Don Giovanni

Senatori a vita, perchè?

Che cosa farei sparire se potessi premere un tasto per ottenere magicamente quello che più desidero, come in una bella fiaba? Non darei le ali alle mie più alte ambizioni.  Non cancellerei, grazie al mio pulsante, ogni Stato esistente sulla terra. Perché mai, si chiederà qualcuno? Per le ragioni che credo di aver spiegato altra volta. Lo Stato è la più evidente forma di schiavitù, ma ce ne sono altre che non è detto possano sparire automaticamente una volta fatto sparire lo Stato. Bisognerebbe poter far sparire ogni forma di subordinazione gerarchica, per aprire davvero all’umanità intera un’era di autentica libertà. Non basta cancellare, bisogna anche costruire qualcosa di nuovo, o per lo meno porre le premesse perché qualcosa di nuovo possa nascere attraverso libere interazioni. L’ho già detto e non voglio ripetermi: il sogno di Rothbard d’un assetto mondiale senza autorità politiche, ma dove non c’è un lembo di terra che non appartenga a qualcuno, perché tutto è privato, mi sembra un incubo. Non credo che il mondo in cui viviamo sia res nullius, alla mercé di chi per primo se l’accaparra. Non credo neppure che la proprietà sia un diritto naturale assolutamente intangibile. Se uno, attraverso  operazioni formalmente lecite, diventasse padrone di tutto il mondo non sarebbe diverso da una qualsiasi autorità politica capace di subordinare a sé tutti gli abitanti della Terra. Il vero problema è quello del potere, davanti al quale contrapposizioni come pubblico-privato, individuale-collettivo e via di seguito diventano irrilevanti, quando non svianti sotto ogni aspetto. Date certe circostanze, il privato può essere più oppressivo del pubblico, e l’individuale del collettivo. Qualcuno a questo punto mi darà del comunista. No, sono un mercatista nel senso più nobile del termine. Il mio mondo ideale è quello in cui la proprietà è diffusa il più possibile, in modo che ciascuno sia in grado di esercitare al meglio la propria individualità, perché non è subordinato a nessuno ed è padrone soltanto di sé stesso e dei propri beni, non delle vite e delle volontà altrui. Anche il diritto di proprietà, in un simile contesto, non è un ente metafisico piovuto dall’iperuranio, ma un istituto nato dal diritto, inteso non come creazione di un organismo autoritario sovraordinato alla società,  ma come un insieme di pretese regolate dal mercato. Ius, non lex, common law, non civil law. Scendiamo coi piedi sulla terra, allora. In concreto, e per rimanere in Italia, anche se sono cittadino del mondo, che cosa cancellerei nell’immediato, premendo un pulsante? Mi verrebbe voglia di dire: i Patti Lateranensi, inseriti nella Costituzione come un preludio di quello che sarebbe stato l’agognato -e abortito, con l’uccisione di Moro- compromesso storico tra DC e PC. Impossibile. non c’è magia che tenga. Finché in Italia avremo la Chiesa, la politica non potrà che essere ossequente al potere clericale. Non riuscì a liberarsene Federico II di Svevia, lo “stupor mundi” che avrebbe potuto far dell’Italia una grande potenza secoli prima che quei ciabattoni di Savoia combinassero il pasticcio da cui sarebbero scaturiti tanti mali. Figuriamoci se si può fare premendo un tasto. Allora, una cosa piccola piccola la farei: abolirei i senatori a vita. Se questi signori non esistessero, non potrebbe capitare che una persona degna del massimo rispetto come Liliana Segre corra in soccorso, con il suo voto, di un governo infame come il Conte 2, ormai giunto al lumicino, pensando di compiere un atto di generosità per il bene della Patria. Non vorrei che il mio pensiero fosse frainteso. Quando dico che Liliana Segre è persona degna del massimo rispetto parlo con la massima serietà. Chi ha patito l’inferno dei campi di concentramento e spende il resto della sua vita perché la memoria di quelle tristi pagine di Storia non si cancelli e venga tramandata alle prossime generazioni come monito a non permettere più simili orrori merita il plauso di tutte le persone per bene. Anch’io – che pur sono una canaglia e presiedo a questo sito di dubbia moralità – ho sempre ascoltato con autentica commozione la sua voce e letto con grande partecipazione i suoi scritti. Non mi sono trovato d’accordo con lei quando – in accordo con tutta la comunità ebraica, e non solo – ha propugnato l’approvazione di leggi che punissero penalmente i negatori della Shoah. Sono il primo a dire che tali negatori o sono ignoranti o sono infami, ma non credo che le loro idee aberranti vadano combattute a colpi di norme penali. Le idee, anche quando sono abominevoli, se non si traducono in concreti atti di violenza (e non in una semplice, mal definita “istigazione a delinquere”), si combattono con le idee. Detto questo, riconosco le buone ragioni di chi per quelle pratiche perverse  oggi stoltamente negate dagli ignoranti e dagli infami ha duramente sofferto, e per di più negli anni della giovinezza, che dovrebbero essere i più radiosi. Forse, se anch’io avessi patito le medesime pene, la penserei come loro. Troppo facile giudicare chi ha patito l’inferno standosene non dico in paradiso, ma anche soltanto in purgatorio. Lo dice uno che all’inferno c’è stato, sia pur per ritornare subito in vita, come capita a tutte le sostanze di cui sono fatti i sogni.Proprio per tutti i motivi suddetti dispiace che una persona come Liliana Segre abbia dato il suo