Don Giovanni

Ona pesciada in dal cuu ai tagliàn

Ol pòpol dal Tesin al gh’ha daa ona pesciada in dal cuu ai tagliàn che ga portan via ol lavorà, parché sa contentan da poch danee. Ma num con quij danee lì tirom minga nanca la fin dal mes. Notizia fresca fresca: il 58% dei votanti ha approvato per referendum la proposta dell’UDC, il partito ticinese gemmato dalla cultura leghista-miglina di chi ce l’ha duro – di concedere la precedenza agli indigeni nelle offerte di lavoro. Dovrebbero gongolarne tutti quelli che elogiano il paradiso svizzero, vedendo nei referendum di cui è costellata la vita politica dei discendenti di Guglielmo Tell la panacea di tutti i mali.  E’ il popolo che deve decidere, e il popolo è più saggio di chi pretende di governarlo. E la volontà del popolo si esprime col voto nell’urna. Abbiamo già altre volte messo in ridicolo la vanità di questi miti, sposando ragioni su cui non abbiamo certo la pretesa di esercitare un diritto di paternità. Basta leggere certi saggi di René Girard che fanno piazza pulita di Rousseau e della sua paccottiglia ideologica. Solo una messa a punto: non è vero che il popolo ticinese ha espresso un parere anti-frontalieri, è vero invece che una quota nettamente superiore alla metà più uno dei votanti (non degli indigeni, non degli aventi diritto al voto) ha certificato la propria posizione favorevole a una proposta di legge discriminatoria. Se questa è democrazia – e sicuramente tale è, se la maggioranza del demos corrisponde per definizione al demos, ovverossia se, al contrario d’ogni logica, la parte corrisponde al tutto, allora si dimostra che il sistema democratico può convertirsi in discriminazione di chi del sistema non fa parte (gli schiavi, le donne, gli stranieri nella Atene del sec.V a.C., i frontalieri nel Canton Ticino di oggi, ma anche le donne fino all’altro ieri, visto che nella civilissima Elvezia le donne hanno conquistato il diritto di voto buone ultime nel panorama dei regimi liberal-democratici); e in violenza contro chi non è d’accordo. Se il parere emerso dalle urne ticinesi si convertirà in provvedimenti concreti, i frontalieri se la vedranno brutta, rischiando di perdere il loro posto di lavoro, e gli imprenditori, contrarissimi – non certo per motivi umanitari- alla proposta sottoposta a referendum saranno messi nell’impossibilità di scegliere i dipendenti che vogliono, e costretti ad assumere, per esempio, un elettricista somaro svizzero invece di un tecnico di valore cittadino della Taglia. Ammesso e non concesso che di elettricisti indigeni, ancorché somari, se ne possano trovare ancora. Per fortuna ormai è in pensione, ma che ne sarebbe, se il provvedimento discriminatorio andasse in porto, di quel mio caro amico, latinista e grecista raffinato, che ha retto fino a non molti anni fa le sorti del Liceo di Mendrisio, con il plauso di studenti, docenti e genitori? E, già che ci siamo, perché non allontanare dalla (bellissima) stagione concertistica di Lugano, giusto vanto del Canton Ticino più aperto alle ragioni dell’internazionalismo non solo economico e bancario, ma anche culturale – i musicisti tagliàn? Perché non escludere l’orchestra dell’Accademia di Santa Cecilia in programma per l’anno prossimo, tanto più che è diretta da un finto inglese dal nome tagliàno, Antonio Pappano, che ha un aspetto da terroncello, così terrone che più terrone non si può? Il fatto è che il  lumpenproletariat elvetico ha sempre sprezzato gli italiani che si adattavano a fare il manovale o a pulire i cessi – i poveri spesso odiano chi è più povero di loro: sono poveri di spirito. non in ispirito-  e gli altoborghesi suoi conterranei non si sono fatti scrupolo di condannare a una vita da bestie i medesimi manovali e pulicessi. Nella Lucerna degli anni Sessanta mi capitò di vedere con i miei occhi come venivano trattati i manovali terroni, confinati in baracche, nutriti con i pasti della peggior cucina elvetica riservati ai cani e agli italiani. Poi magari i loro stessi datori di lavoro, accompagnati dalle loro eleganti signore dal naso rifatto, andavano la sera ad ascoltare all’auditorium il milanese d’origine terrona Claudio Abbado, in una Sinfonia di Mahler. Quello non lo facevano vivere nelle baracche, ma negli hotel di lusso, né gli davano i pasti riservati ai cani e agli italiani. Tra parentesi: tra i più raffinati direttori d’orchestra d’oggi, c’è il luganese Diego Fasolis, da me ammiratissimo. Se cacciano via il terrone Pappano da Lugano, perché per ripicca non cacciamo via il ticinese Fasolis da Martina Franca (dove diresse magistralmente, due anni fa, l‘Armida di Tommaso Traetta)? Parlo per paradossi, è chiaro, ma solo per dimostrare dove si può arrivare se si portano alle estreme conseguenze le ragioni – o meglio le non-ragioni – di vecchi e e radicati pregiudizi.

Avversario come sono del sistema democratico, in quanto illiberale e oppressivo in tutte le sue forme, sono disposto ad ammettere che, sul piano empirico, quando si è in tanti a dover decidere può essere opportuno ricorrere al metodo della maggioranza, secondo il principio una testa-un voto. Ma un conto è decidere se costruire o no un nuovo cesso pubblico, se sostituire a un vecchio semaforo un semaforo più moderno o una rotatoria, se destinare un’area urbana a parco di divertimenti o a zona commerciale; un altro conto è sottoporre al parere della maggioranza proposte che, se approvate, andrebbero a discriminare o a opprimere una minoranza o un gruppo sociale  escluso dalla pienezza dei diritti e dalla partecipazione alla vita politica. Fate votare a un popolo di schiavisti se vuole l’abolizione della schiavitù. Avreste dubbi sul risultato? Nella democratica America per abolirla ci volle una guerra civile, lunga e sanguinosa.
Tra l’altro, se è vero che vox populi vox Dei, allora è anche vero che Dio onnipotente e onnisciente prima  può dire una cosa e poi dirne un’altra. il che non è possibile, per la contradizion che no’l consente. Pensate un po’: lo stesso popolo che oggi vuol cacciare i frontalieri solo ieri ha votato contro l”introduzione di un salario minimo garantito. Eppure una delle motivazioni più forti addotte  per discriminare i tagliàn è stata proprio quella  che, morti di fame come sono, si accontentano di paghe da pitocchi, rubando così il lavoro a chi con la stessa cifra non potrebbe arrivare, dato il costo della vita elvetico, a fine mese. Una sorta di dumping che stravolge il mercato del lavoro. Argomento oppugnabile, ma non privo d’una sua ragionevolezza. Il guaio è che, se un imprenditore è costretto a elargire certi salari, vede aumentare il costo del lavoro e diminuire la sua competitività sul piano della concorrenza internazionale. Nel mercato globale, tutto si tiene. Ma nella modernissima Svizzera d’oggi, evidentemente c’è qualcuno che vorrebbe si facesse comè ai temp da prima ca ga fuss al re*.

* E’ la risposta che i conterranei di Guglielmo Tell, nel romanzo satirico Guglielmo Tell per  la scuola di Max Frisch danno all’ambasciatore di re Rodolfo, che cerca di spiegare, senza successo, le ragioni della politica asburgica nei confronti delle comunità elvetiche.

Giovanni Tenorio

Libertino