Don Giovanni

Il patto Renzi-Durnwalder

Inizio anni Settanta del secolo scorso. La camionetta dell’Esercito Italiano, Compagnia Trasmissioni Orobiche, arranca lungo la Strada Statale 44, in direzione del Passo del Giovo. A bordo l’autista, militare di truppa, con due altri commilitoni, agli ordini di un caporalmaggiore. Destinazione: Ceves, nei pressi di Vipiteno. Consegna: preparativi per l’installazione di apparecchiature ricetrasmittenti a servizio delle manovre militari programmate in loco nella settimana successiva.

A un certo punto, l’autista rallenta, si gratta la testa.

– Qualcosa che non va? – chiede il caporalmaggiore.
– Temo di aver sbagliato strada, al bivio. Forse dovevamo andare dall’altra parte. Ma guarda: chiediamo a quel signore.
Si sta avvicinando,dalla direzione opposta, a piedi, un uomo di mezza età, vestito col tradizionale abito tirolese. Quando gli è vicino, l’autista gli domanda:
– Mi scusi, vado giusto per Vipiteno?
– Vipiteno? – è la risposta piccata – Nein, nein Vipiteno! Sterzing, Sterzing, Sterzing!! Nach Sterzing (Sterzing, nicht Vipiteno!) müssen Sie zurückfahren! Grüss Gott!
– Che ha detto il villanzone?- chiede l’autista al caporalmaggiore, che mastica qualcosa di tedesco, dopo che quello ha ripreso il cammino.
– Ha detto che dobbiamo tornare indietro: avevi ragione, al bivio abbiamo sbagliato strada.
– Razza di imbecilli! L’italiano lo sanno, ma ti rispondono in crucco. E poi: Sterzng, Sterzing! Ma che Sterzing! Vipiteno! Siamo in territorio italiano.
– Che sia un villanzone, d’accordo. Ma i sudtirolesi, ad avercela con noi e a pretendere di chiamare i loro paesi con le denominazioni d’origine, non hanno tutti i torti.
– Questa l’è bella! – interviene uno degli altri due militari, un bergamasco della Valle Imagna che di solito parla una lingua ancor più incomprensibile del crucco, ma col caporalmaggiore si sforza di parlare quel poco d’italiano che conosce. – La Grande Guerra l’abbiamo vinta noi, questa adesso l’è Italia e si deve parlare italiano, e i nomi dei paesi devono essere in italiano!
– Proprio te devi dire così! – interloquisce l’ultimo del quartetto, un nativo della Sicilia trasferitosi a Nord e arruolato anche lui tra gli Alpini – che parli una lingua che non si capisce  una minchia!
– Calma ragazzi! – protesta il caporalmaggiore. – La Guerra del 15-18 l’abbiamo vinta, ma questi sono sempre stati territori austriaci, di lingua tedesca.
– Oh bella! – dice l’autista – anche noi lombardi eravamo sotto gli austriaci, però li abbiamo cacciati via, ed è giusto che, alla fin fine, i confini siano stati portati al Brennero.
– Giusto un accidente. Fermo restando che noi lombardi nel Settecento sotto Maria Teresa e i suoi successori stavamo benissimo, culturalmente siamo italiani e parliamo italiano.
– Mica tutti, mica tutti – interrompe il siculo.
– E lasciami continuare! Dicevo: siamo italiani, e quindi avevamo forse qualche ragione di staccarci dall’Impero d’Austria. Ma questi qui sono sempre stati tirolesi, come quelli che vivono di là dal    Brennero. A Innsbruck è sepolto l’eroe che in epoca napoleonica combatté per l’indipendenza del Sudtirolo, Andreas Hofer. Queste terre sono sempre state parte integrante dell’Austria propriamente detta. Noi facevamo parte del Regno Lombardo-Veneto, retto da un viceré. Cavour era irritato con quello dei tempi suoi, vedendolo governare con metodi moderatamente liberali e temendo che, in questo modo, gli guastasse i piani espansionistici della monarchia sabauda che, in nome degli ideali risorgimentali, da primo ministro aveva preso nelle proprie mani.
– Si vede che tì t’ha stüdiàj – dice il bergamasco. Ma allora chi ci ha messo i nomi italiani al posto di quelli todeschi, in questi posti qui?
– Fu un certo Ettore Tolomei (che già per conto suo, prima della guerra, s’era ingegnato a proporre per questi luoghi una nuova toponomastica), per incarico del quinto governo Giolitti, negli       anni 1920-21.
– E dov’è andato a prenderli, questi nomi nuovi, questo topo…come si chiama?
– Toponomastica. Mah, è andato a rivangare certi nomi latini. Puttanate. Sarebbe come se pretendessimo di rinominare Vienna Vindòbona e Salisburgo Iuvavum, perché al tempo dei Romani si chiamavano così
–   Eh sì, hai ragione, l’è proprio una puttanata – conclude il bergamasco. L’è cumè pretendere che Bergamo ridiventi Bergum!

L’ultima battuta del bergamasco l’era proprio tutt’al rovescio. Però, poveretto, aveva seguito bene il ragionamento del caporalmaggiore. Chi avrebbe detto, allora, che nel secolo successivo qualcuno avrebbe proprio proposto, con successo, di introdurre anche nei comuni lombardi una toponomastica bilingue, in dialetto e in italiano, proprio sul modello invalso nella Provincia autonoma di Bolzano in seguito ai patti De Gasperi – Gruber del secondo dopoguerra?