sostegno al governo Conte. Non perché il governo Conte ha di fatto mal governato, precipitando l’Italia in una condizione da cui potrà a malapena risollevarsi non dico nei prossimi anni, ma addirittura nei prossimi lustri o decenni. Fosse solo per questo, si potrebbe ribattere, da parte di chi ritenga ogni governo, nel migliore dei casi, cosa buona in sé, nel peggiore, un male necessario, che è meglio la continuità di un governaccio che un Paese senza guida per effetto di una crisi politica nel bel mezzo di una situazione d’emergenza qual è la pandemia in corso. Nossignori! Quello di Conte non è soltanto un governo di cialtroni incompetenti, è il primo governo che, da quando è stata fondata la Repubblica, ha fatto strame di quella Costituzione tanto celebrata a parole da tutte le forze sedicenti antifasciste (presenti in gran numero nella compagine governativa) su cui la Repubblica pretende di fondarsi. Non era mai capitato che con semplici atti amministrativi si potessero ledere diritti la cui riduzione (riduzione, non cancellazione anche solo temporanea!) è ammessa solo in casi eccezionali e con provvedimenti di legge approvati dal Parlamento. Nessuno avrebbe mai potuto pensare che si potesse costituire una vera dittatura sanitaria prendendo come pretesto un’epidemia senz’altro preoccupante, ma non certo paragonabile alle pestilenze che fino a un passato non molto lontano flagellavano l’umanità. E non è ancora finita, forse siamo soltanto agli inizi. In Germania si minacciano addirittura sanzioni penali contro chi viola il confinamento. Visto che in Italia si è sempre pronti a imitare il peggio dei modelli stranieri, può darsi che l’esempio venga imitato. Molti fra i reggicoda del governo vorrebbero che i vaccini di cui si è appena iniziata la somministrazione diventassero obbligatori, anche se quelli della Pfizer-BioNtech e della Moderna non sono vaccini, ma terapie geniche sperimentate in fretta e furia e in modo parziale (senza, tra l’altro, che i produttori abbiano comunicato alle agenzie di controllo tutti i dati grezzi della sperimentazione, come vorrebbe la normativa). L’art. 32 della Costituzione vieta di imporre terapie contro la volontà dei pazienti. Si ribatte che, sempre per il medesimo articolo, con una legge dello Stato si possono imporre terapie ritenute necessarie per la salute pubblica. Vero, ma imporre una terapia genica non sufficientemente sperimentata, trattando di fatto la popolazione sottoposta all’obbligo, come un gregge di cavie su cui eseguire una sperimentazione vera, in vista di applicazioni future, fa pensare a scenari che evocano il fantasma di quel Nazismo le cui infamie si vorrebbero per sempre esorcizzare grazie alle giornate della memoria e alle testimonianze di persone d’alta levatura morale e intellettuale come Liliana Segre. Se qualcuno pensa che io stia esagerando, ricordo che è stato il prof. Giulio Tarro, primario emerito dell’Ospedale Cotugno di Napoli , che di vaccini se ne intende per essere stato assistente di Sabin nella lotta contro la poliomielite, a dire e a ripetere che, dopo Norimberga, chi pretende di introdurre senza validi motivi l’obbligatorietà di trattamenti terapeutici potrebbe essere sottoposto al giudizio di un tribunale internazionale.Per tornare al nostro discorso e concludere: è triste che sia una testimone degli orrori nazisti a sostenere un governo che calpesta le libertà individuali e non nasconde, in molte sue componenti, la volontà di interpretare in senso estensivo quell’art. 32 della Costituzione che fu introdotto proprio perché non si ripetessero gli orrori della sperimentazione medica “in corpore vili”, che rimane fra i marchi più orribili del regime nazista.Buttiamo a mare (metaforicamente, si intende), i senatori a vita, in modo da risparmiar loro tante figuracce. Possono essere grandi scienziati, grandi filosofi, grandi letterati, insuperabili nelle loro discipline, ma che cosa ne sanno di politica? Che siano gli ex- presidenti della Repubblica a diventare senatori a vita può essere giusto, perché la politica l’hanno masticata fin da giovani  giungendo, in tarda età, all’apice del sistema istituzionale. Ma tutti gli altri è bene che si godano la vecchiaia a casa propria. Fece benissimo Toscanini a declinare l’onore, offertogli dall’allora presidente della Repubblica Luigi Einaudi. Che ne può sapere di politica un sommo direttore d’orchestra? Non basta che sia stato a suo tempo un fervente antifascista. Mi sono sempre chiesto per quale motivo i Costituenti abbiano attribuito al Presidente della Repubblica la facoltà di nominare senatori a vita. Era una consuetudine di quella monarchia che il referendum popolare aveva liquidato. Perché trasferirla nell’ordinamento repubblicano? Per i Patti Lateranensi c’erano ragioni di Realpolitik, ma per il mantenimento dei senatori a vita che ragioni c’erano? Attendo la risposta di qualche illustre studioso. L’avvocaticchio Conte, che si spaccia per insigne giurista, potrebbe spiegare che i Costituenti, illuminati dalle preghiere di Padre Pio, hanno voluto i senatori a vita perché sapevano che molti decenni dopo qualcuno di loro sarebbe andato in soccorso del suo benemerito governo, in modo che potesse portare a compimento i provvedimenti volti a salvare l’Italia da una terribile pestilenza e da una non meno spaventosa crisi economica. Fra tante cretinerie che dice, non sarebbe la peggiore. 

