Disastro scolastico
Fu Paolo Isotta, critico musicale e uomo di profonda cultura, uso a cantare fuori del coro e a irridere il politicamente corretto, a dichiarare in una sua intervista, rintracciabile anche in rete, che la Facoltà universitaria di Psicologia è il rifugio dei falliti. Sono pienamente d’accordo, ed è per questo motivo che qualche mese fa rimasi di stucco quando un certo signore di mia conoscenza, dopo avermi magnificato il brillante curriculum scolastico della figlia, in procinto di sostenere l’esame di Stato (come oggi si chiama la vecchia Maturità) dopo cinque anni di Liceo Classico, mi spiegò che era intenzionata a iscriversi a Psicologia. Per far poi che cosa? Per infoltire la schiera dei disoccupati, insieme a legioni di laureati in Scienze Politiche o Sociologia o altre discipline “molli” di questo tenore? Intanto un po’ in tutta l’Italia turistica si fatica a trovare camerieri e personale alberghiero; e se i numerosi posti rimasti vacanti in quel settore saranno occupati da stranieri, sentiremo levarsi il solito miagolio di chi depreca che gli immigrati rubano il lavoro ai nativi: “Prima gli italiani!” (è il modello degli svizzeri, che ogni tanto fanno qualche referendum per “cascià via i tagliàn, salvo accorgersi all’ultimo momento che senza di loro dovrebbero chiudere tutte le fabbriche e nessuno accetterebbe di lavorare nei giorni di festa nei centri commerciali).
A tutto questo pensavo nei giorni passati leggendo le solite polemiche sulla scuola italiana, in seguito ai risultati delle prove INVALSI (l’organismo ministeriale che valuta i risultati del sistema scolastico nel suo complesso), da cui risulterebbe una preparazione scadente degli studenti che poi magari otterranno il diploma, alla fine dei loro corsi di studi, con votazioni buone o addirittura ottime. Molti faticherebbero addirittura a comprendere un testo di media difficoltà, ad esempio l’editoriale d un quotidiano. Le conoscenze e le abilità nella Matematica e nelle scienze “dure” come la Fisica sono di basso livello. Non dappertutto, a dire il vero: ci sono aree che si difendono bene, soprattutto nel Nord. Pare, anzi, che il divario Nord-Sud si sia accentuato anche in campo scolastico dopo l’introduzione del decentramento amministrativo regionale, nell’ormai lontano 1969, per rafforzarsi ancor di più dopo la riforma del Titolo V della Costituzione (voluta dalle sinistre per tagliar l’erba sotto i piedi alla Lega) e, secondo Galli della Loggia, destinata a raggiungere il suo culmine se passerà la riforma delle autonomie caldeggiata da Salvini.
Vi chiederete che cosa c’entri tutto questo con quanto si diceva all’inizio a proposito della Facoltà di Psicologia. C’entra, e come! Perché, a mio parere, se si vuol rimettere in ordine il sistema scolastico, ridonandogli la dignità che da tempo ha perduta, bisogna proprio far piazza pulita degli psicologi, non produrne più. Sono capaci solo di far guasti. Ne fanno anche gli psichiatri, e molti, e funesti, ma almeno loro hanno alle spalle non solo chiacchiere, bensì una disciplina “forte” come Medicina. Gli psicologi hanno alle spalle il nulla. Purtroppo sono stati introdotti nella scuola, e da allora è cominciato il disastro. Molti anni fa in una terza Media erano presenti due ragazzi disabili, amati dai loro compagni e scrupolosamente seguiti dai loro professori, con l’aiuto di alcuni insegnanti di sostegno. Alla fine dell’anno gli psicologi di un’associazione che se ne prendeva cura, in appoggio alle famiglie, per le attività extra-scolastiche, fecero fortissime pressioni sul Consiglio di Classe perché, in sede di scrutinio, venissero dichiarati non promossi e invitati a ripetere l’anno, in quanto non idonei né al lavoro né a seguire altri cosi di studio di livello superiore. Il coordinatore si oppose, e, nonostante le perplessità di molti colleghi, l’ebbe vinta. Dopo qualche anno, la mamma di uno dei due ragazzi lo incontrò per caso al supermercato, si fece riconoscere e lo ringraziò caldamente: il figlio aveva trovato un impiego, lavorava al computer, si sentiva appagato. Che cosa sarebbe capitato se si fosse seguito il consiglio degli psicologi? Quel ragazzo avrebbe subìto una grande frustrazione. Forse sarebbe diventato un infelice per tutta la vita.
