Magistratura e democrazia
Che alcuni magistrati (non tutta la magistratura, generalizzare è sempre sbagliato) si stiano accanendo contro Salvini e il suo partito può essere vero. Come può essere vero che ci sia stato un accanimento contro Berlusconi, e che a suo tempo l’operazione “Mani Pulite” sia stata strabica, vedendo reati solo da una parte, prendendo di mira soprattutto Craxi e chiudendo gli occhi sulla sinistra comunista, l’unico soggetto uscito indenne, o quasi, dalla guerriglia giudiziaria di chi voleva “rivoltare l’Italia come un calzino”. Che personaggi come Pier Camillo Davigo, novello Robespierre, secondo il cui pensiero dovrebbe vigere la presunzione di colpevolezza, possano apparire ripugnanti, è anche questo vero. Salvini però sbaglia a contrapporsi frontalmente alla magistratura, dipingendola come nemica. Quando dice che i giudici sono politicizzati, mette indubbiamente il dito su una piaga: le correnti dell’Associazione Nazionale Magistrati, che hanno come referenti, se non precisi partiti, sicuramente alcune aree politiche ben identificabili, ne sono la più palmare dimostrazione. Ma un conto è parlare come segretario di un partito, magari dai banchi dell’opposizione, un conto dallo scranno di Ministro degli Interni. In questo caso abbiamo un organo dello Stato che cerca di delegittimare un altro organo. Non è la normale dialettica fra i poteri distinti di un sistema liberal-democratico, dispiegantesi attraverso i canali istituzionali e a suo modo benefica. E’ una vera e propria guerra che rischia di mettere in crisi le basi stesse, ideologiche e giuridiche, dell’assetto costituzionale. In questo modo Salvini, nell’immediato, accrescerà di certo i suoi consensi non solo presso l’elettorato più fedele, ma anche fra coloro che, pur non avendo mai votato per lui, ne apprezzano ora la politica muscolare contro i migranti, gli atteggiamenti da “tolleranza zero” alla Rudolph Giuliani, il piglio poliziesco e tutte le altre pose che non dico un anarchico come me, ma un autentico liberal-democratico moderato, tutto “law and order”, dovrebbe aborrire. Il risultato però alla fine potrebbe essere disastroso, non soltanto per lui.
Un’affermazione soprattutto lascia basiti: quella in cui dice che lui ha alle spalle il popolo, è stato eletto democraticamente, mentre i magistrati non li ha eletti nessuno. Ci mancherebbe anche questa, che i magistrati fossero eletti dal popolo. Lo so che in alcuni sistemi, entro certi limiti e con particolari vincoli, fino a certi gradi gerarchici, i giudici sono elettivi. Ritengo che sia sbagliato. E poi: vi immaginate che cosa succederebbe in Italia? Se la magistratura è politicizzata adesso, tale diventerebbe ancor di più. Avremmo magistrati di sinistra, di destra, di centro, assai più identificabili con i partiti politici di quanto non siano ora. Un vero flagello. No, la democrazia deve stare ben lontana dalla magistratura. Si continui a diventare magistrati per concorso, e la selezione sia severissma. Si vieti l’ingresso in politica, per un congruo numero di anni, a chi è stato magistrato; gli si impedisca, dopo l’esperienza politica, di rientrare in magistratura, fino alla morte. Ci si decida, finalmente, a separare non le funzioni, ma le carriere di Giudice e Procuratore. Aveva ragione Giuliano Ferrara quando, anni fa, affermò che giudici e pubblici ministeri dovrebbero lavorare in sedi separate, e darsi del “lei”. Le procedure civili e penali andrebbero semplificate. C’è tanto da fare. Ma i magistrati elettivi no e poi no! Per favore, non mi si tiri in ballo ancora una volta l’antica Atene, dove le giurie erano elettive. Innanzitutto per i crimini di sangue era competente il tribunale dell’Areopago, che non era elettivo. Inoltre permettetemi di dire, con tutto il rispetto, che quel sistema mi fa un po’ schifo. La condanna di Socrate da parte di una giuria popolare basterebbe a squalificarlo.
Salvini dovrebbe prendere esempio da un personaggio astuto e luciferino come Giulio Andreotti, di certo uno dei politici più intelligenti che l’Italia abbia avuto fin dai tempi dell’Unità. Ricordate? Sul suo capo pendevano accuse di collusione con la Mafia tali da far tremare le vene e i polsi. Era amico fraterno di Salvo Lima, suo proconsole in Sicilia e garante per lui presso le cosche ( fu fatto fuori a colpi di lupara dai suoi interlocutori, come avvertimento al suo mandante, quando questo, da Presidente del Consiglio, fu costretto a cambiare registro, con una politica meno accondiscendente alle pretese mafiose). Andreotti non se la prese mai con i magistrati che lo indagavano e lo processavano, tanto meno con la magistratura in generale. Anzi, si espresse sempre nei loro riguardi in termini molto deferenti, esprimendo la convinzione che alla fine la sua innocenza sarebbe stata dimostrata proprio grazie alle garanzie processuali e all’integrità dei giudici. Una bella commedia, molto ben recitata! Con un lieto fine. Per fortuna molti dei reati contestatigli nel frattempo erano caduti in prescrizione. E poi, con un’avvocata tosta come Giulia Bongiorno…
Ecco, appunto, Giulia Bongiorno. Ora fa parte del governo. Si affidi a lei Salvini. Reciti anche lui la sua commedia di uomo politico ligio alle istituzioni. Alla fine vincerà su tutta la linea. Anche perché le accuse che pendono sul suo capo, in confronto a quelle di Andreotti, sono acqua fresca. Cadranno nel nulla. Non ci sarà bisogno di tirarla alla lunga, per far scattare la prescrizione. Uscirà dal tribunale a testa alta. E’ ancora giovane, avrà davanti una carriera politica luminosa. Veda di non bruciarsi con dichiarazioni e atteggiamenti inconsulti.