Giovanni Tenorio

Libertino

15 pensieri riguardo “Senatori a vita, perchè?

  • Alessandro Colla

    Quali potrebbero essere le operazioni formalmente lecite per accaparrarsi il mondo? O quelle magiche (e allora sarebbe giustificato parlare di incubo) o quelle attuate per comprarselo. E se c’è chi ci riesce, vuol dire che costui ha trovato i venditori. Gli mancherebbe, comunque, casa mia e il mio terreno. La schiavitù volontaria è moralmente abominevole ma non sarebbe lecito impedire all’aspirante schiavo di esercitare questo suo sia pur disgustoso desiderio. Se uno vuole entrare in convento, non si consegna automaticamente a uno schiavista? Perché se tutti vendono tutto a uno contro i loro stessi desideri, vuol dire che quell’uno è riuscito a procurarsi il danaro per comprarsi tutto in modo niente affatto lecito. Ed è appunto l’istituto della proprietà privata a garantire l’impossibilità di comprarsi tutto. Chi ci riesce ha solo fondato il più grande dei superstati e la proprietà privata finisce per essere l’unico autentico argine al potere. I lembi di terra che non appartengono a nessuno possono essere legittimamente occupati. Se nessuno li occupa, rimarranno di nessuno e non ci saranno incubi. L’incubo inizia quando qualcuno pretende che non si possano occupare, è in quel momento che nasce lo stato. In campo privatistico le eventuali subordinazioni gerarchiche possono esistere solo su base volontaria. Se ciò non avviene è perché qualcuno non ha rispettato il diritto di proprietà dell’altro, riferibile anche alla proprietà della persona. E per non rispettarlo ha dovuto prima compiere un’aggressione. Forse il costruire qualcosa di nuovo è racchiuso tutto nell’articolo unico di ogni organizzazione: è vietato aggredire. Quando si aggredisce per schiavizzare, vuol dire che si ha in mente lo stato; magari inconsapevolmente. Trovo quindi non esatto ipotizzare diverse forme di schiavitù che non siano assimilabili all’idea statalista, anche se lo schiavista non possiede formalmente uno stato. La proprietà, dunque, deve essere intangibile se legittima. Se la si possiede perché è stata portata via a un altro che non aveva aggredito nessuno, siamo in presenza di un esproprio e solo gli stati possono compiere l’esproprio; che altro non è se non un’appropriazione indebita. E per questo tipo di appropriazioni indebite occorre qualcosa che dal 1648 chiamiamo stato moderno. Lo stato moderno, per legittimarsi, ha bisogno di concedere qualche privilegio e il laticlavio a vita è un privilegio. Io non lo darei neanche agli ex presidenti della repubblica (con la “erre” rigorosamente minuscola”) perché potrebbe essere facile estendere tale privilegio anche agli ex primi ministri o agli ex sindaci della capitale o agli ex presidenti della provincia e della regione che ospitano la capitale. Rischieremmo di avere una senatrice a vita radiosa (nel senso della presenza di… Raggi). Mi sembra ci siano stati musicisti con forte esperienza politica: Ignacy Jan Paderewski, Ervin Laszlo, il prima deputato e poi senatore Giuseppe Verdi, l’uomo di loggia Wolfgang Amadeus Mozart (quale opera più politica de Il Flauto Magico?), Luciano Berio, Franco Mannino, Roman Vlad… Gli ultimi due ho avuto l’onore di conoscerli di persona, purtroppo socialisteggiavano tutti e due; il primo dichiaratamente marxista (anche se alla Renato Guttuso, quindi un po’ ereticamente), il secondo apertamente craxiano. Tralascio Richard Wagner (che ovviamente non ho conosciuto di persona) perché il suo operato alla corte di Ludovico di Baviera era solo finalizzato all’acquisizione personale di finanziamenti pubblici. Chi si vuole candidare si candidi e dimostri di essere esperto sia della propria materia che di politica. Sgarbi, indipendentemente da cosa si pensi di lui e delle sue personali posizioni, è esperto critico d’arte ma non si può dire che non capisca di politica. Il brutto negli stati è proprio il politico di professione, colui che in genere non capisce nulla di nulla. Non si tiri in ballo Andreotti, aveva la professione ufficiale di giornalista e comunque non mi sembra un particolare esempio da imitare. A proposito: fallì il compromesso storico per la morte di Aldo Moro? Mi sembra di ricordare che dopo il delitto si accelerò il governo Andreotti con i comunisti non più astenuti ma votanti la piena fiducia al terzo dicastero presieduto dal successore apostolico della Gens Julia. I patti lateranensi erano avversati dagli sturziani e contro il parere di Nenni e De Gasperi, furono voluti e imposti da Togliatti e Dossetti. Non so se la politica dovrà sempre essere ossequiente al potere clericale finché esisterà la chiesa. Ma se è così è possibile un cambiamento grazie alla possibile fine di tale esistenza ad opera del masnadiero che oggi conduce la chiesa e che nella sua blasfemia ha immaginato che il corpo divino del redentore possa essere infettato da un virus. Mi scuso per le “erre” volontariamente virgolettate ma sono rimasto arcaicamente uno a cui piace il purismo anche nella divulgazione. E mi piace anche la da qualcuno definita “paranoia” di non ripetere mille volte la stessa espressione. Mi sembra più paranoico scrivere o dover leggere continuamente “mister Biden, mister Biden, mister Biden” invece di poter alternare con “il presidente”, il “candidato vincente”, “il numero uno della Casa Bianca” e altro. Trovo più paranoica la noia. E la lingua italiana, che forse non padroneggio bene nello scrivere, non mi ha comunque mai annoiato nella lettura. Quando è autentica lingua italiana, certo; perché posso non avere una bella prosa ma la capacità di distinguere, immodestamente me la riconosco.

