L’ha detto anche Francesco!
Questa volta sono io a dirlo che l’ha detto anche lui. Ma non mi risulta che gli altri, quelli che di solito dicono che anche lui l’ha detto, questa volta l’abbiano detto.
Non prendetemi per matto, non pensate che vi stia prendendo in giro con uno scioglilingua. Sto parlando in modo terribilmente serio. Seguitemi, e mi intenderete. Avete presente? Basta che qualcuno dica una sciocchezza qualsiasi, e per renderla più credibile aggiunga: “L’ha detto anche Francesco!”, e il gioco è fatto. Dio non è cattolico? L’ha detto anche Francesco. La religione musulmana non è una religione violenta? L’ha detto anche Francesco. Bisogna accogliere tutti a braccia aperte? L’ha detto anche Francesco. Gesù era un profugo? L’ha detto anche Francesco. Non è stata Eva a tentare Adamo? L’ha detto anche Francesco (e poco importa se San Paolo scrive il contrario: “Io non conosco il Pescator né Polo”, fa dire Dante a un indegno pontefice suo contemporaneo). La Greta Thunberg è un personaggio di alta levatura? L’ha detto anche Francesco (e l’ha ricevuta con tutti gli onori). Se non blocchiamo le emissioni di CO2 finiremo arrosto? L’ha detto anche Francesco. La plastica va bandita? L’ha detto anche Francesco!
Sì, questa volta Francesco l’ha detta giusta, e lo dico anch’io.
Forse è la prima volta negli anni del suo pontificato. Un vero miracolo. Ho sempre affermato che porta indegnamente il nome del Poverello d’Assisi. Ne è indegno quando, ad esempio, distingue con sottigliezza gesuitica evangelizzazione e proselitismo, accettando l’una e respingendo l’altro. Io nella mia ignoranza non colgo la differenza. So soltanto che Dante, nel canto XI del Paradiso, fa dire a San Tommaso d’Aquino che il figliolo di Pietro Bernardone “nella presenza del Soldan superbo/ predicò Cristo e li altri che’l seguiro, / E per trovare a conversione acerba/ troppo la gente, e per non stare indarno/ redissi al frutto de l’italica erba”. Che faceva, evangelizzazione, proselitismo? Me lo spieghino gli esimi studiosi come monsignor Ravasi e Monsignor Galantino, che del pontefice regnante sono dotti e illuminati esegeti. No, questa volta no, del Poverello il papa Francesco Primo si è dimostrato degno seguace. Ha invitato tutti i fedeli ad allestire il presepio! Non solo nelle case, ma anche nelle scuole! E chi ha inventato il presepio? Il Poverello d’Assisi! Sarà anche un’enorme balla, ma la leggenda narra che il Santo, quando nella notte di Natale prese tra le braccia il bambinello di cera sollevandolo dalla mangiatoia, lo vide, e con lui tutti lo videro, prender vita e muoversi. La Fede vive di queste poetiche ingenuità. Questa volta il papa che, per tener dietro a questo mondo, assume spesso posizioni da modernista in ritardo (del tipo: nessuno sa se Gesù ha detto proprio così; allora non c’erano i registratori) si comporta proprio come un buon parroco di campagna che parafrasa il Vangelo nella predica dell notte di Natale, con parole povere ma sincere e commosse. Nella sua esortazione non c’è nulla di intellettualistico, nessuna allusione teologica, nessuna elucubrazione filosofica. Nulla che ricordi l’alta dottrina del suo predecessore, che dopo l’esecuzione di un pezzo di musica sacra era capace di un’analisi così sottile da lasciar di stucco i più ferrati musicologi. Ma è meglio così. Mi ha ricordato un vecchio prete d’una parrocchia piuttosto povera e marginale che nella curia vescovile non era molto stimato. Un giorno il Penitenziere della Cattedrale, parlando di lui con me (non stupitevi: sono stato, e sono ancora, amico di qualche prete) si lasciò sfuggire un giudizio poco cristiano: “Quello lì? E’ un contadinotto” (poi, rendendosi conto d’averla detta grossa, si corresse subito: “Ma, intendiamoci, è un degno sacerdote”). Sarà stato anche un contadinotto, ma quando in una predica dell’Epifania parlò dei “Re Magi che arrivarono alla capanna”, io, miscredente e irriverente come sono, mi commossi. Caro Papa Francesco, mi ascolti, continui così. La smetta di correre dietro al mondo. Non vede che le chiese si stanno svuotando? Lasci che sia monsignor Galantino