Don Giovanni

Territorialismo? Il penultimo rifugio delle canaglie.

Cari amici, che ne direste se la Chiesa Cattolica oggi celebrasse una festa in memoria delle Crociate; magari anche una in memoria della Crociata degli Albigesi, quella che devastò la Provenza nei primi decenni del Duecento? Che ne direste se mettesse sugli altari un losco figuro come Simone di Montfort, quello che nell’occasione pare abbia detto: “Uccideteli tutti, Dio riconoscerà i suoi”? Giustamente si manifesterebbe orrore per una simile, esecranda celebrazione. Per fortuna, perduto il suo potere temporale d’una volta (il che non le impedisce di esercitarlo in altri modi più subdoli), ridotte le milizie pontificie a una frotta di maschere carnevalesche, la Sposa di Cristo s’è ricordata di essere (meglio, di pretender d’essere), appunto, Sposa di Cristo, e pur avendo continuato a benedire cannoni fino ad epoca abbastanza recente, ha rinnegato quel suo obbrobrioso passato. Fa onore a Papa Benedetto XV aver bollato la Prima Guerra Mondiale come”inutile strage”. Gli Stati sono peggio, molto peggio. La Chiesa è degenerata dopo l’Editto di Costantino, quando ha cominciato ad ammanicarsi col potere politico:non avrebbe mai dovuto riconoscere la legittimità di un’istituzione  che, con una condanna di lesa maestà, qualche secolo prima aveva inflitto una morte infamante al suo fondatore (il primo passo verso il tralignamento era già stato compiuto da San Paolo, quando nella Lettera ai Romani aveva esortato a rispettare l’autorità politica e a pagare le tasse). Meglio riversare la colpa della morte di Cristo sugli Ebrei, tutti gli Ebrei, nessuno escluso, fino alla fine dei secoli .Ma all’origine, almeno all’origine, la Chiesa era pura, anche se forse un po’ fanatica ( “exitiabilis superstitio”diceva Tacito del cristianesimo primitivo). Lo Stato, invece qualsiasi Stato, nasce degenere, figlio del delitto. Fu Caino a fondare le prime città, cioè le prime organizzazioni politiche, in un contesto che fino a quel momento aveva conosciuto soltanto l’anarchia dei nomadi. Roma, destinata a dominare il mondo, ebbe origine da un fratricidio. Ogni Stato nasce dalla sopraffazione di una minoranza sulla maggioranza, da conquiste territoriali ottenute per mezzo di violenze e guerre. Quindi lo Stato, nessuno Stato, potrà mai rinnegare il suo passato di guerre. Se lo facesse, che cosa gli resterebbe? Assolutamente nulla! Il cosiddetto amor di patria, la cosiddetta identità nazionale non sono nient’altro che il riconoscimento di un’unità politica cementata da guerre e sopraffazioni, e ideologicamente motivata attraverso manipolazioni storiografiche. Nel Bel Paese la lotta dei Comuni lombardi contro il Barbarossa è stata sempre gabellata come un lontano preludio delle lotte risorgimentali, trascurando il fatto che molti Comuni stavano col Barbarossa; che, ad esempio, in quell’occasione Comaschi e Milanesi si presero a legnate; e che il padre Dante (quello di “Ahi serva Italia di dolore ostello”)  mette sulle labbra dell’abate di san Zeno a Verona proprio un elogio del  Barbarossa “per cui dolente ancor Melan ragiona”. Sarà sempre così: anche se la costituzione più bella del mondo proclama di rifiutare la guerra come strumento di soluzione delle controversie internazionali, i crimini  del passato rimangono atti fondativi d’uno Stato nazionale cui bisogna inchinarsi. Luigi Cadorna fu un delinquente che andava a messa proclamandosi buon cattolico? Gli rimangono dedicate vie e piazze, perché è un eroe nazionale. I bersaglieri comandati dal criminale Pier Eleonoro Negri, col beneplacito di un altro criminale, il generale Enrico Cialdini, misero a ferro e fuoco due paesi del Sud come rappresaglia nella lotta al brigantaggio? Il popolino continua ad applaudire i bersaglieri che corrono e strombettano con le piume al vento, anche se quelli continuano a considerare il suddetto criminale un loro eroe, da onorare ogni anno con una corona. Qualcuno, in questi giorni, è arrivato a dire che la Repubblica è un’altra cosa rispetto al  passato pre-repubblicano del Bel Paese, non ha nulla che fare né col Facismo, né con la Monarchia; qualcun altro ribatte: no, la storia dell’unità italica è   indivisibile, non se ne possono scindere i diversi momenti, va celebrata senza distinzioni; le ombre  non mancano, ma la Nazione è luce, la Patria è sacra; è giusto festeggiare sfilando, applaudendo, sventolando bandiere, strimpellando l’insulsa marcetta di Mameli-Novaro, piangendo e giubilando al rombo delle Frecce Tricolori. Non entro nel merito. Cosa loro. Due sole riflessioni. Prima. Anche la Repubblica non è una verginella. Sul referendum istituzionale gravano sospetti non ancora dissipati, non meno che sui famigerati plebisciti a suo tempo indetti per legittimare l’Unità sotto i Savoia. Ha ereditato leggi monarchiche e leggi fasciste. Ha ereditato il Codice Rocco. Ha ereditato il Concordato. Mantenne nell’amministrazione pubblica funzionari compromessi con il passato regime. Il primo presidente della Corte Costituzionale repubblicana, Azzariti, aveva presieduto il Tribunale della Razza. Anche all’origine della Repubblica antifascista c’è un delitto: Piazzale Loreto. Il Fascismo era stato criminale, l’antifascismo si mise sullo stesso piano. Seconda. Stiano attenti quei signori che vorrebbero annullare lo Stato sperando in una serie i secessioni a catena da cui dovrebbero germinare tanti staterelli destinati, chissà come, a dissolversi. Finché ci saranno eserciti, inni,  bandiere e frontiere il cancro statalista non si estirperà. Finché non rinunceremo al territorialismo resteremo immersi nei pantani in cui ci dibattiamo. Staterelli piccoli piccoli, si dice, legittimati da referendum popolari. Siamo ancora ai plebisciti? E non è forse vero che la democrazia, ogni democrazia, anche quella referendaria, è il sopruso d’una maggioranza (spesso solo presunta tale, e artificialmente ottenuta) ai danni della minoranza? E poi, staterelli piccoli piccoli: Comaschi e Milanesi che si prendono a bastonate, come al tempo del buon Barbarossa…

Giovanni Tenorio

Libertino

Un pensiero su “Territorialismo? Il penultimo rifugio delle canaglie.

  • Alessandro Colla

    Secessioni come primo atto, non come scopo finale. E proprio per evitare campanilismi creati dallo stato nazionale; forse non milanesi contro comaschi ma polentoni contro terroni. L’obiettivo finale dve essere una società senza stato. Può darsi che le secessioni non siano l’unico metodo o che non siano il migliore. Ma sono un metodo, non un fine.

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