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  • Alessandro Colla

    Tra i musicisti impegnati politicamente ho dimenticato di citare Luigi Nono.

  • Rispondo all’ultima parte del commento di Colla.

    Certo, come no, il notiziario (che un secondo dopo vola via nell’aere) o l’articolo di giornale (che il giorno dopo servirà al riciclo o ad asciugare il pavimento) devono essere un esercizio stilistico impeccabile (ammesso che baloccarsi con stupidi sinonimi lo sia) delle delizie del parlar toscano, anzichè un conciso ed asciutto repotage dei fatti.
    Qualcuno (vado a ricordo) diceva +/- che chi usa 10 parole quando ne bastano 8 è un mentecatto. Concordo. “Semplificare-semplificare-semplificare”, diceva Thoreau.

    Non sento però dal Colla alcuna una parola di riprovazione sulle cadenze strascicate e bocche larghe che ammorbano le emittenti (al cui confronto il vecchio caro “birignao” è un toccasana per l’udito) queste sì vera piaga della mediocrità in cui siamo caduti da tempo.
    Sono lo più di centro-sud (alla Palombelli per intenderci) e ci donano sfilze di vabbane-fiumiScino-fiurer e imperfetti-esortativi-alla-terrona come se piovesse (però tranquilli, pure la bresciana M.L. Pezzali di R24 è odiosissima a sentirla parlare).

    Va bene (anzi, VABBANE) Il nazidada ha detto la sua, ecco.

  • Alessandro Colla

    Un conto è usare un eccessivo numero di parole per esprimere un concetto e un altro conto è essere ripetitivi (e quindi noiosi) quando si possono usare sinonimi. E l’evitare di essere noiosi è l’esatto contrario dello stupido baloccarsi. Soprattutto non c’entra nulla con la semplificazione o con la sintesi. Ritengo più sciocco (ecco: ho usato un sinonimo al posto di stupido) e più baloccante il ripetere in modo ossessivo lo stesso termine. Il fatto che le parole volino al vento non significa che si debba parlar male. Chi in quel momento ascolta, coglie senso e stile; non sta a pensare se il notiziario è assimilabile o meno al verso poetico. Altrimenti anche gli attori dovrebbero declamare in modo scadente. Non si capisce perché parlare e scrivere bene dovrebbero essere incompatibili con un modo di narrare asciutto e conciso, non c’è alcuna contrapposizione in merito e non c’era questa contrapposizione nelle passate scuole di giornalismo; quelle sul campo, non quella dell’Università di Perugia. Anzi, spesso più si parla e scrive male stilisticamente e più la notizia viene offerta in modo errato e tendenzioso. Se un articolo è scritto bene c’è ancora una persona, il sottoscritto, che non userà il giornale per ricicli o tricicli o asciugatoi in quanto un articolo particolarmente interessante può essere ritagliato o fotocopiato. Non vedo, invece, perché sia considerato esecrabile utilizzare per le operazioni di assorbenza sul pavimento i “romanzi” di Liala solamente perché i libri non si devono buttare in quanto “cosa diversa” dai giornali. A teatro devo pagare il biglietto e al cinema no? Al ristorante si onora il conto e in osteria si beve gratis? Perché dovrei offendere o annoiare il lettore scrivendo un articolo giornalistico usando un pessimo stile? Si ritiene che chi legge i quotidiani sia un ignorante mentre chi sfoglia i libri della pseudoautrice succitata sia colto? Anche ciò che viene scritto qui rischia di andare un giorno perduto, non lo trovo un buon motivo per scrivere sciattamente. Quanto alle mancate parole di riprovazione sulle modaiole cadenze verbali, la spiegazione è piuttosto semplice. Intanto non era all’ordine del giorno, l’argomento era l’uso o il non uso dei sinonimi. Poi va tenuto conto che Colla è rimasto ignorante e di conseguenza non guarda quasi mai i programmi televisivi che invece i colti seguono quotidianamente, quindi potrebbe non essere proprio a conoscenza del fenomeno. Malgrado ciò, lo stesso Colla concorda sul fastidio delle cadenze strascicate e delle bocche larghe che a volte è costretto ad ascoltare in conferenze o attività similari. Figuriamoci, perfino nella lirica non gli piaceva la dizione di Franco Corelli e aveva delle riserve addirittura con la prima Mirella Freni ( e stiamo parlando di grandi!). Definire quelle attuali una piaga della mediocrità è usare un eufemismo, indipendentemente dalle aree geografiche di provenienza degli ammorbatori o delle strascicanti. Proprio un toccasana, il vecchio birignao no; penso sia un bene averlo superato. Ma comunque preferibile ai miagolii odierni, sicuramente.