a incensare le Sardine e monsignor Ravasi a spaccare il capello in quattro per dimostrare che sì Gesù è risorto però però. Che l’anima c’è forse che sì forse che no. Faccia come quell’umile prete contadinotto. Se ci mettiamo sul piano del razionalismo moderno, distruggiamo tutto. Torniamo per un momento al presepio. La nascita di Gesù come la descrive Luca è ben diversa dal racconto di Matteo. Il presepio c’è solo in Luca. Dove si dice che fu decretato un censimento da Cesare Augusto al tempo in cui Quirinio governava la Siria. Però in quel tempo a governare la Siria non era Quirinio! Qualche storico (mi pare Silvio Accame, ma non vorrei dire una sciocchezza) ci ha messo una toppa, ipotizzando, con qualche prova abbastanza convincente, che Quirinio avesse un imperium maius su tutte le province orientali dell’Impero, quindi anche sulla Siria, il cui governatore doveva far capo a lui. E fin qui, tutto bene. Ma qualcuno mi deve spiegare per quale motivo per farsi registrare uno doveva andare nel luogo d’origine della sua stirpe. A che pro? Una bella confusione! E che cosa poteva importare ai Romani il luogo d’origine di un suddito? E quanti potevano conoscere con precisione il luogo d’origine della propria stirpe? E in ogni caso, non potevano dichiararlo, qualunque fosse la loro attuale residenza, alle autorità incaricate della registrazione? E’ tutta una bella favola. Gesù era di Nazaret, ma bisognava per forza farlo nascere a Betlemme, la città di Davide, perché si adempissero le profezie dell’ Antico Testamento. Sarà un caso che nel “Vangelo di Marcione”, recentemente ricostruito sulla base del testo di Luca(*) manchino tutti i primi capitoli? Marcione negava che il Dio predicato da Cristo fosse quello dell’Antico Testamento…
Caro papa Francesco, ascolti me, continui così. Si attenga alle belle favole. Altrimenti potrebbe venirle qualche brutta tentazione. Come quella di benedire, in Brasile, quegli idoli legati ai culti della Madre Terra, in omaggio alla Sua battaglia ecologica a fianco della Greta e dell’IPCC. Si rende conto di quello che ha fatto? “Non avrai altro Dio fuori che me!” Ha presente quello che dice San Paolo a proposito degli idolatri e delle carni sacrificate agli idoli? Con un atto come il Suo in passato si sarebbe finiti sul rogo. Non si lasci prendere dall’idea che, dopo tutto, il Natale all’origine era una festa pagana, il Dies natalis invicti Solis , la celebrazione del solstizio d’inverno, quando il sole, nel suo percorso annuo attraverso tutti i segni dello Zodiaco, sembra fermare il suo declino e rinascere. E allora, torniamo a quella festa pagana, così non facciamo torto a nessuno. Adorare Cristo e adorare il Sole è la stessa cosa. Dio non è cattolico, e non è neppure cristiano! Non sia mai! Vade retro, Satana!
(*) Il Vangelo di Marcione, a cura di Claudio Gianotto e Andrea Nicolotti, Torino, Einaudi 2019. Nel racconto distopico di Aldo Maria Valli, “Come la Chiesa finì”, uno dei tanti papi che hanno assunto il nome di Francesco, a un certo punto decide di rivalutare Marcione. Potrebbe capitare. Il Vaticano non ha emesso francobolli con l’effigie di Lutero?
Ho l’impressione che Francesco abbia voluto citare impropriamente il collega gesuita, cardinale Martini (“Non puoi rendere Dio cattolico, Dio è al di là dei limiti e delle definizioni che noi stabiliamo”), semplificando e banalizzando, come gli capita spesso. In realtà la fonte originale apre prospettive interessanti.
Non sono d’accordo nella valutazione indulgente verso le semplificazioni “tradizionali”, incluso il presepe, che meritano rispetto ma non possono cosituire un punto fermo. “La Fede vive di queste poetiche ingenuità”: dipende da cosa intendiamo per “Fede”, anche l’illusione vive di poetiche ingenuità.
La Fede, a mio parere, può essere un concetto pericoloso (soprattutto nelle mani delle Chiese centralizzate) perché troppo vicino a quello di fiducia in qualcosa che abbiamo alle spalle: dovrebbe essere sempre specificato l’oggetto della Fede, perché leggendo il “Credo” cattolico, ritengo alcuni passi inaccettabili, soprattutto in ottica cristiana.
