose del passato, perché ogni guerra è sempre portatrice di lutti. Che se c’è una battaglia degna di essere combattuta, è quella contro il militarismo e il proliferare degli armamenti, riprendendo le esortazioni di Einstein, di Russell e dell’ultimo Cassola. Che gli inni nazionali è meglio buttarli al macero, anche perché, tranne qualche eccezione, sono uno più brutto dell’altro. Che l’unica sovranità accettabile è la sovranità sopra sé stessi.
I contestatori del Sessantotto, divenuti adulti, quando non sono finiti tra le file del terrorismo, si sono accomodati sulle poltrone di quel sistema che tanto esecravano, godendo di quegli stessi privilegi che a suo tempo dicevano di voler combattere. Le ragazzine di oggi, e i loro coetanei che le hanno elette a guide e banditrici di un verbo salvifico, nel sistema ci sono già dentro, fino al collo. Chissà mai che, maturando, non decidano di contestarlo, rovesciando il percorso dei sessantottini. Ci sarebbe davvero da divertirsi.
Rubbia non sarà l’ultimo cretino nella sua materia, nel resto forse sì.
Annibale attraversò a fine ottobre, poteva anche non esserci la neve, ma non vuol dire nulla (anche ai nostri giorni in inverno spesso manca e devono spararla coi cannoni) e il freddo lo si può comunque superare con coperture che bardano gli animali.
Sappiamo comunque dalle cronache di Polibio che, di una trentina di elefanti, metà morirono a causa di frane e slavine (neve!?) e che entro un’anno erano comunque tutti morti (tranne uno).
Ma gli animali robusti a sangue caldo comunque reggono piuttosto bene il clima, purchè abbiano cibo in abbondanza e infatti negli zoo italici (quando c’erano) vivevano senza problemi di freddo.
Secondo me, la vera impresa di A. è di avere provveduto non so come ad alimentare i pachidermi, considerato che mangiano due quintali al giorno. Se anche avesse trovato un clima idilliaco e una natura rigogliosa per autoalimentarsi, l’elefante per pascolare ci impiega tutta la giornata. Probabilmente i soldati usavano le spade anche per far erba per i pachidermi e/o razziavano sul percorso fieno e cibo nelle fattorie che incontravano.
Nooo, ho scritto un anno con l’apostrofooooo!!!
Rubbia non è un cretino, neanche quando parla di argomenti che esulano dalla sua disciplina. Come non è un cretino il Chrichton di “Stato di paura”, a dispetto delle insolenze che il vecchio Giovanni Sartori si permise di proferire contro di lui, in più di un articolo del “Corriere della sera”. Chi li critica, spieghi bene in che cosa sbagliano. Affermare che un’impresa inimmaginabile fino a quel momento come l’attraversamento delle Alpi da parte di Annibale può essere stata resa più agevole da condizioni climatiche diverse da quelle d’oggi non mi sembra una sciocchezza. Dispiace che chi fa obiezioni alla vulgata del riscaldamento globale di origine antropica, portando argomentazioni degne di essere prese in considerazione ( magari per respingerle, ma sul piano razionale), venga bollato come “negazionista”, e in tal modo implicitamente assimilato a chi nega la Shoah accampando ragioni che sarebbero risibili se non fossero agghiaccianti. Né si venga a dire che la Scienza ha dimostrato la fondatezza della teoria comunemente accettata. La Scienza non dimostra proprio nulla, semplicemente falsifica. Chi vivrà vedrà se hanno ragione gli scienziati che, in maggioranza, sostengono l’origine antropica del riscaldamento (anch’esso del tutto opinabile) o quelli che la negano. La Scienza, per nostra fortuna, non ha nulla che fare con la democrazia: quella democrazia che, in Italia, ha messo al bando il nucleare caricando la bolletta elettrica di balzelli vergognosi a sostegno di energie alternative costose e inefficienti, e ci ha regalato le orride pale eoliche e le tristi distese di pannelli fotovoltaici, come se il paesaggio italico, il “giardino d’Europa” di un tempo, non fosse già abbastanza deturpato.
“Ofelè fa el to mestè”
Perchè uno che si occupa di fisica della particelle e meccanica quantistica deve .dare lezioni di climatologia? La sua credibilità e pari a quella della Thunberg.
Quand’anche fosse stato più caldo il clima (Rubbia parla di +1,5°, confutato da altri citati sotto) non erano certo temperature tropicali tali da agevolare Annibale. Ho riletto le cronache di Polibio e parlano proprio di gran freddo alpino con neve, ghiaccio, frane (oltre ad attacchi di popolazioni ostili) che falciarono via gran parte della forza armata di Annibale: non solo elefanti, ma anche uomini, muli, cavalli.
Per quanto riguarda l’aspetto tecnico dei dati sciorinati da Rubbia:
– Ugo Bardi Università di Firenze
– Claudio della Volpe Università di Trento
li criticano tutti argomentando bene e si trovano in rete facilmente.
Solita storia di perizie e controperizie. Io non so e non mi interessa sapere chi ha ragione (anche se, il fatto che Rubbia sia portato in palmo di mano da uno come Nicola Porro, mi indurrebbe subito a stare dall’altra parte); mi interessa solo l’episodio di Annibale e citarlo come presunta prova, beh questa è proprio una cazzata megagalattica.
