“Una gran scopa”
Io non mi intendo affatto di medicina. So a malapena che cosa sono i virus, i batteri e tutte quelle cose lì. Non vorrei parlare di quello che non so, anche se viviamo in un’epoca in cui quanto più si è incompetenti tanto più ci si sente in diritto di pontificare. Però conosco qualcosina -poco poco- di Storia e mi sono nutrito di qualche buona lettura. Così, quando i giornaloni hanno cominciato a sparare titoloni dipingendo l’epidemia del “coronavirus” come una terribile catastrofe, mi sono grattato un po’ la testa. Sarò io che non capisco niente, ma le epidemie che mietevano vittime nel passato erano altra cosa. Lasciamo perdere la letteratura di pura invenzione, come “Der Tod in Venedig” di Thomas Mann. Guardiamo alla pestilenza che colpisce Milano nel 1630, mirabilmente descritta da Manzoni sulla base di una fitta documentazione storica (e con qualche voluta, perfida falsità: come quando dice che, dopo la processione autorizzata con molta riluttanza dal cardinal Federigo Borromeo, il contagio ha un’improvvisa recrudescenza subito il giorno successivo, mentre nella realtà storica passarono quaranta giorni…) Rileggiamo le pagine, anch’esse mirabili, del “Decameron”, dove si descrive il terribile morbo che induce un’allegra brigata di giovinetti e giovinette a lasciare Firenze e a ritirarsi nell’aria pura d’una residenza di campagna, per sfuggire al contagio. Soprattutto, mi sembra opportuno rileggere – e questa è Storia vera, non rielaborazione letteraria – la descrizione che Tucidide ci ha lasciato della peste di Atene nell’anno 430 a. C., al tempo della Guerra del Peloponneso. In realtà, forse di vera peste si può parlare solo a proposito di quella manzoniana (di quella descritta da Boccaccio non so che dire, confesso la mia ignoranza). Ad Atene – così dicono gli esperti, e non ho ragioni per diffidarne – si sarebbe trattato di semplice salmonellosi, o tifo, o qualcosa di simile. Oggi tutto si risolverebbe con semplici antibiotici. Allora fu una vera catastrofe. Ci rimise la pelle anche Pericle, e forse la sua morte fu la catastrofe più grande, visto come in seguito si sarebbe sviluppato il conflitto. Ecco, una buona lettura di tutte queste pagine sarebbe davvero salutare. Ci farebbe capire che cos’è una vera pestilenza. Alla faccia di chi irride scienza e tecnologia, ci renderemmo conto che, tutto sommato, viviamo in un’età fortunata. Le malattie di un tempo sono state sconfitte. Ne compaiono sempre di nuove, ma anche la ricerca si rinnova e avanza. Altro che decrescita felice! Bisogna crescere, se si vogliono destinare sempre più mezzi per aumentare il benessere, rendendone partecipi anche coloro che oggi ne sono esclusi, e tutelare sempre meglio la salute di tutti. Anche aumentare la vita media? Forse sì, a patto però di rendere sempre più sopportabili i malanni della vecchiaia.C’è un’altra grande pestilenza che ho dimenticato. Quella che, nel libro dell’ “Esodo”, per punire il Faraone che non vuol lasciar partire gli Ebrei dall’Egitto, colpisce tutti i primogeniti degli egiziani. Lo so, lo so, si dice che è un angelo ad accopparli. Sarà, ma io credo che sia un’immagine poetica. Dio mica aveva bisogno, nella sua onnipotenza, di mandare un angelo. E figuratevi se l’angelo, per non correre il pericolo di accoppare un bimbo ebreo al posto di uno egiziano, aveva bisogno di un contrassegno da lasciar ben visibile sulle porte di casa degli ebrei! L’Onnipotente non ha nessuna difficoltà a creare un virus capace di colpire non solo tutti i primogeniti di un determinato territorio, ma proprio soltanto quelli che hanno un certo DNA. Il DNA l’ha fatto lui, sa bene di che cosa si tratta. A questo punto mi viene un cattivo pensiero. E’ quasi una bestemmia, ma che cosa volete farci? Non per niente mi chiamo Giovanni Tenorio, e sapete bene che razza di bestemmie ho profferito davanti alla statua del Commendatore! Quando poi è venuto a trovarmi a casa mia, per trascinarmi all’inferno, gli ho dato addirittura del vecchio coglione (proprio così, anche se il mio papà Da Ponte indora la pillola facendomi dire “vecchio infatuato”, ma vi assiro che gli ho proprio dato del coglione). Ecco, in breve, che cosa penso. Perché il Padreterno non inventa una specie di coronavirus molto più potente, inattaccabile da qualsiasi farmaco finora conosciuto, e capace di colpire solo determinati individui, come capitò al tempo dell’Esodo? Gli individui da attaccare, nel nostro caso, sarebbero tutti i parassiti e i loro accoliti (lo so che,in questo caso, il DNA non c’entra, ma l’Onnipotente può escogitare un altro espediente selettivo). In poche parole, tutti quelli che fanno parte dello Stato. Tutti quelli che, grazie allo Stato, vivono. Ci metterei non tanto i piccoli pidocchi, che, poveretti, in qualche modo devono pur vivere (“che s’ha da fa pe’ccampà” dicono a Napoli), ma tutti quei grandi elefanti che senza lo Stato non esisterebbero o si ridurrebbero a ben poca cosa. Tutti quegli imprenditori che vivono di commesse pubbliche. Tutti quelli che prosperano grazie a sovvenzioni, dazi, protezioni, proprietà intellettuale, brevetti, ecc. ecc. Tutti i fabbricanti di pale eoliche, una peste peggiore di ogni peste. Ci metterei anche i banchieri centrali. Anzi, ci metterei tutto il sistema bancario mondiale al completo, una masnada di falsari che possono stampare moneta fasulla nella piena legalità, venendo spesso riveriti come salvatori della Patria. Ci metterei anche tutti i fabbricanti e i mercanti di cannoni. Ci metterei anche tutti gli ufficiali di tutti gli eserciti, salvando la bassa truppa dei marmittoni, che potrebbero trovare un altro lavoro. Farei una capatina anche nello Stato della Città del Vaticano. Colpirei tutti gli alti prelati, fermandomi soltanto davanti a quel signore vestito di bianco che alloggia all ‘Hotel Santa Marta, il quale è finito lì suo malgrado per distrazione dello Spirito Santo (può sempre riciclarsi come bravo prete di montagna; non sa il latino, ma ormai non serve più). Tutta gente atea: se credesse, non vivrebbe come vive, in mezzo al marciume. Parassiti anche loro. Si pappano l’otto per mille, e in più qualcosina come sei miliardi e mezzo all’anno a spese dei contribuenti italiani. Per non parlare dell’Obolo di San Pietro, che va ai poveri solo in percentuale minima, mentre tutto il resto serve a ripianare le disastrate finanze del gran baraccone petrino. Ah che bella pestilenza sarebbe! Alla fine potremmo tirare un bel sospiro di sollievo, e proclamare, come don Abbondio: “L’è stata una gran scopa!” Purtroppo le cose non andranno così. Una vecchia, cara professoressa di Inglese, in un giornata autunnale di forte vento, parlando ai suoi alunni, disse.”Vedete? Il vento porta via le foglie secche! La Provvidenza di Dio arriva in tutto!” Può darsi. Io ci credo poco. Come Voltaire, dopo il terremoto di Lisbona: che non fu selettivo, ma colpì tutti, buoni e cattivi, governanti e sudditi, padroni e servi, lavoratori e parassiti. Purtroppo.