Don Giovanni

Il mercato e i prodotti del mercato (tra cui il burkini)

Siete mai stati in un borgo di campagna in un giorno di fiera? In mezzo al chiasso dei ragazzi, alle gomitate dei contadini e delle contadine le quali vogliono avvicinarsi al banco dove sono le stoffe , ii vestiti, le scarpe ecc. ecc. da osservare, confrontare, toccare con mano ed alle grida dei venditori, i quali vi vogliono persuadere che la loro roba è la migliore di tutte. la sola che fa una gran bella figura quando l’avete addosso, la prima che  farà infastidire voi di portarla che essa di essere frustata,quella che è un vero regalo in confronto al poco denaro che dovete spendere per acquistarla? Quella fiera è un mercato, ossia un luogo dove, a giorno fisso e noto per gran cerchia di paesi intorno, convengono a centinaia i camion, i carri ed i carretti dei venditori carichi delle merci, delle cose più diverse, dai vestiti alle scarpe, dalle casseruole da cucina ai vomeri per l’aratro, dalle lenzuola alle federe, dalle cianfrusaglie per i ragazzi, ai doni alla fidanzata per le nozze…”

Così, nella semplice, lieve, ma non disadorna sprezzatura del suo stile inimitabile, che sa sciogliere i nodi del pensiero astratto in termini accessibili a tutti, senza con questo comprimerne la solidità concettuale, Luigi Einaudi, in apertura delle sue Lezioni di politica sociale, spiega che cos’è il mercato, partendo dalla concretezza d’una realtà che tutti hanno sperimentato e continuano a sperimentare. C’è nel suo esempio un’aura di mondo contadino, patriarcale; eppure ancor oggi non c’è una virgola da togliere alle sue parole, nulla da cambiare. I mercati rionali e le fiere di paese esistono ancora; e le loro dinamiche non sono molto diverse da quelle delle compravendite in rete. Quando clicco su Amazon, per fare un esempio, mi viene sciorinato l’indice di un campionario merceologico assai vasto (le bancarelle). Io posso scegliere di esaminare la merce che mi interessa. Mi viene indicato il prezzo di ogni singolo prodotto, me ne vengono decantati in pregi anche attraverso il giudizio di altri compratori, mi vengono fatte altre proposte, mi si offrono sconti a particolari condizioni. Se non sono convinto, posso passare ad altra società di vendite in rete: anche lì troverò varietà merceologica, proposte, sconti. Alla fine sarò io a scegliere che cosa e da chi comprare, confrontando i prezzi, le modalità del servizio e tutti gli altri benefici che mi si offrono. E’ una condizione di schiavitù, questa? Chi lo dicesse dovrebbe essere preso per pazzo. Dove c’è la massima concorrenza, molti venditori e molti compratori, c’è massima libertà. Dove, invece della fiera, c’è un solo negozietto che vende tutto, e il compratore non ha possibilità di muoversi, si è costretti a servirsi presso quel negozietto, che potrà imporre i suoi prezzi e non dovrà tanto curarsi di efficienza e puntualità nel servizio. Qualcuno deplora che le vendite di libri in rete ammazzino le vecchie librerie. C’è qualche buona ragione di rimpiangere il buon libraio del tempo che fu, persona colta che sapeva dare saggi consigli di lettura ai frequentatori del suo negozio. Ogni progresso comporta spesso anche un “minusvalore”, come disse in un libro ormai ingiustamente dimenticato Gaspare Barbiellini Amidei (già Platone diceva che l’invenzione della scrittura ha comportato la svalutazione dell’oralità, e quindi del dialogo, nonché la perdita della memoria).   Rimane vero però che in rete ormai si trova tutto, mentre fino a poco tempo fa, nella libreria sotto casa si trovavano quasi soltanto i libri di maggior successo d’una stagione, e se chiedevi di procurarti un testo un po’ raro, o eri costretto ad attenderlo per settimane o ti sentivi opporre un rifiuto, perché l’operazione comportava procedure complesse e spese eccessive.
Viva il mercato, dunque, quello rionale e quello tecnologico. E dove la tecnologia riesce a rendere il mercato più ampio, più concorrenziale e quindi più libero, viva la tecnologia (c’è qualcuno che vuol abolire la scrittura? Platone era il primo a servirsene: grazie a lui sappiamo qualcosa di Socrate, che invece non scrisse nulla).