    • “Poi va tenuto conto che Colla è rimasto ignorante e di conseguenza non guarda quasi mai i programmi televisivi che invece i colti seguono quotidianamente…”

      Ostentata esibizione di finta modestia che vorrebbe attirarsi l’applauso, ma la “carrettella” cigola.
      Colla non è ignorante, ma un po’ strano sì. Sospettosissimo per ogni cosa che provenga dai canali ufficiali è invece ingenuo in dosi da cavallo su ciò che gli propina il leopardo e il suo sito, al punto di credere pure che esistano i vari Malgaponte, Fabio, Michele, GIG… e tutti i nomi e cognomi del mondo. E pare proprio che il naufragar gli sia dolce in quel mare: buon per lui, l’essenziale è essere felici.

  • Alessandro Colla

    @Leporello: Sto trovando difficoltà di accesso al sito, compresa l’attesa in moderazione dei commenti che prima non trovavo. E’ in ristrutturazione o ho sbagliato io a inserire il mio indirizzo di posta?

    • Buongiorno, confermo un certa lentezza del server (che non dipende direttamente da me, ma di solito si risolve in poche ore). La moderazione dei commenti in teoria è automatica, anche inserendo un indirizzo diverso, dopo la prima approvazione (o la seconda, non ricordo) dovrebbere includere l’autore tra quelli verficato. Anche a me risultano delle stanezze, quindi andrò a verificare che non siano cambiate le impostazioni a seguito di un aggiornamento.

  • Confermo pure io la lentezza e la messa in moderazione.

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    • Un altro sito che si trova sullo stesso server è sotto attaco DDoS. L’attacco potrebbe durare qulache giorno e stiamo trasferendo Libertino su un server diverso.

  • Alessandro Colla

    1) Ostentata esibizione di finta modestia? Legittima opinione ma bisognerebbe avere uno spettro più ampio. Qualcuno potrebbe invece interpretare l’espressione come frecciata verso coloro che si credono colti perché seguono Santoro se sono di sinistra o Del Debbio se dicono di non essere di sinistra. Quindi l’applauso da chi, se la frase provoca malcontento in tutti gli schieramenti? Quanto alla carretta che cigola, non ne comprendo il significato perché In genere gli incolti sono anche stolti. Forse è un paragone con quelli che trascinano il carro tentando di non lasciarsi scoprire ma poi il cigolio rivela la loro presenza, non so. Mi voglio riesibire in falsa modestia, in fondo sono un saltimbanco e di applausi ci vivo anche materialmente.

    2) Se la stranezza consiste nell’essere sospettosi dei canali ufficiali, viva la stranezza dal momento che sono talmente squalificati da non consentire solo il semplice sospetto. E forse, meno si è ignoranti e più si è logicamente sospettosi; a meno di non essere solo strani.

    3) Ingenuo in dosi da cavallo? Tutto è possibile. Sta di fatto, però, che quando il sito era marchiato F & F, con la pantera nera che si affiancava al “leopardo”, fui talmente scettico sulle posizioni del secondo “Effe” che scrissi in aperto contrasto verso ciò che affermava quest’ultimo in materia sanitaria e statistico – sanitaria. Quindi le posizioni che affermo sono di natura ideologica, se il termine può essere considerato appropriato, non di attesa messianica causata da un sito che può propinare ciò che vuole ma che si mostra convincente solo con la coerenza e non con la china che aveva preso durante l’ex gestione diarchica. Lo scrissi anche qui, trovando conferma di ciò che temevo e cioè che qualcuno all’interno di detto sito si stesse bruciando il cervello. Le motivazioni dei miei dissensi sono sempre state e sono basate sui contenuti, non sulla sopraggiunta antipatia per alcuni personaggi o su cause emerse nel tempo per ragioni di natura personale. Come purtroppo mi sembra che sia (posso errare, ovviamente) da parte di chi mi immagina e descrive ingenuo.

