In morte di Domenico Balestrieri (e del dialetto dimenticato dagli indipendentisti)
Qualcuno piange calde lacrime perché la Lega di Matteo Salvini, rinnegando l’indipendentismo delle origini, è diventata partito nazionale italiano. Sul muro di Pontida sono state cancellate le scritte inneggianti alla Padania “casa nostra”; ma qualche nostalgico le ha rimpiazzate con insulti alla nuova dirigenza, che ha tradito il verbo delle origini. Non so di chi sia quel muro, certamente non della Lega, forse di un leghista, forse del Comune, forse -ed è l’ipotesi più probabile, ma potrei sbagliarmi- di qualcuno che non gradisce vederne la superficie imbrattata di scritte, leghiste o antileghiste che siano, pro Salvini o anti-Salvini. Vi ricordate quando Bossi inneggiava alle scritte propagandistiche dei suoi militanti su manufatti edilizi all’aperto, pubblici e privati, proclamando che i muri sono i libri dei popoli? I popoli non scrivono proprio un bel niente. Sono individui ben identificabili (basta volerlo), magari in gruppo, a scrivere sui muri nel nome dei popoli; ma nessuno gliene ha conferito il mandato. E i muri non sono dei popoli, ma ancora una volta di soggetti ben identificabili, che hanno tutto il diritto di impedire le scritte e di chiedere il risarcimento dei danni ai responsabili dello sfregio. Infine, la “casa nostra” è la dimora in cui ciascuno di noi vive. La mia casa è la mia villa palladiana, non il palazzotto che sta di fianco o la catapecchia che sta di fronte. Io sono padrone nella mia villa, e solo lì. Posso scrivere tutti gli insulti che mi passano per la testa (ad esempio: “Il Commendatore è un gran coglione”, oppure “Donna Elvira è un’insopportabile rompiballe”) solo sui muri della mia villa, all’interno o all’esterno, non su quelli del palazzotto o della catapecchia. Anche se la catapecchia è disabitata, ma appartiene ancora a qualcuno. Anche se è brutta e cadente, e una scritta in più o in meno sui muri esterni non la deturpa più di tanto. Mi sembra sia un concetto ovvio, ma evidentemente è troppo sottile per le menti dei leghisti. Fossero stati più intelligenti, si sarebbero tenuti ben stretti Gianfranco Miglio, che stupido non era e con la sua dottrina politica aveva cercato di dare alla Lega un sostrato teorico di tutto rispetto. Antipatico, Miglio, un po’ razzista, ammiratore sfegatato della democrazia svizzera; ma certamente non avrebbe mai avallato il pensiero di Bossi sulle scritte murali: su questo punto sarebbe stato d’accordo con me, che l’ho sempre visto come il fumo negli occhi.
Le scritte anti-Salvini comparse a Pontida, tracciate da un pennello nostalgico della secessione, sono in parte espresse in dialetto. In un dialetto che vorrebbe essere lombardo. Ma esiste un dialetto lombardo? Se un bergamasco e un milanese parlano ciascuno nel suo vernacolo, senza contaminazioni con l’italiano, rischiano di non capirsi. Le scritte di Pontida in realtà non sono in bergamasco (eppure Pontida è a due passi da Bergamo), ma in un dialetto che vorrebbe essere, grosso modo. milanese (una lingua che a Milano nessuno parla più: morto il compianto, impareggiabile Piero Mazzarella – di origine terrona! – neppure a teatro). Fosse almeno milanese corretto! Non si dice: “Salvini foeura dai ball”, ma “foeura di ball”!
Cari indipendentisti, studiatevi almeno la lingua che insegnerete a scuola quando sarà coronato il vostro sogno secessionista. Se la lingua italiana è il fiorentino, quella lombarda dev’essere il milanese. Studiatevi la grande letteratura meneghina, da Carlo Maria Maggi a Domenico Balestrieri, a Carl’Antonio Tanzi, a Giuseppe Parini (sì, proprio lui!), al grande Carlo Porta, a Tommaso Grossi, a Giovanni Rajberti, a Delio Tessa, a Fanco Loi.
