Monsignor Krajewski, l’impostore
A Como, città del Nord Italia da tempo in piena decadenza, sotto tutti gli aspetti (basta percorrere, da cima a fondo, la via del centro storico intitolata al suo più illustre figlio per essere sommersi da un insopportabile puzzo di pisciate, in gran parte umane, le cui tracce sono ben visibili sulle facciate degli austeri palazzi settecenteschi che la delimitano su uno dei lati), sotto il porticato di una ex chiesa adiacente all’odierno Palazzo di Giustizia, fino a qualche tempo fa adibita a salone per manifestazioni di vario genere, hanno stabilito la loro dimora alcuni senzatetto, in gran parte immigrati. Uno spettacolo indegno, un biglietto da visita davvero repellente per i turisti che ancora si ostinano ad alloggiare in una simile contrada. Qualche settimana fa ha fatto scalpore l’intervento di un’assessora della giunta comunale che, anzichè provvedere a una sistemazione più degna per quei poveretti, ha strappato a uno di loro la coperta in cui si avvolgeva per il riposo notturno, gettandola da un lato con il pretesto che si doveva procedere a una disinfestazione per motivi igienici. Polemiche a non finire, e vergognose giustificazioni che farebbero ridere se non destassero sdegno. Chi avrebbe detto che l’increscioso episodio era soltanto il preludio di un avvenimento ben più drammatico, destinato a far parlare di sé in tutti i notiziari nazionali, soltanto pochi giorni dopo? Un immigrato, che subito l’informazione di regime si affrettava a dichiarare psicopatico, benché alle autorità inquirenti non risultasse a suo carico alcuna prova di infermità mentale, avrebbe preso a coltellate un parroco di buon cuore, da cui era stato aiutato in più occasioni, che soleva portare soccorsi – pasti e vestiario – a tutti i senza lavoro e i senza tetto presenti in città. Città in cui, ad accrescere le sue vergogne, ben pochi avevano avuto qualcosa da obiettare quando la Polizia Locale (sia maledetta!) aveva multato, non si sa bene a che titolo, il medesimo prete, mentre compiva le sue opere di bene.
Avvenuto il delitto, è cominciata la corsa alla più ignobile ipocrisia. Hanno fatto bene i parenti della vittima a non volere che, nel paesello di nascita del loro congiunto, alla cerimonia funebre partecipassero le autorità. Le quali, invece, erano presenti in gran numero in occasione del rito celebrato, in forma di pubblico rosario, nella Cattedrale dell’infetta città. Autorità civili e religiose, ciascuna con il suo bravo discorsetto messo per iscritto, pieno di lacrime di coccodrillo. E fin qui, passi, è uno scenario che siamo abituati a vedere. Ma la cosa più insopportabile è stata la partecipazione al rito dell’elemosiniere del papa, monsignor Krajewski. Ve lo ricordate questo losco individuo? E’ quello che, qualche anno fa, a Roma strappò i sigilli da un contatore per ripristinare l’erogazione dell’energia elettrica a un caseggiato occupato abusivamente, dove forse alloggiava anche qualche famiglia povera, ma in prevalenza si esercitavano attività illegali. In quell’occasione l’ autorità giudiziaria competente aprì un fascicolo contro ignoti, quando si sapeva benissimo, anche per averlo ammesso di persona, chi aveva compiuto il reato. Pochi ebbero il coraggio di deplorare sia l’azione dell’elemosiniere sia il comportamento pavido – e forse censurabile come falso in atto pubblico e omissione di atti d’ufficio – dell’autorità. Fu, da parte di quasi tutti, un coro di lodi. Inutile dire che il papa si schierò dalla parte del suo elemosiniere e lo riaccolse presso di sé come un grande eroe, esempio fulgido di cristiana carità. In un Paese serio, non avrebbe potuto far ritorno in Vaticano e, nel momento in cui fosse di nuovo uscito, come nel nostro caso, per partecipare al rito in suffragio del povero prete assassinato, sarebbe stato tratto in arresto e trascinato davanti al giudice per rispondere del suo reato (furto di energia e forse anche qualcosa di peggio). Certo, reato, non carità cristiana, caro papa Francesco! Non si fa la carità con i soldi degli altri. Strappare i sigilli di un contatore non è fare carità. Fare carità potrebbe essere pagare con il proprio denaro le bollette rimaste insolute e chiedere alla società titolare del servizio di ripristinare l’erogazione dell’energia elettrica al caseggiato che ne era stato escluso per insolvenza. Poi magari prodigarsi per sovvenire alle necessità delle famiglie veramente povere che vi avevano preso alloggio e per far cessare tutte le attività illegali. Per favore, non mi si tiri in ballo, ancora una volta, a sproposito, la parabola del Buon Samaritano. Il Buon Samaritano non commette alcun reato per aiutare il suo prossimo, e spende soltanto del proprio. Vi ricordate? Porta in una locanda e ve lo ricovera a sue spese il viandante che ha trovato ferito sulla strada, dove era stato assalito dai briganti, poi dice all’oste: “Al mio ritorno, ti pagherò tutto quello che per lui avrai speso in più”. Ma forse Krajewski, per il suo ministero, ha in mente un’altra parabola, la più brutta del Nuovo Testamento: quella del Fattore Disonesto, che, una volta licenziato a causa delle sue malefatte, per accaparrarsi la benevolenza di qualche debitore del suo padrone che potrebbe, per riconoscenza, prenderlo al suo servizio, non esita a scontargli il debito di propria iniziativa, compiendo un’ultima truffa oltre a quelle che ha già commesso, ricevendo addirittura le lodi del truffato, che ne ammira l’astuzia! Non aveva tutti i torti l’imperatore Giuliano l’Apostata a citarla come segno della scarsa moralità dei cristiani.
