Don Giovanni

Governo pasticcione

Una lettera al “Corriere” di Luigi Di Maio viene pubblicata come un vero e proprio articolo, con un richiamo in prima pagina e  il testo completo in bell’evidenza all’interno. Era proprio il caso? Si tratta di un panegirico dell’azione di governo, nel quale si sottolineano enfaticamente i presunti meriti della coalizione populista che regge l’Italia ormai da un anno, con un consenso ancora molto forte, a dispetto dei guasti che ha provocato, avviando il Paese al precipizio.

Quel che più sconcerta, in tutto quell’argomentare pieno di presunzione, è il punto i cui si parla della cosiddetta “flat tax”, la “tassa piatta” che era nel programma elettorale della Lega e che è stata recepita, con qualche riluttanza da parte dei Cinquestelle, nel famigerato “contratto di governo”. Per ora la tanto sbandierata imposta unica sarà soltanto un moncherino (ammesso e non concesso che venga approvata, viste le lugubri aspettative economiche, con  crescita zero e  debito in aumento): riguarderà i redditi fino a 50.000 euro e si articolerà in almeno due scaglioni. Quindi non ha proprio nulla di “piatto”, né all’interno della fascia di reddito cui si riferisce, né, a maggior ragione, all’esterno. C’è addirittura il pericolo, se non si inventerà qualche marchingegno ad hoc, che chi guadagna un reddito di 55.000 euro lordi, collocandosi in uno scaglione dove opera un forte scatto progressivo, finisca addirittura di trovarsi in saccoccia un gruzzolo inferiore a quello di chi ne guadagna solo 50.000.

Governi pasticcioni se ne sono visti tanti, ma qui abbiamo raggiunto il limite più basso. E sapete che dice Di Maio a proposito della “tassa piatta”? Che è giusto approvarla, a patto di salvaguardare la proporzionalità, per non danneggiare il ceto medio. Ma come? Non si è sempre detto che la “flat tax” è ingiusta perché elimina la progressività, sancita nella Costituzione più bella del mondo, a favore della proporzionalità, favorendo così i ricchi? Viene il sospetto che Di Maio avesse in mente il concetto di  “progressività”, e a quello volesse alludere, ma non avendo le idee ben chiare sul significato tecnico di parole che pur sono diventate di dominio comune,  abbia scritto “proporzionalità”. Il sospetto si acuisce quando, il giorno successivo, quel passo dell’articolo viene citato dal medesimo quotidiano sostituendo “progressività” a proporzionalità”. Quale manina misteriosa  ha avuto la misericordia di provvedere  alla correzione?
Bella gente si trova a capo di delicati dicasteri economici! Ma forse sono io in mala fede. Se Di Maio volesse proprio parlare di “proporzionalità”, riferendosi all’effetto perverso di cui si è parlato sopra, per cui chi guadagna 55.000 euro si ritroverebbe più povero di chi ne guadagna 50.000? Assai improbabile, per due ragioni. Prima di tutto perché la mente di Di Maio non è così lucida da saper fare certi calcoli, e gli economisti (?) che gli fanno da consiglieri sono quasi più somari di lui. In secondo luogo, se così fosse, come spiegare la correzione di quella misteriosa manina?

Giovanni Tenorio

Libertino