    4) Fabio è Fabio Colasanti. Posso scriverlo perché non si nasconde, si impegna molto per il movimento nel quale milita, rappresenta di fatto il movimento stesso a Roma e il suo impegno è sicuramente maggiore del mio. Lo conosco di persona da più di quindici anni e l’altro ieri sono stato a casa sua per addentare, insieme alla sua famiglia, stupendi bocconi di pizza rustica (da bravi vegani, con la salsiccia) e tracannare (da perfetti astemi) gustose secchiate di Cesanese del Piglio. Ci frequentiamo dal 2005 quando seguivamo i corsi di economia politica organizzati dalla Fondazione Einaudi. Ed è proprio lì che nacque il nostro scetticismo verso il liberalismo ufficiale che ormai di liberalismo aveva solo il nome. Non ci bastava più “ciò che ci propinava” la fondazione citata, semplicemente perché non ci convincevano le contraddizioni che ci venivano “ingenuamente” proposte. Da lì nacque anche una personale amicizia, facilitata dall’abitare nella stessa città che costituisce un elemento di maggiore possibilità per gli incontri. Ho avuto occasione di avere risposte da parte di altri come Antonino Trunfio che poi si è ben identificato su Linkedin e mi ha lasciato tutti i suoi recapiti personali, compreso il numero di telefono portatile ancora a sei cifre dopo il prefisso perché incredibilmente non ha mai cambiato numero. Una volta ebbi risposta perfino da Birindelli: un fantasma anche lui? Non so chi si celi dietro i nomi di fantasia come Malgaponte, GIG, Michele o altri. E’ un’abitudine comune (non la mia) quella dello pseudonimo, per qualcuno un vezzo mentre per altri potrebbe essere una necessità. In fondo non so nemmeno chi sia (o forse sì?) il recentemente censurato Don Floriano Superstar ma ciò non cambia di certo la vita delle persone. Non so quanti di questi soprannomi siano attribuibili a soggetti reali e quanti siano inventati. In fondo anche Max non posso sapere chi sia o se sia un’invenzione di Don Giovanni in luogo di un’immaginazione di Leporello. Altri nomi mi proposero di incontrarci di persona e nelle occasioni conviviali bolognesi l’incontro è realmente avvenuto. C’è da aggiungere pure che pretendere di scoprire chi siano i falsi profili da parte di chi aveva scambiato Loredana Stefanini (che conosco da quarant’anni e che abita nel mio stesso quartiere) per una troll, mi sembra un esercizio di eccessiva e ostentata immodestia (non falsa, è vero) che potrà avere gli applausi di qualcuno ma non i miei e che viene scoperta senza troppi cigolii.

    5) Concludo il mio solito abuso di spazio ricordando cosa possa essere un autentico naufragio: ritengo sia di coloro che si affidano alle narrazioni di chi continua a detenere il potere dimostrando sfacciatamente di non avere alcun interesse a lasciarlo. Per me la frequentazione dei siti che si ispirano alla libertà autentica è stata una scialuppa di salvataggio che ha impedito potesse naufragasse la mente. Quando dissento, soprattutto nel metodo, lo dico apertamente ma il vero naufrago (si legga la cosa solo a mo’ di esempio) è colui che crede il mare di Draghi meno tempestoso di quello di Conte. In realtà cambia solo la ragione sociale dell’imbarcazione ma se il Titanic si fosse chiamato Tritonic, l’incidente sarebbe avvenuto lo stesso. Non mi era dolce la posizione che “Effe 2” aveva preso e l’ho detto a suo tempo. Non mi sono dolci le malcelate convinzioni ottimistiche sull’efficacia delle sia pur giuste azioni di protesta odierne ma non mi astengo dal dirlo. Non mi saranno dolci eventuali errori che verranno compiuti in futuro sul piano metodologico e credo continuerò a criticare questi possibili errori. Sulla felicità è inutile disquisire in quanto a non essersi considerato felice mi risulta sia stato proprio l’autore del carme sì dottamente nonché appropriatamente citato. Citazione che probabilmente spiega perché il titolare del sito incriminato venga chiamato come lui, sia pure al singolare.

    • “Don Floriano Superstar” ex “Don Floriano Fan Club” ex “Max” sono io, solo Colla fa finta di non averlo capito (ma se davvero non l’ avesse capito è messo proprio male). Visto che il Mo Vi Mento Dromedario mi ha bannato una dozzina di volte, era necessario cambiare nome e mail che erano in blacklist. Non me ne sono mai lamentato, avendo esso tutto il diritto di farlo (e pure il rovescio). Lo dico qui per la prima volta e anche l’ultima. Ho sempre usato termini irrisori, caustici, mai insulti come invece ho io ricevuto dal Facchino, nota persona di classe e buongusto. L’ultimo ban è per avere criticato il loro eroe e protetto Stefano Scoglio, “nutrizionista” e “fitoterapista” (“dottore”, ma in legge, scienze politiche e filosofia, più vari titoli che sanno solo di patacche, vedere linkedin) uno che Pasteur lo pronuncia Paster (vedere video su FB, ma millanta conoscenza “perfetta” del francese, vedere linkedin), uno che pare il fratello meno intelligente di Elio delle “storie tese”. Uno dei primi ban invece è (hanno pure paura della cultura) per aver postato una foto dei libri che leggevo negli anni 80 (anarchia tradizionale, diciamo di sinistra, vabbè, allora le idee an-cap non circolavano proprio): è durata poche ore, subito cancellata. Mi vergogno io per loro.