Quanto a me, sogno un sistema dove i giudici sono arbitri privati e i pubblici ministeri non esistono. Niente democrazia, ancora una volta mercato e solo mercato. Le agenzie giudiziarie che lavorano meglio e si dimostrano più imparziali saranno premiate, le altre dovranno chiudere. Le parti in lite potranno scegliere di comune accordo, tramite i loro avvocati, l’agenzia che ritengono più affidabile. Di certo le agenzie più affidabili non saranno quelle che nominano i concorrenti alle funzioni arbitrali attraverso sorteggi o votazioni, ma quelle che valutano rigorosamente, tramite esami interni, la dottrina, la capacità e il curriculum dei candidati. I titoli di studio non avranno alcun valore legale, ma se uno esibisce una laurea in Giurisprudenza conseguita presso un’Università scalcagnata, questo sarà un primo fattore che giocherà contro di lui.
Forse Salvini non intendeva proporre l’elezione popolare dei magistrati. Probabilmente voleva ricordare a questi ultimi che le decisioni legislative spettano agli eletti e non agli altri poteri costituzionali. Detta così, la frase suona più andreottiana e meno muscolare. Ritengo, però, che eventuali comportamenti eversivi di alcuni magistrati o dell’intero organo giudiziario possano e debbano essere denunciati anche da un ministro dell’interno in carica. Altrimenti nessun ministro della difesa potrebbe impedire o denunciare una possibile intenzione delle forze armate di occupare il parlamento. Il problema è che proprio per il “muscolismo” salviniano (Giuliani, in fondo, si limitava a problemi di ordine pubblico suburbano) la denuncia finisce per perdere di credibilità. Quanto meno agli occhi dell’opinione pubblica. Impedire, infatti, l’operato della Guardia Costiera, apre un interrogativo sulla legittimità di operazioni per le quali il ministero degli affari interni non ha competenza diretta. L’indagine sul ministro, poi, è stata causata da una denuncia da parte di privati e in Italia vige l’obbligatorietà dell’azione penale. Il Pubblico Ministero può anche decidere per l’archiviazione ma solo dopo lo svolgimento delle indagini. In fondo si tratta degli stessi magistrati (magari non “gli stessi” in senso strettamente personale) che indagano sulle organizzazioni non governative accusate di complicità con gli schiavisti. Non è coerente inneggiare all’operato della magistratura quando viene in soccorso della propria causa e poi pretendere che lo stesso organo giudiziario si astenga dall’azione obbligatoria quando indaga su esponenti della fazione alla quale si appartiene. In questo, l’ex comunista padano ha mantenuto le abitudini tipiche delle sue origini: coerenti nel mantenere posizioni perennemente incoerenti. Atteggiamento tipico di ogni sinistra. Vanno bene i Davigo quando colpiscono il nemico ma guai a indagare sulla “parte sana della nazione”.
Forse Salvini non voleva proporre la nomina dei magistrati attraverso lo strumento elettorale. Probabilmente voleva limitarsi a ricordare che il cosiddetto terzo potere non ha compiti legislativi, come da dettato costituzionale di una carta che piace tanto a Magistratura Democratica. Se però si ritene che dei magistrati vadano oltre il loro mandato, a dirglielo può essere benissimo anche un ministro in carica. Altrimenti nessun ministro della difesa dovrebbe opporsi anche verbalmente a un eventuale tentativo delle forze armate di occupare il parlamento. Il problema, nel caso attuale, è nella scarsa credibilità del querelante: se si impedisce l’operato della Guardia Costiera si va oltre le competenze del proprio ministero. Inoltre, la magistratura che indaga sul ministro è la stessa (anche con attori diversi) che indaga sulle organizzazioni non governative accusate di collusione con gli schiavisti. Inneggiare agli inquirenti quando indagano sul nemico e delegittimarli quando guardano dalla parte opposta è tipico della sinistra che si mostra giustizialista con gli avversari e pseudogarantista quando si toccano gli interessi della “parte sana della nazione”. In questo, l’ex comunista padano sembra non aver cambiato abitudini. La coerenza del marxista consiste nell’essere sempre incoerente. Per ottenere il consenso degli sciocchi e degli incolti, il sistema funziona. Auguri alla Lega.