Il colmo dell’ipocrisia è stato nel momento in cui Krajewski, pronunciando il suo discorso in lode del parroco assassinato, ha avuto il coraggio di proclamare che, se nessuno avesse preso il posto della vittima nelle opere di carità cristiana a favore dei poveri della città, se ne sarebbe fatto carico lui in persona. Impostore! Anche quando strappò i sigilli del contatore disse che avrebbe pagato le spese di tasca propria. Non risulta che l’abbia mai fatto. Anzi, se ben ricordo, negò addirittura di averlo promesso. Voglio proprio vedere se andrà in giro per le strade della città a soccorrere i senza tetto con vestiario e generi alimentari pagati con denaro suo. Ritornerà sotto le grand’ali del suo amico papa, in attesa di compiere qualche altra bravata grazie alla quale finirà ancora sulle prime pagine dei giornali e sarà invitato a qualche dibattito televisivo, tra il plauso di quegli stessi coglioni che a suo tempo osannarono Carola Rackete come una novella Antigone (gente che non ha mai letto né la parabola del Buon Samaritano né la tragedia di Sofocle, altrimenti certe cretinate se le terrebbe per sé). Disprezzo l’elemosiniere e chino il capo reverente davanti al povero parroco assassinato. Se tutti i preti, in alto e in basso, fossero come lui, forse anche un libertino impenitente come me si avvierebbe alla conversione. E pensare che non ci era riuscito neppure il Commendatore, con le sue minacce.
Rackete come Antigone? E quale fratello avrebbe seppellito contro il parere dell’autorità? Rischiava soltanto di mettere in lutto altre sorelle del personale della guardia costiera. Che poi avrebbero dovuto celebrare le esequie quasi di nascosto perché politicamente scorrette. L’esatto contrario di Antigone, dunque. In ogni caso, credo che la stessa “eroica” prussiana sia una di quelle persone che di Sofocle non conosce neanche il nome.
Se non altro il caso Krajewski dimostra che se vuoi vedere qualcuno con le palle in questo paese, lo devi importare dall’estero. La Polonia ci ha insegnato cosa sono un vero sindacato, un vero sindacalista, un vero papa. Mo ci vuole un prelato polacco d’assalto pure per cavare d’impiccio un nugolo di okkupanti sfaccendati buoni a nulla.
Ci sarebbe poi da dire che la situazione è tutt’altra: l’elemosiniere è al centro dell’attenzione, fior di gentaglia che basa il consenso elettorale sulle occupazioni invece no. Non si accumulano 300k di debito senza protezioni politiche. Il discorso però si fa troppo lungo.
Ma l’elemosiniere è lo strumento che fornisce l’apparentemente etico alibi all’efficacemente descritta gentaglia.
L’alibi etico sta nel fatto che lì almeno ci mangiano-dormono-vivono.
Altrove ( Leonkavallo – CasaPound – Askatasuna ) si occupa allo stesso modo (per fare cosa?) e gli allacci e le bollette non sembrano essere un problema.
Ho sentito dire che nei caso del Leoncavallo milanese e nella casa degli andycappaound romani ci sono persone che mangiano e dormono lì. Gli askatasuna non so chi siano né dove siano.
Ho cercato Askatasuna su internet. C’è una videoregistrazione in cui si vantano di aver allontanato i narcotrafficanti. Proibizionisti, dunque, l’unica sinistra involontariamente sincera.
Sì, ovviamente nei centri (a)sociali un posto per gli amici in difficoltà non si nega mai.
Askatasuna (che significa “libertà” in basco) alcuni lustri fa aiutava-alloggiava-nascondeva alcuni “Etarras” latitanti, ovvero terroristi baschi.