Bilinguismo toponomastico in Sudtirolo-AltoAdige, quindi Bozen-Bolzano, Meran-Merano, Sterzing-Vipiteno, Forst-Foresta, Bruneck-Brunico, Toblach-Dobbiaco, e via di seguito. Ormai è un dato acquisito, nessuno più lo mette in discussione. Chi si sognerebbe di tornare all’orrida ideologia di Ettore Tolomei, approdato – non si fatica a capire il perché – dall’arsenale di un acceso nazionalismo alle spiagge del fascismo mussoliniano?
Eppure c’è qualcuno che l’ha pensata alla rovescia, come il nostro bergamasco: perché non abolire in Sudtirolo la toponomastica italiana, lasciando soltanto le indicazioni in tedesco? Un’assurdità, perché lassù c’è una minoranza italofona, particolarmente estesa nei centri più importanti, come Bolzano e Merano, ma presente anche negli angoli più appartati. Ormai la convivenza fra le etnie (ci sono anche i ladini, nelle valli più discoste) è diventata pacifica; il terrorismo irredentista degli anni Sessanta del secolo scorso è acqua passata; i giovani, per fortuna, capiscono sempre meno le ragioni di un conflitto etnico-linguistico divenuto inaccettabile all’interno di un’ Unione Europea che, nella cosiddetta area di Schengen, ha eliminato di fatto i confini nazionali, anche quelli fra Italia e Austria (sì, l’Europa Unita ha fatto qualcosa di buono, piaccia o non piaccia a chi ce l’ha duro, e continua ad avercelo pur dicendosi libertario). Ma la vita è così strampalata che non c’è nulla, proprio nulla, che non possa, prima o poi, accadere. Un’ ottantina di anni fa una vecchia megera genovese profetava: “Meschino chi ci sarà, quando impacchetteranno il latte”. Tutti la prendevano per matta. Forse che oggi non si vende il latte in cartoccio?
Tornando a noi: chi propone l’abolizione, alla rovescia, del bilinguismo toponomastico? Indovinate! Ma sì, proprio lui, il Renzino, ormai ridotto come un povero disgraziato che sta annegando e, credendo di potersi ancora salvare, non controlla più i suoi movimenti, si agita, annaspa, si aggrappa alle onde, e così facendo affretta il momento di inabissarsi per l’ultima volta, dopo aver ingurgitato abbondanti sorsate d’acqua,senza più poter risalire. Gli stanno andando male proprio tutte. L’economia non solo non cresce, addirittura arretra. I tentativi di ricevere dalla UE il consenso ad allargare nuovamente i cordoni della borsa con la scusa del terremoto sono andati a vuoto. La speranza fanciullesca di assumere la parte di Terzo Grande d’Europa, alla pari di Hollande e Merkel, dopo l’addio alla UE del Regno Unito è finita nel cestino dei rifiuti. Ha contro di sé una fetta consistente, e di gran peso, del suo stesso partito. Rotti i ponti con il Berlusca dopo il naufragio del “patto del Nazareno”, s’è inimicato anche quel che resta dell’armata Brancaleone capitanata dal Cavaliere. La sinistra lo detesta, la destra anche. Gli stessi preti, che in apparenza seguono con distacco inconsueto la lotta politica intorno al referendum, gli sono in gran parte avversi perché, cattolico come si dichiara, non ha esitato ad approvare le nozze dei culattoni. Holland e la Merkel, contro cui non smette di sbraitare, gli hanno voltato le spalle (se tira ancora un po’ la corda, non mi meraviglierei che la la signora teutonica, vendicativa come la Fricka dell’amato Wagner, gli facesse fare la fine del Cavalier Berlusca,ordinando segretamente alla Deutsche Bank di vendere una caterva di titoli di Stato italiani, così da farne salire alle stelle il differenziale, il famigerato “spread”). L’ambasciatore americano gli ha reso un cattivo servizio sostenendo l’opportunità di approvare la sua riforma costituzionale: le ingerenze straniere danno sempre fastidio, fanno sospettare connivenze inconfessabili. Lo stesso si dica per l’appoggio di Confindustria e gli elogi di Marchionne, un’associazione e un personaggio che la maggior parte degli italiani ha giustamente in uggia. Trapela la notizia che per far quadrare i conti della sanità pubblica si dovranno aumentare le quote di partecipazione diretta alle spese medico-ospedaliere (i famigerati “ticket”). E allora, che fa il Renzino, oltre a sbraitare ogni giorno di più? In cambio dell’appoggio al SI’ nel referendum propone alla Südtiroler Volkspartei, il partito di maggioranza che nella provincia autonoma d Bolzano tutela gli interessi dei tedescofoni e dei ladini, un accordo per l’abolizione del bilinguismo toponomastico, a favore dei toponimi tedeschi. La proposta sembra sia stata accolta con entusiasmo. E’ l’ultimo passo falso. Proprio vero che un dio annebbia il cervello di chi vuol mandare in rovina. In questo modo il Nostro si accolla sicuramente un’ulteriore perdita di consensi, prima di tutto fra gli italofoni altoatesini, e poi anche fra  gli altri Italiani, del Nord, del Centro e del Sud. Inoltre non è detto che gli elettori della SVP ascoltino compatti i consigli dei loro capipartito. E non è neanche detto che i capipartito, una volta ottenuto quel che gli è stato inaspettatamente e improvvidamente offerto, siano tanto solleciti a eseguire la controprestazione. Fossi in loro, approfitterei dell’occasione per rendere all’Italia la pariglia dello sberleffo che fece all’Austria nel 1915, quando col Patto segreto di Londra le volse le spalle in barba alle clausole della Triplice Alleanza, entrando in guerra a fianco dei suoi nemici. Suggerirei sotto sotto ai miei elettori di votare NO.
Ancora una volta, la Storia già vissuta come tragedia si ripeterebbe come farsa. Ah ah ah ah, e che baccano sul caso strano, e che commenti per la città…

Giovanni Tenorio

Libertino