Breve storia delle Poste, esecrande e sputacchievoli
“Esecrande e sputacchievoli”: con questi termini Giacomo Leopardi definiva, in una sua lettera, le Poste dello Stato Pontificio. Non si riferiva al recapito della corrispondenza. Allora come adesso, le Poste fornivano anche altri servizi, primo fra tutti quello del trasporto pubblico su grandi distanze, provvedendo, a ogni stazione, al cambio dei cavalli che trainavano veicoli appartenenti all’amministrazione stessa, ad altre agenzie o anche a privati. A tale servizio si riferiva Leopardi. Evidentemente era troppo lento, e per molti aspetti disagevole. L’avvento delle ferrovie, delle tranvie e più avanti dei bus ha sottratto al sistema postale il servizio dei trasporti di persone, trasferendolo ad altri soggetti. Le Poste potevano così concentrarsi sul recapito della corrispondenza, usufruendo delle stesse tecnologie che rendevano più rapidi i trasporti pubblici e privati di merci e persone. Sotto questo aspetto, non dovevano esser male le Poste dell’Italietta post-unitaria se, come mi è capitato di verificare personalmente attraverso l’epistolario di un personaggio che aveva avuto qualche parte nelle lotte risorgimentali, una lettera partita da Genova veniva recapitata, in un paesino di mezza montagna sulle sponde del Lario, nel giro di tre giorni. Se si pensa che dalla costa bisognava risalire l’erta a dorso di mulo, non si può che rimanere ammirati.
E nei decenni successivi? Non vi saprei dire. I nostalgici del Fascismo elogiano il regime dicendo che nel Ventennio i treni arrivavano in orario e il servizio postale era rapido. Sarà anche vero, ma sarebbe stato meglio vivere con ferrovie sgangherate e poste lente come lumache senza dissidenti al confino, bavaglio alla stampa, oppositori accoppati, Patti Lateranensi, leggi razziali e il disastro della guerra. Nei primi decenni della Repubblica più bella del mondo le Poste erano piuttosto disastrate. Ricordo quel povero artigiano che aspettava un pacchetto da tempo, contenente materiale molto importante per il suo lavoro. Disperato perché non arrivava, andò all’ufficio postale della stazione ferroviaria a chiedere chiarimenti. Dopo lunghe ricerche, si appurò che il pacchetto era arrivato, ma non si sapeva bene dove fosse finito. Alla fine fu accompagnato in un lugubre e polveroso magazzino, nel mezzo del quale erano ammucchiati alla rinfusa pacchi d’ogni genere. “Ecco il suo pacchetto è qui”. Il pover’uomo si mise le mani nei capelli. Per fortuna il buon Dio lo aiutò. Mise gli occhi su un pacchettino che giaceva ai piedi del mucchio, andò a controllarlo col batticuore. Era il suo! Così andavano le cose nei tempi beati del cosiddetto “boom economico”, quando i prezzi calavano (e nessun cretinetti si strappava i capelli gridando alla deflazione) e si viveva con aumenti annui del PIL che arrivavano al 6%. Fosse ancora così, potremmo esser disposti a tollerare, in contraccambio, un servizio postale come quello di allora.
