Don Giovanni

Viva l’anarchica Antigone!

Nella sua incoerenza il governo in carica è d’una coerenza ferrea. Non mi sta dando di volta il cervello: guardate che è proprio così. Se al vertice (si fa per dire: vertici non ce ne sono; o meglio, ce ne sono due, che però dovrebbero stare alla base) può vantare un Arlecchino, molto meno divertente dell’omonimo personaggio goldoniano, sul suo sgangherato corpaccione può addirittura sfoggiare un vestito dai colori sgargianti, al cui confronto l’abito della maschera veneziana scomparisce. Governo giallo-verde? Vogliamo scherzare? Per qualificarne l’aspetto cromatico non basterebbero tutti i colori dell’arcobaleno. Ogni ministro va per conto suo. Ognuno ha la sua politica estera, ognuno ha la sua politica interna, ognuno ha la sua politica economica. C’è chi dice di fottersene se lo “spread” continuerà a salire, c’è chi sarebbe contento di uscire dall’Eurozona, c’è chi si dà da fare per rassicurare i mercati, garantendo che i conti rimarranno in ordine e che di abbandonare la moneta unica neppur se ne parla. C’è chi vorrebbe ritornare alle famigerate Partecipazioni Statali, attraverso la Cassa Depositi e Prestiti, c’è chi delle nazionalizzazioni non vuol neppure sentir parlare. C ‘è chi sarebbe lieto di buttare in mare tutti i migranti, chi invece plaude all’accoglienza tanto cara ai preti. Qualcuno vorrebbe introdurre una “legittima difesa” senza proporzionalità, dimenticando che la proprietà più importante è quella del proprio corpo, anche per i delinquenti, quindi non si può uccidere un ladruncolo disarmato; qualcun altro ribatte che la difesa dei cittadini compete solo allo Stato, con i suoi sbirri. E si potrebbe continuare all’infinito. Ogni giorno ce n’è una nuova: bisognerebbe inventare nuovi colori.

Il ministro Salvini, da solo, di colori sa esibirne più di uno. A che titolo ha incontrato a Milano il primo ministro ungherese Orbàn? “Soltanto come segretario di un partito, non certo come responsabile governativo degli Affari Interni!” – si sono affrettati a proclamare i suoi colleghi di governo, di cui Arlecchino s’è fatto portavoce. Sarà, ma allora perché l’incontro non è avvenuto nella sede della Lega, bensì in un luogo istituzionale come la prefettura? Se non vado errato, il prefetto è il braccio esecutivo del governo, in particolare del Ministero degli Interni. E allora c’è qualcosa che non torna: i colori sono due, quello del capopartito e quello del caposbirro. Si sovrappongono formando un terzo colore piuttosto ributtante. Come sono ributtanti, ciascuno a suo modo, Salvini e Orbàn.

Ancor più ributtanti però sono alcuni commenti che hanno accompagnato la manifestazione “antifascista” indetta per esprimere il dissenso dei “democratici” verso l’incontro di quei due signori, nel nome della costituzione più bella del mondo. E’ comparso un cartello in cui si dice a Salvini che Piazzale Loreto è a quattro fermate della metropolitana dal Palazzo del Governo; l’ineffabile Oliviero Toscani, quello che ha versato tante lacrime per le calunnie ai Benetton dopo il crollo del ponte sul Polcevera, ha a sua volta dichiarato che non sa in quale piazza potrà andare a fotografare Salvini, quando avrà fatto la fine del Duce. C’è da farsi venire i brividi. E’ questa l’umanità della Sinistra? Si dirà: due voci non rappresentano l’intero popolo della protesta. Vero, ma perché i responsabili della manifestazione hanno preso le distanze da quelle lugubri minacce con tanto ritardo, e a denti stretti?