Punto numero uno, quindi, abrogare la Facoltà di Psicologia. Chi vuol fare lo psicologo vada all’estero, e magari ci rimanga. Sono stati gli psicologi a rovinare la scuola. Negli anni Settanta del secolo scorso cominciarono a compiere il loro lavoro di guastatori, irretendo soprattutto quegli gli insegnanti che, ancora giovani, entravano nella scuola senza molte esperienze alle spalle, e si lasciavano facilmente catturare dalla truffaldina dialettica di quei venditori di fumo. Guai a correggere gli errori di ortografia, perché altrimenti i ragazzi si sentono frustrati. Guai agli esercizi di dettatura, che non servono a niente. Guai a proporre riassunti: è una didattica reazionaria. I presidi, molti di fresca nomina, andavano a ruota. I pedagogisti anche.
Purtroppo, anche persone di alta levatura intellettuale, come Tullio De Mauro (ne abbiamo già parlato) hanno le loro colpe. L’eccessiva enfasi posta sul parlare spontaneo, sull’oralità, ha aperto le porte alla sciatteria. La scuola di base ha così perduto ogni capacità di condurre l’alunno dalla materialità del dato percepibile all’abilità astrattiva. Come ha detto un illustre fisico che possiede anche una cultura umanistica di prim’ordine, Lucio Russo, i segmenti non sono bastoncini. Ecco, la scuola devastata dagli psicologi, dai pedagogisti e – diciamolo francamente, dai ministri dell’istruzione, uno peggiore dell’altro – è la scuola dei bastoncini.
Con la scusa che bisogna aiutare gli alunni provenienti dagli strati culturalmente più poveri della popolazione, si è offerto a tutti materiale scadente. L’eguaglianza al livello più basso. Tutti somari raglianti, con le orecchie lunghe. Ma uguali! Democratico, molto democratico. Fa specie vedere che molti, ora, rimettono in auge l’importanza delle lingue classiche come materie di studio. Un insigne scienziato come Luigi Luca cavalli Sforza diceva che la traduzione dal Greco e dal Latino è l’unico esercizio veramente scientifico proposto nella scuola italiana. Davanti a un testo d’autore, infatti, si formula una proposta di interpretazione che poi si va a verificare con un procedimento “falsificatorio” simile a quello delle scienze “dure”, magistralmente esposto nei suoi saggi da Karl Popper. Allora era una “vox clamantis in deserto”. Adesso qualcuno comincia a svegliarsi, ma sarà difficile tornare indietro. La scuola italiana è nata nell’Ottocento con due pecche di cui non è mai riuscita a emendarsi: l’esclusione della Musica (relegata nelle scuole specialistiche, e quindi rinchiusa in una sorta di museo) e l’emarginazione delle materie scientifiche (che Benedetto Croce considerava “pseudoconcetti”). I Licei, però, specialmente dopo la riforma Gentile, erano scuole d’eccellenza. Sono stati a poco a poco fatti a pezzi.
L’ultima bella trovata è quella del ministro Bussetti, che a metà anno scolastico ha pensato bene di riformare l’esame di Stato, introducendo per l’orale una nuova modalità: il candidato sceglie una di tre buste che gli vengono presentate. Dentro può esserci di tutto. Può essere una frase, un documento, una fotografia. Partendo di lì, lo studente deve essere capace di costruire un bel discorso “interdisciplinare”. L’interdisciplinarità è un altro feticcio nato negli anni dello psicologismo dominante. Che cos’è? Non è ben chiaro, tant’è vero che il compianto linguista Aldo Gabrielli a un lettore della sua rubrica su un settimanale, che gli chiedeva se si dice “interdisciplinarietà” o “interdisciplinarità” chiese se si trattasse di uno scioglilingua. Forse ha capito bene di che cosa si tratta quello studente che, aperta la busta e trovatosi davanti la fotografia di un forno elettrico, ha imbastito un bel discorso partendo dalla resistenza elettrica e arrivando alla Resistenza partigiana, quella con la R maiuscola. Questa non è neanche la scuola dei bastoncini, è la scuola dei cretini. Io manderei al ministro Bussetti una bella busta, con dentro uno stronzo. Lo inviterei ad aprirla e a costruire un bel discorso interdisciplinare sull’oggetto ivi contenuto, concludendo magari con un riferimento a se stesso. Il tutto coronato da quei versi di Giambattista Marino: “Quante volte credei veder di bronzo/ un pilastro, una guglia, ed era un stronzo”. Più interdisciplinare di così…
Docenti e Dirigenti scolastici accondiscendenti perché giovani e di prima nomina? No: perché ipocriti, vili e opportunisti. O perché ignoranti anche loro.
PAOLO ISOTTA, C’È PURE LUI NEL PDF DI MASSIMO MILA !!!!!!!!!