“Perché molti scienziati concordano sul riscaldamento globale dovuto all’attività umana? Perché hanno costruito modelli matematici buoni alla bisogna. Ricorrono a troppi parametri liberi, arbitrari. Alterano i calcoli con delle supposizioni per fare in modo che risultati diano loro ragione. Ma il metodo scientifico è un’altra cosa” (Antonino Zichichi). In somma: se è vero, come diceva Leonardo, che “nessuna umana investigazione si può denominare vera scienza s’essa non passa per le matematiche dimostrazioni”, rimane altrettanto vero che è l’esperienza a corroborare o a falsificare un modello matematico. Le “dimostrazioni” dei molti studiosi che imputano all’azione umana i cambiamenti climatici assomigliano ai modelli di cui si fregiava il saggio sui “limiti dello sviluppo” del Club di Roma: matematicamente eleganti, ineccepibili, ma del tutto campati per aria, e smentiti pochi anni dopo dalla “realtà effettuale”. Secondo quei modelli, oggi dovremmo essere senza una goccia di petrolio; invece, almeno per ora, sul petrolio galleggiamo (fra una cinquantina di anni si vedrà, se qualche meteorite -di cui nessuno parla- non avrà fatto fare all’umanità la fine dei dinosauri). Quanto alle supposizioni per far quadrare una teoria, si tratta di quelle che Karl Popper chiama ” reinterpretazioni ad hoc”: ne sono un esempio assai calzante i famosi “epicicli” cui facevano ricorso i sostenitori del sistema aristotelico- tolemaico per spiegare certe caratteristiche “anomale” dei movimenti planetari, che il sistema copernicano-alla fine risultato vincente-spiegava molto meglio.
Rifiutare un’argomentazione, per quanto opinabilissima, perché sostenuta da uno studioso stimato da un tale che ci è antipatico è un argomento “ad personam” che non credo abbia qualcosa che fare con la scienza. A me Zichichi è antipatico, e non poco: il che non mi impedisce di aderire pienamente alle sue osservazioni sopra riportate.
Il capitalismo non è affatto per “molti aspetti esecrabile”. Purtroppo la natura truffaldina del denaro e del credito odierno, a cascata producono effetti perversi, compresa questa specie di monopoly truccato in cui siamo immersi. Possiamo chiamarlo creditismo o debitocrazia, oppure schema Ponzi, ma una cosa è certa: non è capitalismo. Così come non condivido quanto ha espresso in passato uno studioso e ricercatore libertario, nostro connazionale, in merito al dualismo tra denaro fiat e “legge fiat”, che solo a collasso avvenuto della seconda, sia possibile come in un domino il crollo del secondo tassello; a mio modesto parere, è invece possibile l’esatto opposto, di fatti la burocrazia continua ad espandersi proprio grazie alla produzione senza fine di questo denaro disonesto di natura demoniaca, e non c’è Maastricht o patto di stabilità che tenga. E’ pur vero come il denaro fiat attuale debba le sue origini dall’avvento del cartalismo della fine dell’800, proprio alla legge perversa, ma poi il rapporto s’è totalmente ribaltato in favore del primo, e grazie a vari sotterfugi (exchange standard, guerre mondiali, Bretton Woods) è riuscito a sopravvivere sino ad oggi, ma ormai siamo al fine corsa per nostra fortuna, e si potranno promulgare tutti gli editti o leggi che si vogliano, ma all’emorragia di fiducia non ci sarà rimedio.
Io dico che il capitalismo è orrido perché parlo del capitalismo così com’è, non come vorremmo che fosse. Il capitalismo così com’è è quello che prospera grazie alle connivenze con lo Stato (che spesso ne protegge le rapine), ai dazi, ai finanziamenti pubblici, ai brevetti, alla proprietà intellettuale e a quella moneta “fiat” che è il cancro dell’economia mondiale. Chi vede nell’ambito del mondo cosiddetto civile e sviluppato qualcosa di diverso, me lo segnali. Cerchiamo di non commettere lo stesso errore di quei marxisti che esaltano il comunismo come vorrebbero che fosse, vedendo in quello storicamente attuato una degenerazione di una idea in sé nobile. Parliamo piuttosto di economia di mercato, dove anche i mezzi di scambio, emessi da singoli soggetti non sottoposti a un’autorità monetaria di ultima istanza, siano in concorrenza tra loro. C’è qualcuno che vede in giro un sistema del genere? Impossibile, finché esiste lo Stato. Quando si dice che il mercato può operare solo nell’ambito di una legislazione positiva (e quindi statale) si dice una sciocchezza. Anche il diritto, come ci ha insegnato Bruno Leoni e un fine giurista quale Fabio Massimo Nicosia ribadisce, nasce da una dinamica concorrenziale. Quindi il mercato si autoregola non solo sul piano economico propriamente detto, ma anche su quello giuridico. L’ho detto e lo ripeto: solo il mercato, quello vero, è anarchico. Il che non vuol dire che sia la panacea di tutti i mali. Alla stregua di tutte le cose umane è difettoso e fallibile (come rimane vero che i valori morali e spirituali si sottraggono alle logiche di mercato: sul mercato si compra il sesso, non l’amore; molte schifezze della cosiddetta arte moderna si vendono a prezzi proibitivi, ma rimangono merda, come quella famosa di Piero Manzoni). Quando si troverà qualcosa di meglio (che garantisca più libertà, oltre che più benessere) sarò ben contento di accettarlo. Il meglio non è certo il capitalismo “reale”oggi dominante.