Ci scommetto che non ne avete mai letto neanche una riga. Non sono facili da leggere: la grafia non è quella rozza che usate voi. E la grammatica e la sintassi non hanno niente da invidiare a quelle del greco antico*… Provare per credere!
*Non sto dicendo una sciocchezza. Si veda questo sonetto di Giuseppe Parini.
IN MORTE DI DOMENICO BALESTRIERI
Sta flutta milanesa on gran pezz fa
L’era del Magg, e poeù la capitè
A duu o trii d’olter, ma de quij che sa
Sonà ona flutta cont el sò perchè.
Lor poeù morinn, e questa la restè
a Meneghin, ch’el la savuda fà
rid e fa piang, con tanta grazia chè
l’è ben difficil de podell rivà.
Anca lu pien de meret e de lod
Adess l’è mort; e quell bravo istrument
L’è restaa là in cà soa taccaa su a on ciod.
Ragazz del temp d’adess tropp insolent
Lassell stà in dove l’è; no ve fee god
Perché a sonall no basta a boffagh dent.
Questo flauto milanese molto tempo fa
era del Maggi, ma poi capitò
a due o tre altri, ma di quelli che sanno
suonare un flauto con il suo perché
Loro poi morirono, e questo rimase
a Meneghino (Domenico Balestrieri), che l’ha saputo fare
ridere e piangere con tanta grazia che
è ben difficile poterlo eguagliare.
Anche lui pieno di meriti e di lodi
adesso è morto, e quel bravo strumento
è rimasto là a casa sua, appeso a un chiodo.
Ragazzi del giorno d’oggi troppo insolenti,
lasciatelo stare dov’è; non fatevi rider dietro,
perché per suonarlo non basta soffiarci dentro.
Si noti la presenza del passato remoto (capitè, morinn, restè), destinato a scomparire nel giro di pochi lustri (se ne trova qualche traccia ancora in Carlo Porta), e il suo raffinato uso in contrapposizione al passato prossimo (adess l’è mort).Oggi i lombardi usano solo, anche parlando in italiano, il passato prossimo. E’ uno spiacevole impoverimento.
Diversi anni or sono, una bancarella mi mise davanti El Nost Milàn. Fu una piacevole sorpresa e speravo di vedere l’opera rappresentata da qualche parte, forse su internet c’è qualche video con l’interpretazione di Mazzarella. Solo adesso mi accorgo che lo scorso anno era il primo centenario della nascita di Carlo Bertolazzi. Nel mio quartiere, con la Compagnia Teatrale Ottavo Atto, organizziamo l’Estate Lunghezzana e le ricorrenze costituiscono un fattore tematico importante all’interno del programma e quando possibile al di fuori della manifestazione stessa. Il due giugno 2016 sarebbe coinciso con il primo anniversario della scomparsa di Silvio Spaccesi con il quale ho avuto decenni di collaborazione teatrale. Si sarebbe potuta unire la “lombardità” dell’autore di Rivolta d’Adda con la “marchigianità” dell’attore di Macerata. Speriamo di “rifarci” nel 2020 con il 150° anniversario della nascita del drammaturgo. Anche nella mia Roma il dialetto non è rispettato da politici, giornalisti, scrittori superficiali e compagnia cantando. “Andà'”, invece di “annà'” (o “ì” in trasteverino, perché “annà'” è monticiano), “gràttano” in luogo di “gràtteno”, “mangià'” al posto di “magnà”… Il superficialificio di stato, alias scuola pubblica, è riuscito a distruggere anche le tradizioni popolari. Però lo ha fatto in nome del popolo.
A proposito, dimenticavo. Quest’anno speriamo di riuscire a commemorare degnamente i duemila anni della morte di Ovidio, i centocinquanta della nascita di Pirandello, i cinquanta della morte di Totò (forse con la nipote), i cinquanta della morte di Zoltan Kòdaly, il primo anniversario della morte di Giorgio Albertazzi e di Dario Fo, i venticinque della morte di John Sturges e di Astor Piazzolla, gli ottanta della morte di Gershwin, i duecento della morte di Jane Austen… e poi vedremo, magari con dei suggerimenti esterni.