Oggidì gli uffici postali si sono rinnovati, non sono più sporchi e cadenti, i postini non se ne vanno più in giro sbracati, hanno la loro bella divisa e girano con mezzi motorizzati. I pacchi generalmente arrivano a destinazione. Le lettere di solito non si perdono. Il corriere postale SDA è abbastanza efficiente, anche se qualcuno talora lamenta la scortesia del personale (non ne ho, a onor del vero, prove dirette, ma solo testimonianze d’altri e notizie riportate). La riforma del servizio dovuta a Corrado Passera, quando era amministratore delegato di Poste Spa su nomina di Carlo Azeglio Ciampi, ministro del Tesoro nel governo Prodi del 1998, ha sortito qualche effetto. Però l’idea di affidare alle Poste, oltre al normale servizio di recapito della corrispondenza, anche un servizio bancario in concorrenza con quello delle banche private è stata deleteria. Chi ne sentiva il bisogno? Di banche non ce ne sono già troppe? Non si vendono già troppi prodotti finanziari da parte di agenzie d’ogni genere, spesso tutt’altro che affidabili? “Ma alle Poste c’è la garanzia dello Stato!”-dice il solito cretinetti. Sarà. Sta di fatto che da quando gli sportelli postali sono stati abilitati a svolgere anche operazioni bancarie, le code negli uffici si sono moltiplicate e i tempi d’attesa allungati a dismisura. Il guaio è che sono aumentati i servizi, ma il personale è rimasto lo stesso. Anche il numero degli sportelli, in ogni ufficio, è più o meno rimasto lo stesso. Aveva ragione quel tale che diceva:”Sutor, ne ultra crepidam, offelee fa ‘l tò mestee, le banche facciano le banche e le Poste facciano le poste”? Forse, però mi chiedo come mai in Svizzera (un paese che, sia detto per inciso, non amo, ma questo non mi fa velo a un giudizio spassionato), dove le Poste svolgono anche un efficientissimo servizio bancario, code agli sportelli non se ne fanno. Pochi minuti, e si è serviti.
Gli ultimi fasti delle Poste Italiane si celebrano in questi giorni. Come le banche private, anche le Poste vendono prodotti finanziari. All’inizio del nuovo secolo hanno venduto certificati di fondi d’investimento legati ad attività di agenzie che comperano vecchi immobili, li ristrutturano e li rivendono sul mercato. “Il mattone è un investimento sicuro, perché è insostituibile: di case avremo sempre bisogno”– dice il solito cretino, dimenticando che anche il mattone è soggetto all’inesorabile legge del mercato: se si costruisce troppo, i prezzi crollano; se il sistema entra in crisi, la domanda di beni immobiliari si contrae, e spesso si è costretti a svendere. Così era accaduto, in Italia, anche in un recente passato. Forse qualcuno ricorda il tracollo del Fondo atipico Europrogramme, agli inizi degli anni Ottanta dello scorso secolo. Il valore delle quote, legato a un patrimonio immobiliare concesso in leasing ai più diversi soggetti, soprattutto ad aziende private ma anche a enti pubblici, per un po’ di tempo era continuato a salire, sulla base di valutazioni tecniche affidate a un comitato di esperti (il fondo, in quanto atipico, non era presente sul mercato borsistico). Bastò un aumento della tassazione sulle plusvalenze a rendere le quote poco competitive nei confronti dei titoli di debito pubblico (fu una manovra sporca, in cui ebbe qualche parte anche l’allora ministro Bruno Visentini, quel repubblicano musone come tutti i repubblicani). Torniamo ai prodotti venduti dalle Poste. Chi poteva prevedere, in un momento di euforia in cui l’Euro era salutato come la moneta che ci avrebbe resi tutti ricchi (e certi economisti imbecilli dichiaravano chiusa per sempre l’epoca delle crisi cicliche) il terremoto finanziario che dopo qualche anno sarebbe arrivato dagli Stati Uniti, foriero della crisi economica che ancora ci attanaglia? Terremoto, tra l’altro, causato in buona parte da una scellerata politica governativa tesa a facilitare l’accesso al mattone per tutti, attraverso mutui immobiliari privi di garanzie (liberismo selvaggio? No, statalismo della più bell’acqua). I prodotti finanziari di cui sopra, offerti dalle Poste Italiane, erano molto rischiosi, come l’annessa documentazione tecnica non mancava di sottolineare. Ma chi la legge? Quanti sprovveduti hanno creduto alle assicurazioni verbali dei promotori? Risultato: in questi giorni si sta procedendo al rimborso delle quote relative a uno di siffatti prodotti finanziari. Nel periodo della loro vigenza hanno maturato un interesse annuo men che modesto, e ora vengono rimborsate per un valore men che dimezzato rispetto al prezzo di acquisto.
“Ma alle Poste c’è la garanzia dello Stato” – disse il cretino.
Esecrande e sputacchievoli, come ai tempi di Giacomo Leopardi.