Don Giovanni

Castrazione da perfezionare

Il Settecento era l’epoca dei castrati al teatro dell’Opera. Voci meravigliose, si dice, superiori molto spesso a quelle delle pur prestigiose cantatrici. Purtroppo non tutti i castrati arrivavano al successo: molti, che avevano subito l’orrida mutilazione per volere dei genitori, nella speranza di un futuro di gloria e ricchezza, si riducevano a una vita grama. Giuseppe Parini, nell’ode “La musica”, che ha come sottotitolo “L’evirazione”, giustamente condanna quella pratica come immorale, aprendo la sua rampogna con l’immagine, insieme grottesca e pietosa, di un cantante mastodontico dalla voce sottile (“Aborro in su la scena/un canoro elefante/ che si trascina a pena/sulle adipose piante/e manda per gran foce/di bocca un fil di voce”). Oggi, se Dio vuole, nessuno vien più castrato per lucro; in compenso, sulla scena, a interpretare Opere barocche, si esibiscono sopranisti e contraltisti, ovverossia maschietti che, pur avendo conservato integri i loro attributi, cantano con vocina da femmina. E’ la stessa differenza che c’è fra moneta aurea e moneta cartacea: formalmente hanno il medesimo valore, di fatto la carta rimane carta. Io sopranisti e contraltisti li aborro. Magari ritornassero i canori elefanti, che almeno avevano una voce bellissima! Ma visto che non si può (ed è un bene), perché non ricorrere alle femminucce en travesti? Ogni tanto si fa, e il risultato non è male. I castrati non potevano sposarsi, perché secondo la dottrina cattolica il fine primo del matrimonio è il bonum prolis, e chi non ha più gli attributi di prole non ne può  avere, ma conservavano, eccome, la potentia coeundi, perché il membro rimaneva intatto, con tutte le sue facoltà erettili, e relativo godimento libidico. Non ricordo più quale famoso castrato chiese al papa il permesso di sposarsi, accampando come pretesto il fatto che, a suo dire, l’evirazione subita non era stata totale. Risposta: se l’evirazione non era stata totale, peggio per lui: provvedesse a perfezionare l’operazione.

La castrazione in questi giorni è tornata di gran moda. Non per rimediare alle tristi sorti del “primm teater del mond” (un tempo Milano era “d’evirati cantori allettatrice”, come diceva Foscolo, ora la Scala è diventata un teatrino di provincia, semivuoto e frequentato da vecchietti), ma per merito di Salvini e della Bongiorno, che vogliono introdurla come rimedio contro la recidiva dei  crimini sessuali, con il consenso del condannato. Certo, non si tratta di una castrazione vera, ma solo metaforica. Si tratterebbe di agire sulla potenza sessuale del maniaco attraverso interventi farmacologici. Roba da psichiatri. La solita idea lombrosiana secondo cui il criminale è un pazzo, che quindi va curato, magari in un manicomio giudiziario, dove sicuramente diventerà non pazzo davvero, ma scemo. Gli psichiatri hanno un metodo infallibile: il furto lo chiamano cleptomania e così il ladro diventa un malato (l’esempio non è mio, ma di Thomas Szaz, il teorico dell’antipsichiatria che dovrebbe essere caro a tutti i libertari). In questo modo anche stupratori e pedofili diventano malati da curare. Sarà, ma a me viene un dubbio. Se la castrazione chimica, come quella materiale, togliesse la potentia generandi, ma non quella coeundi? Sarebbe una bella beffa. Uno chiede di essere castrato chimicamente e poi continua a spassarsela come prima, con in più il sollievo che non correrà pericolo  di diventar padre di qualche marmocchio. Forse bisognerebbe anche qui seguire quel saggio consiglio: completare l’operazione, tagliar via anche il membro, ma non con la chimica, con le forbici. 

Giovanni Tenorio

Libertino

4 pensieri riguardo “Castrazione da perfezionare

  • Credo che i farmaci usati per la castrazione chimica potrebbe essere abbastanza efficaci anche dal punto di vista della “potentia coeundi” (anche se non nel 100% dei casi).

    Il problema, secondo me, è che i casi in cui il colpevole di violenza è spinto solo da “eccesso di testosterone” sono molto pochi (quindi sono pochi i “violentatori” effettivamente “malati” da un punto di vista fisico) e che, come anche emerge dall’articolo, molto spesso il crimine ha origine dalla volontà criminale, casomai facilitato ma non causato da squilibri ormonali.

    Se bastasse un livello alto di testosterone, magari abnorme, tutti i frequentatori di palestre o tutti gli atleti che praticano sport sensibili al doping ormonale (es. ciclismo) sarebbero violentatori. In realtà le personalità aggressive in questi ambienti aumentano in percentuale, ma restano minoritarie e comunque si vedono comportamenti “gradualmente sfumati” non classificabili in modo netto come “criminali”.

    In poche parole: quanto sento un politico parlare di castrazione chimica, penso che abbia nella testa un misto di demoagogia e vendetta.

  • I farmaci usati saranno stati testati e garantiti per compiere il loro dovere, si spera.
    Mi sembra comunque che la castrazione chimica sarebbe una possibilità di scelta del reo: se vuoi uscire “pigliate sta pastiglia” e in tal caso mi pare una cosa di buon senso.

  • A proposito: il furto si chiama “cleptomania” solo se lo esercita la moglie di un ricco benestante, mentre se lo esercita il figlio si chiama “bravata” o “ragazzata”.
    Per gli altri resta furto e basta.

  • Quel che mi fa orrore è l’idea di sottrarre ai giudici le decisioni concernenti la criminalità e di assegnarle agli psichiatri. Non che io nutra grande stima dei giudici (con le debite eccezioni); ma degli psichiatri provo addirittura repulsione(senza eccezioni). Un cardiologo sa che cos’è il cuore. Uno pneumologo sa che cos’è l’apparato respiratorio. Un nefrologo sa che cosa sono i reni e come svolgono le loro funzioni. In somma: tutti i rami della medicina specialistica hanno come oggetto della loro operatività organi corporei ben individuati e studiati in tutti gli aspetti anatomici e funzionali. Le terapie da loro proposte si basano pertanto su qualcosa di solido, anche se non è detto che abbiano sempre successo. La psichiatria ha come oggetto la psiche. Che cos’è la psiche? Chiedete a uno psichiatra, e lo metterete in un bell’imbarazzo. Si è sempre responsabili delle proprie azioni? Fino a che punto? Uno psichiatra non saprà mai darvi una risposta che non sia approssimativa, congetturale, costellata di dubbi. Io credo che il codice penale debba prescindere dal problema del libero arbitrio (tranne pochissimi casi in cui l’incapacità di intendere e di volere è evidente non agli psichiatri soltanto, ma a qualsiasi persona di buon senso): anche se fosse vero (come sembrerebbero testimoniare alcuni esperimenti di Benjamin Libet) che il nostro cervello prende decisioni qualche frazione di secondo prima che ne siamo coscienti. La responsabilità delle azioni umane è il fondamento della civiltà, il presupposto della morale, il cardine del diritto. Va assolutamente presunta. Negarla significa rinunciare a ogni umanesimo, ricadere nella ferinità.

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