Invece della “Fede” preferisco coltivare l’accettazione della tragicità dell’esistenza umana e, partendo da questa “disperazione”, passandoci attraverso come avvenne a Cristo durante il percorso terreno, tendere a Dio come punto di arrivo, non adagiandosi, anestetizzati, su ingenue consolazioni.
Sono d’accordo anch’io che Dio può essere cercato anche attraverso un percorso che prescinde da ogni confessione religiosa. Non attraverso la Fede, quindi, ma attraverso un cammino individuale, magari lungo e doloroso, che può condurre anche al Nulla, nel peggiore dei casi, o rimanere impigliato nel Dubbio, senza via d’uscita (il compianto Augusto Guerriero scrisse un libro intitolato “Quaesivi et non inveni”, ho cercato e non ho trovato). Cristo può essere un Maestro anche per chi rifiuta ogni religione rivelata e non accetta dogmi calati dall’alto di un’autorità che pretende di legittimarsi sulla base di prove inconsistenti, qual è il Papa di Roma, presunto successore di Pietro per volontà dello Spirito Santo. Beethoven, nei “Quaderni di conversazione”, pone fra i suoi Maestri Cristo accanto a Socrate. Il suo Dio, aconfessionale, è quello che viene celebrato nel finale della Nona Sinfonia, l’Inno alla Gioia, che in origine doveva essere Inno alla Libertà. Con la mia riflessione volevo soltanto sostenere che la Chiesa, se non vuol finire stritolata dalla Razionalità del mondo moderno, deve difendere il suo Credo. Altrimenti i luoghi di culto saranno disertati, come già sta avvenendo, e prima o poi diventeranno -ne vediamo già più di un segno- nel migliore dei casi centri commerciali, bische, teatri, sale da concerto; nel peggiore, moschee. Anche un confronto con l’Islam partendo dal presupposto che il Dio-Amore predicato da Cristo e il Dio guerriero predicato da Allah sono la stessa cosa può portare soltanto alla defezione dei fedeli cattolici da una Chiesa che non sentono più come la loro casa, e al al trionfo dell’Islamismo, con tutte le conseguenze. Un tempio cristiano trasformato in supermercato mi fa tristezza. Uno trasformato in moschea mi fa paura. Non vorrei che il pontefice regnante, nel suo disegno ecumenico tendente a sminuire la peculiarità della dottrina di cui dovrebbe essere custode, esaltasse il presepio perché anche nel Corano Cristo è presente. Come profeta, però, non come Figlio di Dio. Il Cristo che il Poverello d’Assisi predicò al “Soldan superbo” era quello del Vangelo, non quello del Corano. Come il Dio predicato da Cristo non è il Dio predicato da Maometto, così il Cristo del Corano, né crocifisso né risorto, non è il Cristo del Vangelo, senza la cui Resurrezione, come dice San Paolo, vana sarebbe la nostra Fede.
Certamente, nell’ottica della dottrina cattolica, gli inciampi di Francesco sono molto frequenti: mi meraviglio che (al di fuori di poche eccezioni, come Libertino) i cattolici non mostrino un adeguato imbarazzo.
Sulla distinzione tra “Dio-amore” e “Dio-guerriero” mi sembra che la confusione della Chiesa Cattolica sia frequente, e non solo in tempi recenti. Inoltre non mi soddisfa l’espressione “Dio Amore”, perché mi sembra che il messaggio di Cristo sia più preciso e con prospettiva non solo morale, affettiva, sociale, e “consolatoriamente” escatologica, ma anche ontologica e (qui il discorso sarebbe complesso, probabilmente non alla mia portata) “epistemologica” (sono convinto che linguaggio, comunicazione e teoria generale della conoscenza sarebbero impossibili da “fondare” senza la Rivelazione, che annuncia l’unità, in Dio, degli individui).
La stessa “resurrezione”, che non metto in dubbio, nemmeno nella sua definizione più completa (quindi senza perdere nulla dell’espereinza umana dell’individuo, inclusa la conservazione della corporeità), è solo una conseguenza logica della rivelazione di Cristo come “vero Dio e vero uomo” (pienamente divino e pienamente umano): non richiede trucchi teatrali e tradizioni rassicuranti ma forse fantasiose (come il “finale di Marco”) per essere resa più credibile, agli occhi di chi crede nella Rivelazione (“beati quelli che pur non avendo visto crederanno” non è una incitazione al credere senza prove, ma un modo di sottolineare che la Resurrezione è conseguenza della rivelazione, non una opzione da documentare o da dimostrare).
