Don Giovanni

Michael Novak e la libertà incompiuta

Sì, cari amici, anche una canaglia di libertino quale sono io, titolare di un sito di dubbia moralità, è capace di versare una lacrima. E non solo per compiangere personaggi della sua risma, liberisti ultraselvaggi, evasori incalliti, beffeggiatori delle pubbliche istituzioni, abbruciatori di bandiere, amanti del vilipendio e della scorrettezza politica, nemici acerrimi degli sbirri, frequentatori di lupanari. No, io so piangere anche per la morte di un pio uomo di fede, un buon cattolico devoto alla Chiesa e ai suoi spesso indegnissimi ministri. Intendo parlare di Michael Novak. Non ditemi che non lo conoscete! Che non lo conosca il papa regnante, le cui uniche letture “profane” pare si riducano a qualche copia della “Repubblica”, passi; ma chi conserva nel cuore un pizzico d’amore per la libertà almeno il nome di Novak deve conoscerlo, e versare qualche lacrima all’annuncio della sua morte. Sia ben chiaro: non è uno dei nostri. Ma nella villa di Don Giovanni c’è posto per tutti, a patto di non voler menare le mani e di essere disposti ad ascoltare gli altri. Possono entrare anche nostalgici di Stalin e di Hitler, a patto che lascino fuori della porta le loro bandiere, oltre ai loro coltelli. Sì, c’è posto anche per loro, perché homo sum, humani nihil a me alienum puto. Figurarsi se in casa mia non c’è posto per Novak!

Sia pace all’anima sua, dunque. Se, come da buon cattolico credeva, c’è un Paradiso, sicuramente è finito lassù. Lo invidio, immerso come sarà nella musica di Bach e di Mozart, a parlare italiano con gli Angeli e il Padreterno. Nessuno più di lui lo merita. E’ un suo grande titolo di gloria aver difeso, in un ambiente cattolico spesso sospettoso verso le idee liberali, l’economia di mercato come unico motore di progresso economico nel rispetto dei valori umani, in linea quindi con i principi evangelici. La sua interpretazione in questa chiave pro-mercato della “Rerum novarum” di Leone XIII e della “Centesimus annus” di Giovanni Paolo II (che di quella vuol essere commemorazione e conferma) gli ha procurato più di una critica da parte dei confratelli nella fede, inclini ad accogliere di preferenza il verbo socialista: il che gli fa doppiamente onore. Anche Rosmini la pensava più o meno come lui; e anche Rosmini fu malvisto da tanti untuosi bigotti e perseguitato dalla gerarchia. Non è un caso che Murray N. Rothbard, agnostico ma rispettoso dei credenti, abbia guardato con simpatia a questo filone minoritario, ma intellettualmente vitalissimo, di cattolicesimo liberale, che ha le sue radici nella teologia francescana (Francesco d’Assisi,non della Pampa!) e nella Scuola di Salamanca.

Detto questo, mi permetto di considerare che Novak ha commesso un peccato veniale e due peccati mortali (peccati, sia ben chiaro, in senso libertino, non in senso cattolico: e i peccati libertini non mandano all’inferno nessuno). Il peccato veniale è aver confuso economia di mercato e capitalismo. Ma questo è un errore che fanno quasi tutti: talora è un errore solo terminologico; altre volte, più spesso, è anche un errore sostanziale. Il sistema in cui viviamo -nessun angolo del mondo escluso- è capitalistico, ma il libero mercato patisce violenza dappertutto. Non può esserci economia senza capitalismo (anche quella sovietica era capitalistica: l’espropriazione dei Kulaki fu l’espediente violento per l’accumulazione di capitale); può esserci -e purtroppo c’è- economia senza mercato libero. Dovunque sia presente lo Stato, lì il mercato subisce una menomazione: perché se lo Stato è 1)territorio, 2) confini, 3)soldati, 4) sbirri, 5) giudici, 9) indottrinamento scolastico, per potersi mantenere ha bisogno 7) dell’esattore delle imposte (quello che Cicerone nel “De officiis” accomunava ai mestieri più luridi). Ma se le imposte sono un furto e il furto, in quanto distruttore di ricchezza legittimamente acquisita, danneggia il libero mercato fondato sui diritti di proprietà, lo Stato è incompatibile col libero mercato, anzi ne è la negazione. C’è chi ruba di più, chi ruba di meno, ma tutti gli Stati ladri sono e ladri rimarranno (anche la futura, risorta Repubblica di San Marco, se ci sarà). Il moderno Welfare, inventato da Bismarck, perfezionato da Hitler e Mussolini e “democratizzato” da Beveridge (che troppo tardi parve pentirsene) è la ladreria elevata all’ennesima potenza. Di tutto questo Novak non sembra essersi accorto.
Il primo peccato mortale è quello di aver elogiato Reagan e la Thatcher ed aver accettato di esserne consigliere (del primo, in via ufficiale, della seconda, attraverso i propri scritti). Consigliere di due patacche! Abbiamo già visto, in un articolo precedente, perché: falsi liberisti, falsi antistatalisti (come si fa a negare l’esistenza della Società, e riconoscere quella dello Stato, che della Società è l’espressione più inquietante?) Amanti della muscolosità militare, tassatori a scorno dei loro proclami, keynesiani loro malgrado, regolatori dell’economia a dispetto delle privatizzazioni, fautori del sistema bancario a riserva frazionaria dominato dalle banche centrali, tutt’altro che indifferenti alle sirene protezionistiche in difesa di un presunto interesse nazionale. Liberisti moderati direbbe Antonio Martino, che è uno dei pochi liberali coerenti (non libertino, sia chiaro!).

