Don Giovanni

Un referendum invertito

Libeskind, Como
Proposta di monumento lacustre

DON GIOVANNI – Che stai facendo di bello, caro il mio Leporello?
LEPORELLO – Per ingannare i momenti d’ozio mi sono permesso di scegliere un libro della vostra ricca biblioteca. Mi sto divertendo un mondo.
DG – Che cosa leggi di tanto interessante, che ti vedo così attento?
L – Le novelle di Miguel de Cervantes Saavedra.
DG – Ah, quello del Don Chisciotte! Più o meno uno dei nostri tempi…
L – Vero, anche se io, nella mia ignoranza, allora non lo conoscevo. Mi sto divertendo da matti a leggere le avventure del Dottor Vetrata, quello che credeva d’esser fatto di vetro. E’ proprio vero che i pazzi sono più savi dei savi: sostiene certe cose che sono sacrosanta verità, ma nessuno le dice perché si ha paura a gridare che il re è nudo.
DG – Hai ragione. Per esempio?
L – Dice che ai suoi tempi, che suppergiù erano i nostri, gli artisti invece di imitare la realtà, preferivano vomitarla.
DG – Ben detto! E l’osservazione si potrebbe ripetere, aumentando di molto la dose, per gli artisti d’oggi. Ma anche allora non si scherzava. Ti ricordi quando, morto il commendatore, quel minchione di Don Ottavio, diventato assessore comunale all’urbanistica, propose di dedicargli un monumento da collocare proprio a poca distanza dalla mia villa palladiana? Già questo mi faceva fremere, era un chiaro sberleffo alla mia persona. Ma la cosa che più mi fece stizzire fu vedere il progetto di quel monumento: un autentico obbrobrio. Il bellissimo panorama che si godeva dalle mie sale sarebbe stato orribilmente sconciato da una massa informe, da un brutto ceffo a cavallo vestito da antico romano, una vera maschera di carnevale…
L – Purtroppo finì male.
DG – Eh, sì, purtroppo. Quel cornuto aveva importanti aderenze alla corte del re, conosceva tutti i più famosi critici d’arte e tutti gli architetti di grido, quelli che scrivono sulle gazzette articoli incomprensibili, rivolti non al pubblico ma ai colleghi, che forse neanche loro li capiscono. Li ebbi tutti contro. In consiglio comunale sedeva una torma di leccapiedi che, per odio contro di me e piaggeria verso Don Ottavio,votarono all’unanimità per il monumento. Ne venne fuori uno sconcio, che non si potrà mai più eliminare perché, passato qualche secolo, è stato dichiarato monumento nazionale.
L – Non ho mai capito questo mistero: come mai il brutto quando diventa vecchio diventa anche bello, purché sia dichiarato tale da qualche sovrintendente alle Belle Arti…
DG – Sarebbe interessante chiederlo al Dottor Vetrata… C’è da riconoscere che non soltanto i braccianti dei miei feudi, ma anche i coltivatori diretti del circondario mugugnavano contro quell’oscenità, ma non osavano farlo ad alta voce, per timore di rappresaglie: furono minacciati di denuncia per diffusione di notizie false esagerate e tendenziose atte a turbare l’ordine pubblico, e si viderotappare la bocca. “Voi siete il popolo, osò dir loro Don Ottavio per bocca del prete in chiesa durante la messa domenicale – altro lecchino anche quello, più timorato del potere che di Dio -, “i consiglieri comunali rappresentano il popolo, quindi voi; quindi quello che decidono loro lo decidete voi; quindi se vi opponete, vi opponete a voi stessi; quindi siete schizofrenici: un bel referto psichiatrico e vi faremo internare”.