Si noti che Einaudi non sottace affatto, anzi prende in considerazione con un sorriso ironico anche quello che molti critici dell’economia di mercato hanno messo in evidenza come una grave pecca: la capacità persuasiva del venditore, che condizionerebbe le scelte del compratore fino a coartarne del tutto la libertà. Fece scalpore, a suo tempo, in materia, il saggio di Thorstein Veblen I persuasori occulti.  Una volta il mercante di stoffe poteva lusingare il cliente raccontando che stoffe belle come le sue non le poteva trovare da nessuna parte. Balle, sicuramente, consentite dalla legge, perché facilmente individuabili come tali. Nei primi tempi, che ormai sembrano preistorici, della pubblicità televisiva (quelli di “Carosello”, che sicuramente chi ha vissuto molte primavere ricorderà) veniva proclamato lo slogan: “Chi beve birra campa cent’anni”. Di certo il consumo di birra ne avrà tratto giovamento, ma penso che nessun bevitore abbia in cuor suo creduto che la bionda bevanda potesse donargli un solo giorno di vita in più. Nel mercato è così: chi vende esalta, chi compera sminuisce. Chi vende cerca di lucrare il più possibile, chi compera di ottenere il maggior vantaggio a minor prezzo. Ciascuno, entro certi limiti, bara. E’ quello che i legulei chiamano (chiamavano, perché oggi anche loro, come i preti, il latino non lo sano più) “dolus bonus”. La tecnologia d’oggi -si -dice rende però più invasiva e più cogente la persuasione. Sapete che vi dico? Possono anche bombardarmi di telefonate per propormi di acquistare questo o quello a prezzi stracciati con benefici enormi. Nessuno mi obbliga, puntandomi la pistola alla schiena, ad  accettare: rispondo picche. Se ho bisogno di qualcosa, so io dove andare a comperarlo. E quando dicono di volermi regalare qualcosa rispondo con le parole che Virgilio mette sulla bocca di Laocoonte davanti al Cavallo di Legno: “Timeo Danaos et dona ferentis”: ho paura dei greci (in questo caso mettiamoci i venditori) anche quando offrono doni. Mi prendono per matto, e la comunicazione si interrompe.
C’è qualcuno però che continua a porre il mercato sullo stesso piano degli schiavisti. Ha così poca considerazione del buon senso di cui anche le persone più comuni, non proprio del tutto sprovvedute, bene o male sono dotate, che considerano le vere o presunte lusinghe del mercato come costrizioni irresistibili. Il consumatore sarebbe una sorta di schiavo che gli aguzzini, catturatolo, imbarcano con la violenza sul naviglio della Mercificazione Capitalistica. Ancora una volta le prime vittime sarebbero le donne. E’ il mercato a costringerle ad andare in spiaggia seminude, con le chiappe ben in vista e le tette al vento (che Dio le benedica!). Così come sono i maschiacci violenti a costringere le povere donne islamiche ad andarci rinserrate nel cosiddetto burkini, nascondendo le loro grazie. Lo dice Dacia Maraini in un suo articolo sul Corriere della sera. Dimenticandosi che anche il burkini è stato inventato da uno “stilista”, come si dice oggi per indicare quelli che una volta si chiamavano sarti, il quale fiutando il vento ha messo sul mercato un prodotto destinato ad aver successo. Quindi, ancora una volta il mercato è il luogo della libertà, non della schiavitù. C’è chi compra il bikini per esibire chiappe e tette (ancora una volta, Dio le benedica), e chi compra il burkini, per nascondere tanti tesori. Il problema è un altro: sono i maschietti islamici, purtroppo, a fare la scelta per il burkini, non le loro donne. Loro sì sono aguzzini, non il mercato. Nessun maschietto “crociato” obbligherebbe la sua donna a comperarsi il bikini. E’ lei a scegliere se andare in spiaggia discinta o coperta; e se su una bancarella sceglie il bikini, lo fa per volontà propria. non per imposizione del marito o del mercato.
Svegliati, Dacia! Rileggiti, anzi leggiti Einaudi. Lasciamo fare alle donne, che sono più intelligenti, diceva Sergio Ricossa. Anche nel casi del burkini, forse hanno capito quel che i maschietti sperimentano  da sempre: troppa esibizione deprime il desiderio. Meglio coprire e lasciar vedere appena un po’. E’ quello che fa il burkini :le membra sono coperte, ma se ne intravedono le forme, soprattutto quando, dopo il bagno, il panno vi aderisce. Quali erotiche fantasie! Le donne islamiche in burkini? Che Dio le benedica!
Le femministe come Dacia Maraini, l’ho già detto, invece di  pronunciare le solite litanie contro il Mercato e il Capitalismo dovrebbero invitare tutte le donne islamiche, schiave prima dei padri e poi dei mariti, ad astenersi dall’uccello. Se lo faranno, avranno Libertino, entusiasticamente, al loro fianco.

Giovanni Tenorio

Libertino