      Scrivo pure su un commentario dichiaratamente post-fascista, ove il controllo è nullo o quasi. Sono andato spesso sul pesante (senza insultare) col giornalista dell’articolo, per vedere fin dove potevo spingermi. Mai nessun post cancellato, links senza problemi, posso anche inneggiare al Chè se voglio (provate dal Facchino,..). Morale: non tutti quelli che si definiscono democratici o liBBertari sono tali come non tutti quelli che si definiscono faSSisti sono tali.

      Sì, ho sbagliato qualche volta nell’individuare il troll di corte, ma solo chi non fa non sbaglia. Perlomeno ho evitato che il troll-sguattero-mentecatto-psicopatico del sito ML mi stressasse con mille identità diverse con attacchi multipli in stile velociraptor.

      Infine chiamasi “carrettella” in gergo teatrale un espediente volto a scatenare l’applauso: io (non del mestiere) l’ho imparato da Corrado Tedeschi, mi stupisco Colla non lo sappia (evidentemente e buon per lui non ha bisogno di questi mezzucci).

  • Alessandro Colla

    Prova

  • Alessandro Colla

    Ho dovuto lasciare un messaggio di prova, il mio precedente commento è stato completamente cancellato. provo a riscriverlo sperando di ricordarmi ciò che avevo prodotto prima.

