“A te, cosa cambia?”
Discutendo con un insegnante, auspicavo una ripresa vigorosa della didattica, con l’intento di recuperare il tempo perso nel corso dell’anno scolastico precedente quando, fulmine a ciel sereno, mi prospetta un primo collegio docenti seguito da un consiglio di istituto (le minuscole sono una scelta) “in video conferenza” (programmato all’inizio di settembre). In questo modo sarà privilegiata la sicurezza. Faccio notare che (saltati i corsi di recupero in classe) tra 10 giorni la scuola sarà popolata di alunni, che la maggior parte dei docenti (e dei bidelli e del personale ATA) non mette piede a scuola da marzo, che la rilevanza clinica dell’epidemia è cosi ridotta da essere trascurabile. Mi risponde sorridendo: “A te, cosa cambia?”.
A me, cosa cambia?
Cosa cambia se dopo 8 anni di elementari e medie, mio figlio non sarà in grado di dire due frasi in inglese pur avendo la valutazione più alta? Cosa mi cambia se immigrati, lavoratori, operai, partite iva si scananno per spartirsi le briciole della torta mentre altre categorie godono di un vitalizio e non saranno mai giudicate sulla base dei risultati ottenuti? Cosa mi cambia se l’insegnante di “tecnologia” (sic) se la cava facendo giocare i ragazzi con Youtube per tutto l’anno, mentre in paesi, come Repubblica Ceca o Olanda o Polonia (2 su 3 erano in povertà per gli effetti del comunismo solo 20 anni fa) si programma in LUA o linguaggio simile? Cosa cambia se l’insegnante di asilo di mio figlio era incapace di scrivere e parlare in italiano? Cosa cambia se il collegio docenti lo fanno online dopo 5 mesi di assenza da scuola? Cosa ti cambia se martellano con la necessità di preservare la continuità della didattica quando si tratta di creare posti di lavoro e poi senza dire nulla cambiano 3 insegnanti su 4 durante l’estate? Cosa cambia se alla fine sono sempre tutti promossi? Cosa cambia se la didattica online è stata una barzelletta per 3 insegnanti su 4?
“A te, cosa cambia?”
Credo che in questa espressione sia involontariamente concentrato il senso dello Stato di chi lo interpreta secondo il famoso aforisma di Frédéric Bastiat (“Lo Stato è la grande finzione attraverso cui ognuno ambisce a vivere sulle spalle di tutti gli altri”), oppure, secondo l’altrettanto famosa espressione dell’italiano medio interpretato da Maccio Capatonda (“e a me che cazzo me ne frega a me”?).
Ammesso, ma non ci credo, che lo Stato possa interpetato diversamente.
Mai discutere con un insegnante. Per poter “dialogare” occorre scendere al suo livello. Che è piuttosto basso perfino per me.
Purtroppo a volte é necessaria la trattativa: dipende dagli ostaggi (in questo caso i miei figli).
Caro Leporello, vedi che cosa ti è capitato a non voler seguire il mio esempio? Hai voluto prender moglie e mettere al mondo figli? L’hai voluto, tuo danno. Avrai ancora che fare per un bel po’ di tempo con maestri, professori, direttori didattici, presidi e tutta quella mala genia. Non ti bastava dovertela vedere ogni giorno con poliziotti, carabinieri, vigili, dipendenti pubblici d’ogni ordine e rango, agenti del fisco, giudici, pubblici ministeri, impiegati delle poste esecrande e sputacchievoli, ecc., ecc. ecc? Anch’io ho avuto i miei pedagoghi privati, ma non ho esitato a spaccare un bastone sulla testa di uno di loro, più carogna della media. Io sì che so imitare gli esempi illustri! Ho fatto come Lancillotto del Lago, che da ragazzo pare abbia spezzato il suo arco sulla testa del suo aio…