Ve lo dico io il perché: perché , come l’attentato di Via Rasella, lo scempio di Piazzale Loreto rimane per molti cantori rossi della Resistenza una pagina fulgida della lotta antifascista. No, non voglio dimenticare che volle essere una vendetta per l’ancora più odioso crimine commesso il 10 agosto 1944 in quel medesimo luogo, quando alcuni militanti della Legione Ettore Muti uccisero quindici partigiani, esponendone i cadaveri nudi. Comprensibile la rabbia popolare verso chi era stato il capo supremo di quei farabutti, sia pur ormai ridotto a burattino dei nazifascisti. Ma moralmente non giustificabile. E che la Repubblica Italiana abbia alle sue spalle (non dico alla sua origine o al suo fondamento, perché sarebbe ingiusto e falso) quel gesto di vendetta rimane un fatto deprecabile. Pochi finora hanno avuto il coraggio di dichiararlo. Da ultimo Giampaolo Pansa. Da sempre Marco Pannella :”Il 27 aprile del 45 lo lessi su Risorgimento Liberale che Piazzale Loreto era stata una barbarie”. Già, il glorioso “Risorgimento Liberale”, che ebbe vita stentata e dopo poco più di un anno di vita chiuse i battenti, a dimostrazione che in Italia il liberalismo era sempre stato, e sarebbe stato ancora, una pianta esile e malaticcia.

Anche i nemici più efferati, quando sono morti, meritano pietà. Fu un atto deprecabile gettare in mare il cadavere di Osama bin Laden, quando il terrorista che era stato la mente dell’attentato alle Torri Gemelle di New York fu catturato e ucciso. La pietà per i morti, anche quelli che in vita si sono macchiati dei crimini più orrendi, trascende addirittura l’amore per il nemico insegnatoci da Cristo, perché costituisce da sempre il discrimine fra umanità e ferinità. E’ l’autorità tirannica dello Stato a ordinare di non seppellire i morti che sono stati nemici della patria. Inevitabile: è l’esistenza del nemico a giustificare lo Stato; quindi il nemico va esecrato e dileggiato anche da morto.

Torniamo per un momento all'”Antigone” di Sofocle. Creonte, tiranno di Tebe, ordina che il cadavere di Polinice, nemico della patria ucciso in battaglia, rimanga insepolto. La sorella del defunto viola la legge: getta sul corpo di lui una manciata di terra come rito funebre. Il gesto le causerà la condanna a morte, cui seguiranno altri lutti. Di solito, sulla scia dell’interpretazione che ne ha dato Hegel, si vede nello scontro fra Creonte e Antigone il conflitto fra la legge dello Stato e la più arcaica legge del sangue, la prima frutto dell’incivilimento con la sua razionalità, la seconda retaggio di concezioni ancestrali. Solo una sintesi che conduca a un risultato superiore può risolvere il dilemma. Per quel che può valere il mio pensiero, io dico di no. Nessuna sintesi. La tragedia non sarebbe tale se il dilemma proposto avesse una soluzione. Ha ragione Antigone, ma fin che esiste lo Stato – incarnato da Creonte – l’impavida fanciulla è destinata a soccombere. Sentite che cosa dice Creonte:”Non c’è male più grave dell’anarchia, che rovina le città, turba le famiglie, spezza i ranghi e provoca la fuga nel corso della battaglia: fra i vincitori, invece, è proprio l’obbedienza all’autorità a salvare il maggior numero di vite umane”. Le solite balle che dicono i governanti: se non ci fosse lo Stato, ci sarebbe il disordine. Però, guarda caso, a provocare disastri è stata l’applicazione della legge da parte di Creonte, non l’atto di pietà compiuto da Antigone.

Chi gongola ancora per la vendetta di Piazzale Loreto, e chi evoca quell’episodio brutale come minaccia contro gli avversari politici è un discendente di Creonte. Un ributtante statalista.
Viva l’anarchica Antigone!

Giovanni Tenorio

Libertino

2 pensieri riguardo “Viva l’anarchica Antigone!

  • Dino Sgura

    Bell’articolo! Risorgimento liberale cosa era, un quotidiano??

    • Sì, “Risorgimento Liberale” era un quotidiano, organo del Partito Liberale Italiano. Fu fondato clandestinamente nel 1943. Lo dirigeva, all’inizio, Mario Pannunzio, che più avanti, per dissensi dalla linea politica, lasciò l’incarico, uscendo anche dalle file del partito. Su quella che era stata la sua poltrona si avvicendarono Manlio Lupinacci e Vittorio Zincone, finché la pubblicazione fu sospesa. Assunta la direzione della rivista “Il Mondo”, Pannunzio nel 1951 rientrò nel PLI, per uscirne definitivamente qualche anno dopo, allorché fu nominato alla segreteria Giovanni Malagodi con un programma di destra. Partecipò alla fondazione del Partito Radicale. Tra i collaboratori di “Risorgimento Liberale” c’erano firme prestigiose, come Croce, Einaudi, Barzini jr, Brancati, Flaiano e molti altri.

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