Il secondo peccato è davvero sconcertante in uno spirito mite come Novak. Ha salutato con soddisfazione l’elezione di Trump, vedendo nella scelta dell’elettorato americano una ribellione contro l’aristocrazia liberal, danarosa, ammanicata con i potentati economici, laureata nelle più prestigiose università, ma incapace di comprendere i problemi di un ceto medio-basso avviato all’impoverimento. L’analisi è corretta, ma l’auspicio che Trump possa diventare un nuovo Reagan -ammesso e non concesso che Reagan sia stato un grande presidente – è un sogno impossibile. Reagan rinnegò nei fatti il suo fasullo liberismo programmatico, Trump non ha intenzione alcuna, a quanto pare, di attenuare la sua canagliesca agenda reazionaria. Guerra ai migranti, ostracismo ai musulmani, protezionismo feroce. Non devono passare né le merci né gli uomini! Se i palestinesi non avranno uno Stato, peggio per loro, basta che ci sia la pace (ubi solitudinem faciunt pacem appellant – dove fanno un deserto lo chiamano pace – faceva dire, a proposito dei Romani, Tacito al generale calèdone Calgàco). Ha sproloquiato in campagna elettorale a favore dei poveri, e s’è circondato di ex-alti funzionari della Goldman Sacs, la fucina che ha forgiato tutti i banchieri centrali più illustri (oltre al lugubre iettatore Mario Monti). Non ha risparmiato frecciate alla befana Janet Yellen, ma pare anche lui un convinto sostenitore della moneta fiat, causa di tutti i disastri che affliggono il mondo.
Questo secondo peccato ha un altro risvolto, addirittura luciferino. Come la generalità dei cattolici, primo fra tutti chi siede sul soglio petrino, Novak sembra disposto ad accettare le peggiori canagliate a patto che chi le commette si presenti come paladino della vita, promettendo di battersi per rendere l’aborto un crimine penalmente perseguibile. Sparare sui migranti va bene, difendere i poliziotti quando massacrano un negro anche, ma lasciare che una donna possa liberamente decidere se conservare o no il frutto del suo concepimento, no e poi no! E’ tollerare un omicidio! Molti che in America si vantano di aver accoppato a man bassa i “nemici” (di chi?) nella famigerata guerra del Vietnam sono contro l’aborto in nome della vita. Più coerenza, signori! E poi: se l’aborto è un delitto, tale è sempre, anche quando il concepimento è frutto di violenza sessuale. Che colpa ne ha il nascituro? Invece molti dei pro-vita distinguono. Io credo che, se si è contro l’aborto, si possa, anzi si debba far eccezione solo se è in pericolo la vita della madre: fra un essere umano completo e uno in fieri, va privilegiato il primo, checché ne dicano i preti. Novak elogia Trump perché è antiabortista e vuol battersi contro la sentenza della Corte Suprema “Roe vs Wade”, che avoca alla giurisprudenza federale il giudizio in materia di aborto, considerando inammissibili i pronunciamenti delle Corti territoriali in base al Quattordicesimo Emendamento della Costituzione. Trump vorrebbe riconsegnare ai singoli Stati la facoltà di legiferare in materia, ben sapendo che, in base alla Common Law molti governi metterebbero l’aborto fuori legge. Dove si vede che, contrariamente a quanto pensano tanti libertari, non è sempre vero che in uno Stato piccolo la libertà è meglio garantita che in uno Stato grande. Il Quattordicesimo Emendamento invocato dalla Corte Suprema protegge l’individuo dall’invadenza dei poteri pubblici! E si vede anche che la legge positiva non è sempre peggiore del diritto consuetudinario. Lo dico obtorto collo, ma non posso negare l’evidenza.

Caro Michael Novak, pace all’anima tua! Ma non sei proprio dei nostri. Giusto che un cattolico, seguendo la propria coscienza, consideri l’aborto un delitto, si astenga dal compierlo e si dia da fare per sconfiggere, sul piano filosofico e nel comune sentire, l’ideologia che lo giustifica. Sbagliato farne un crimine, ponendo una questione di coscienza in potere dell’istanza più criminale, lo Stato. Sarà Dio, se c’è, a giudicare. Chi è senza peccato scagli la prima pietra.

Giovanni Tenorio

Libertino