    Il fingere di non aver capito era un qualcosa di volontariamente allusivo e se non è stato compreso potrebbe essere indice di star messi più male di me che pure ho superato i sessantadue; in fondo i frequenti prefissi “dada-” erano una specie di confessione. Comunque noto che la non celata provocazione ha avuto successo. Non conosco i titoli di studio di Stefano Scoglio ma i suoi detrattori non hanno mai contestato la mancanza di adeguati diplomi di laurea e comunque mi sembra padroneggi bene gli argomenti di cui tratta. Eviterei di formalizzarmi sulla pronuncia francese, il suono intermedio tra la “e” e la “u” è un fonema italianamente inesistente. Tra l’altro non sono più molti gli italiani conoscitori della lingua d’oil e il vero problema, che ci ha trovati precedentemente d’accordo, è la scarsa familiarità di numerosi italiani con l’ortoepia e gli accenti fonici; quando non anche di quelli tonici, si veda il caso delle frequentemente errate pronunce di “edile”, “persuadere”, “dissuadere” o quant’altro. Millanta conoscenza di una lingua straniera? Non so, non ho molta voglia di verificare ma potrebbe conoscere bene grammatica, sintassi, storia della letteratura e non essere preciso nell’esercizio della fonetica. Io non pronuncio “zingaro” con la zeta aspra come vorrebbero i “dizionisti”, questo non significa che non sappia chi siano i Rom o i Sinti. Buona per la satira la definizione di “Mo Vi Mento” ma devo dire che il cumulo di menzogne profuse dagli antilibertari supera di gran lunga le possibili inesattezze che si possono ravvisare sul sito ufficiale del movimento. Sarebbe forse più proficuo indicare volta per volta la singola presunta menzogna per poterla eventualmente smascherare o confutare. Inoltre la tipologia della risposta alle mie allusioni, conferma l’ipotesi di un rancore dettato da ragioni personali e non da motivazioni ideali. Non è vero, peraltro, che abbiano paura della cultura: la Libreria del Ponte pubblica anche Gramsci e diverse iniziative movimentiste sono rivolte alla diffusione delle idee; soprattutto quelle vietate. Il sito è pieno di commenti inneggianti a Guevara (lui sì, finto medico) e non sono mai stati censurati. E’ vero: le risposte a volte sono inutilmente poco urbane. Non serve a nulla replicare con frasi del tipo “povero demente”, “analfabeta di regime”, “aspirante tiranno” senza ribattere con argomenti scientifici che pure non mancano. E’ cosa che ho sempre contestato ( e questo è verificabile) ma non sono mai stato censurato per queste contestazioni. Ho notato una recente censura a Don Floriano, comprensibile perché si auspicava di “mettere al muro” di Cesena i convenuti a una pubblica riunione. Ritenni errata anche questa cancellazione (pure questo è verificabile) ma nemmeno in quest’occasione ho avuto censure. Nella mia poco fertile immaginazione ho pensato che Max potesse essere lo pseudonimo di Maxilli, a sua volta voluta storpiatura di Mazzilli. In questo caso il dispiacere per il divorzio sarebbe doppio perché il libro di Mazzilli che acquistai dalle sue stesse mani durante un incontro romano sulla possibile rinuncia al posto fisso (mi sembra all’Hotel Plaza di via del Corso), si è rivelato un ottimo testo. Interessante e al tempo stesso funzionalmente sintetico; il contrario, insomma, della prolissità di Colla che ha spesso egocentricamente necessità di ostentare che quella cosa la sa e quell’altra pure. Ma se ho sbagliato l’identificazione, provo ugualmente dispiacere per le censure subite con in soprannomi precedenti. Concordo: non è sufficiente definirsi libertario per esserlo veramente ma questo deve valere per tutti anche a costo di rimettersi in discussione senza escludere la necessità dell’autocritica. Si citi una volta per tutte un episodio di incoerenza libertaria (non le censure perché a casa mia non si fuma e non si usano espressioni volgari, se l’ospite si lamenta può accomodarsi fuori) e lo si confronti magari con le proprie certezze di sempre mantenuta coerenza. In questo modo ci sarebbe qualche possibilità di risultare convincenti. Anch’io ho avuto attacchi personali pesanti da alcuni commentatori. Soprattutto da due, uno era apertamente statalista e quindi non mi meraviglio; l’altro si definiva libertario. Nessuno di quegli attacchi fu mai censurato ed è giusto che sia così. Non so se uno dei due, intendo lo statalista, sia lo stesso che viene definito “troll – sguattero – mentecatto -psicopatico del sito”. Non credo perché quel “del sito” mi porta a pensare che si tratti di qualcuno ben inserito all’interno del movimento, una sorta di troll “di corte”. Forse non saprò mai di chi si tratta, se un giorno lo venissi a sapere potrei provare meraviglia o addirittura delusione; come del resto ho provato con Fidenato, un esempio dimostrante che non sia sufficiente l’autoreferenzialità per potersi definire libertario. Una curiosità, forse, posso togliermela riguardo a quale sia il sito postfascista se Max potrà fornirne il nome. Passiamo a qualcosa di più gradevole. Non avevo mai sentito parlare di “carrettella” in teatro. Conosco la voce senza diminutivo, le carrette dei comici erano i luoghi dove viaggiavano e vivevano le compagnie di giro. In più di quarant’anni di attività non l’ho mai sentita pronunciare. Non dagli attori romani. Con Fiorenzo Fiorentini c’è stata una sola breve esperienza. Più lunga con Aldo Merisi, Roberto Mancini e Daniela Guardamagna ma sono più portati a lavori di avanguardia che tradizionali (una volta, su un testo di Memè Perlini ho interpretato il… mazzo di carte!). Il padre di Daniela, lo sceneggiatore Dante, era nato a Fiume; neanche da lui ho mai ascoltato quell’espressione. Con Silvio Spaccesi, l’unico che ha voluto mettere in scena i miei testi, c’è stata la più lunga delle collaborazioni e anche con lui non mi è mai capitato di ascoltare “carrettella”. Forse nelle Marche non si usa. E’ un espressione dal sapore meridionale ma il mio insegnante di recitazione, Luigi Infantino, era della provincia di Agrigento (diceva sempre: “sono nato a Racalmuto come il mio grande amico Leonardo Sciascia) e non la pronunciò mai in mia presenza. Eppure ci teneva che imparassimo anche i più piccoli segreti del mestiere; nemmeno sua moglie, la nota attrice Sarah Ferrati, ce ne parlò mai. Idem per Isa Di Marzio, la nota “Orazio Pennacchioni” del passato e voce di Speedy Gonzales. Ho parlato più volte con Pino Caruso, pur non avendo mai avuto occasione di recitare con lui; anche qui la “carrettella” non è venuta fuori. Stessa situazione con il Tedeschi che ho conosciuto io, Gianrico, forse perché a Milano si utilizzano altre espressioni. Sono in corrispondenza con Enrico Montesano e anche qui finora nulla. Incontravo spesso Lando Fiorini e nulla anche qui. Oltre che meridionale, il sapore è un po’ partenopeo. Vado a ritroso, allora. Con chi ho lavorato tanto, Rosaura Marchi, mai sentita. Occasione unica con Lucia Cassini, non pervenuta. Conoscenza personale senza lavoro comune con Vittorio Marsiglia e Dodo Gagliarde, anche qui nulla di fatto. Provo allora con Antonello Avallone (mi tocca andare a consultare i tutt’altro che pentiti veteromarxisti!) con il quale non ho mai lavorato e che oltre a essere attore, autore, regista e impresario è anche cultore del gergo teatrale presente ma soprattutto passato. Con le sue parole la scena si illumina: è espressione napoletana ma desueta. L’ultimo a utilizzarla sarebbe stato Raffaele Viviani e già i De Filippo non la usavano più. Peccato perché contrariamente a ciò che immagina Max, non essendo un grande avrei a volte bisogno anche di questi mezzucci. Essere mestieranti non significa essere geniali; soprattutto non significa essere benestanti o addirittura ricchi. Come dicono gli acculturati autentici? Primum vivere?

  • Alessandro Colla

    Ho dovuto premere due volte, la seconda dopo essere andato con la freccia “indietro”, poi con quella di “avanti” (non il quotidiano). Con una sola compare la scritta “impossibile raggiungere il sito” e i commenti scompaiono.

  • Il problema dovrebbe essere stato risolto, server trasferito e DNS aggiornati.

    L’attacco DDoS non era rivolto a Libertino direttamente, ma al nostro fornitore del servizio hosting, che si trova in Islanda ed è specializzato nel fornire il servizio a siti politici spesso oggetto di tentativi di attacco, anche governativi. In questo caso l’attacco era indirizzato a un sito analogo, residente sullo stesso server (parte dell’hardware in comune).

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