L – Era lui, col suo prete, da far internare.Ma, a proposito… Ho letto di recente che in una cittadina lacustre, diventata col tempo sozza e puzzolente per le cattive amministrazioni, hanno avuto la bella idea di guastare il poco di bello rimasto con uno sgorbio di monumento d’un celebre architetto, un’archistar, come chiamano oggi quelli che non salgono più sulle impalcature a sporcarsi di calce e a scherzare coi muratori, alla maniera di Palladio – al cui confronto la maschera carnevalesca del vostro commendatore è un capolavoro di Fidia. Ebbene, anche in questo caso pare che non si voglia ascoltare il parere dei cittadini, perché quello dei loro rappresentanti basta ed avanza.
DG – Passano i secoli, nulla cambia. Intendiamoci bene, non è che io abbia grande considerazione per il parere del cosiddetto popolo. Dopo tutto, fu il popolo a scegliere Hitler con regolari elezioni, ed era il popolo a osannare Mussolini sotto i balconi di Palazzo Venezia. E fu il popolo a plaudire, decenni fa, nella cittadina che tu dici, non ancora irrimediabilmente insozzata, l’esproprio dei terreni appartenenti a ville neoclassiche, nella fascia adiacente al lago, per farci passare davanti una passeggiata pedonale; che ora dopo il tramonto è spesso frequentata da balordi, maniaci e borseggiatori. Solo il critico della più importante gazzetta milanese ebbe il coraggio di dirne peste e corna. Oggi la stessa gazzetta ospita spesso e volentieri articoli incomprensibili come quelli di cui dicevamo.
L – Però forse, quando si tratta di giudizi estetici, è giusto far decidere chi abita nei luoghi interessati, perché se un’opera puramente decorativa non piace ai residenti, è sbagliato imporgliela! Un bel referendum ci starebbe bene!
DG – Piano, piano, coi referendum! Avrebbe vinto, con imponenti consensi, la proposta di espropriare le ville neoclassiche, perché non è giusto che i padroni si godano il lago e usufruiscano delle loro darsene private escludendone il popolo: la costituzione dice che la proprietà è tutelata solo se non entra in conflitto con il bene comune; altrimenti viene degradata a interesse legittimo e si deve espropriare.
L – E chi stabilisce la non conformità al bene comune?
DG – Il popolo o chi per esso…
L – Che spesso ragiona, più o meno consapevolmente, porgendo orecchio al sentimento dell’invidia sociale…
DG – Ben detto. E allora io, se proprio si deve fare un referendum, ne proporrei uno all’inverso!
L – All’inverso? spiegatevi, non vi capisco.
DG – Certo, un referendum invertito – absit iniuria verbo -, in cui a vincere è la minoranza, non la maggioranza.
L – Ohibò, ma questo è antidemocratico!
DG – Certo, come sarebbe stato antidemocratico porre un veto all’ascesa di Hitler o fischiare Mussolini. Se non ti piace “referendum invertito”, chiamalo “referendum di veto”: Niente quorum, possono presentarsi alle urne solo quelli che sono per il no; anzi, non c’è bisogno delle urne, si va in un ufficio e ci si fa registrare nella lista degli oppositori alla proposta. Oggi è possibile neppur scomodarsi per uscire di casa: le operazioni si possono fare in rete, con le debite garanzie. Alla fine si contano i voti. Raggiunta una certa soglia stabilita, che dev’essere piuttosto bassae sarà calcolata in percentuale sul numero degli aventi attualmente diritto all’elettorato attivo, il risultato vale come veto alla proposta, che viene accantonata.
L – E’ un’idea geniale, ma sono un po’ stravolto…
DG – Tenendo la soglia molto bassa, forse si sarebbe evitato lo scempio delle ville neoclassiche. Però non ne sono del tutto sicuro.
L – Caro padrone, io sarò ignorante, ma mi pare che questa sua idea assomigli a quella vetero-pretesca della “sanior pars”, che deve prevalere sulla “maior pars”, ma qui non si può tirare in ballo lo Spirito Santo…
D – Caro Leporello, lascia perdere lo Spirito Santo: i preti son spesso fior di canaglie, ma stupidi non sono mai stati …

Giovanni Tenorio

Libertino