Una religione principalmente “consolatoria” o “utiltaristica”, pensata per raccogliere necessità psicologiche o culturali è una buona cosa (sul piano culturale ha prodotto “cattedrali” del pensiero e delle arti), ma ha poco a che fare con il Vangelo (inteso come “lieto annunzio” e non come raccolta di racconti tradizionali).
Ma non mi illudo certo che le maldestre uscite di Francesco nascondano una missione “liberatoria”, al contrario, sono convinto che abbia solo l’intenzione di allargare l’offerta di tradizioni e immagini consolatorie, di avviare operazioni di marketing per rendere più digeribile il cattolicesimo in ottica globale. Dal suo punto di vista ben venga il Presepe con la neve e il Gesù rifugiato, ma anche (e senza contraddizione) la benedizione degli idoli pagani o di Madre Natura o la rivalutazione del Corano.
Quello che mi sta a cuore non è tuttavia attaccare Francesco, ma sottolineare che, dimenticandosi dell’individio (che secondo la rivelazione dovrebbe avere un rapporto personale e individuale con Dio e con quindi con ognuno degli altri individui) e aspirando alla gestione del “gregge”, anche ricorrendo a tutte le possibili astuzie del marketing, si sta comportando in modo coerente con il percorso svolto dalla Chiesa nel corso dei secoli, solo più maldestro.
“Ma qualcuno mi deve spiegare per quale motivo per farsi registrare uno doveva andare nel luogo d’origine della sua stirpe. A che pro? Una bella confusione! E che cosa poteva importare ai Romani il luogo d’origine di un suddito? E quanti potevano conoscere con precisione il luogo d’origine della propria stirpe? E in ogni caso, non potevano dichiararlo, qualunque fosse la loro attuale residenza, alle autorità incaricate della registrazione?”
Ma noi – 2000 anni dopo di splendida burokràtja – quando c’è una votazione o un censimento non dobbiamo forse rientrare al luogo di residenza, anche se siamo domiciliati altrove?
Probabilmente per i romani il luogo d’origine serviva a controllare meglio la gente che era in gran parte nomade, il potere non è bello se non se ne abusa.
E’ comunque più probabile che su Quirinio abbia ragione Luca (che scriveva proprio per i gentili aka i romani a circa 70 anni dai fatti e che non pare essere mai stato sputtanato da nessuno del suo tempo), su quanto è pervenuto a noi dopo 2000 anni.
Molto ben fatto, Quirino ha “censito Gesù” ? su fraternitasaurigarum.it/wordpress/?p=188
Il censimento in Giudea al tempo di Erode il Grande avvenne sotto Gaio Senzio Saturnino. Su questo non ci sono dubbi. Si può ipotizzare, come ho già detto, che a quel tempo Publio Sulpicio Quirinio esercitasse un imperium maius sulle province orientali dell’ Impero. Questo permetterebbe di salvare la “storicità” del racconto di Luca. Quanto alle modalità del censimento, un conto è doversi registrare nel luogo di residenza anagrafica – che è disposizione sensata – un conto nel luogo d’origine della propria stirpe, che non tutti sono tenuti a conoscere. I Romani erano canaglie, ma non stupidi. Non gliene importava niente che la famiglia di Giuseppe e Maria discendesse da Davide, originario di Betlemme. A che pro? Erano beghe che lasciavano volentieri ai Giudei. I loro interessi erano puramente fiscali. Gli abitanti della Palestina non erano nomadi. Fatta eccezione, forse, per chi esercitava la pastorizia. Ma a quanto pare i pastori se ne impipavano del censimento, se nella notte di Natale se ne stavano a poca distanza dal fatidico praesepium “vigilantes et custodientes vigilias noctis super gregem suum” . Perché vogliamo distruggere le poeticissime pagine di Luca – che mi hanno sempre commosso – leggendole come un testo storico? Confutato, tra l’altro, non da scrittori pagani contemporanei, che non avevano motivo alcuno di conoscerlo, ma dal racconto di Matteo, completamente diverso: Gesù nasce a Betlemme perché la sua famiglia abita in quei luoghi. Diventa “nazareno” al rientro dalla fuga in Egitto, perché Maria e Giuseppe, per ragioni di sicurezza, decidono di stabilirsi a Nazaret. Anche per i Romani contava la residenza. Quando Pilato viene a sapere che Gesù è “anagraficamente” galileo, nel tentativo – poi rivelatosi infruttuoso – di levarsi da ogni impiccio, lo spedisce volentieri dal sovrano di quella terra, il tetrarca Erode Antipa, perché se ne occupi lui.