L’ha detto Francesco, l’ha fatto il cardinale.
Se non vado errato, fu l’imperatore Giuliano l’ Apostata, nella polemica da lui sostenuta contro il Cristianesimo per riproporre il pensiero religioso tradizionale nelle sue forme spiritualmente più elevate, a prendere come esempio la parabola dell’amministratore disonesto, narrata nel capitolo XVI del Vangelo di Luca, al fine di dimostrare che la nuova religione del Galileo crocifisso e risorto, ormai trionfante grazie alla politica di Costantino e dei suoi successori dopo l’epoca delle persecuzioni, di là dalle considerazioni puramente dottrinali era deprecabile anche sotto l’aspetto morale. Ve la ricordate? Un uomo viene denunciato perché amministra in modo disonesto le proprietà che gli sono state affidate. Viene quindi licenziato. Per non finire in miseria, escogita lo stratagemma di rendersi benemerito dei debitori del suo signore, così da indurli, per riconoscenza, a offrirgli un nuovo lavoro. Li chiama uno alla volta e si accorda con loro perché paghino somme inferiori al dovuto. Tale comportamento viene addirittura lodato dallo stesso signore che lo ha licenziato, in quanto segno di non comune scaltrezza. Io ho sempre pensato che sia una parabola mal scritta dall’evangelista o chi per esso: mi rifiuto di attribuire a Gesù un simile pasticcio. Sembra che l’amministratore falsifichi i documenti attestanti i debiti, in combutta con i debitori (una vera frode concertata fra più soggetti), mentre è più probabile che, con il beneplacito del signore, l’amministratore cerchi di salvare il salvabile dalle sue dissennate operazioni finanziarie, proponendo transazioni che possano essere accettate da tutte le parti in causa, debitori e creditore. Riscritta (e, a mio modesto parere, intesa da Gesù) in questo modo, la parabola sta in piedi, altrimenti no: diventa un’apologia della disonestà, come la intendeva l’imperatore Giuliano. Ne parlavo qualche tempo fa con un caro amico, la persona più onesta di questo mondo, fine lettore e studioso dei testi evangelici, nonché arguto conferenziere. Lungi dall’accettare la mia “correzione”, insisteva nell’affermare che invece la parabola è scritta benissimo, e va interpretata proprio alla lettera. Il fattore si mostra generoso con il denaro altrui, e viene lodato da chi, nella mentalità comune, dovrebbe aversene a male, perché sconvolge le regole di un sistema economico fondato sull’egoismo, proponendo un modello di convivenza sociale sulla base di regole nuove, improntate al sentimento dell’altruismo e del bene comune, anziché a quello, dominante, dell’avidità e del profitto. Un manifesto anticapitalistico, in somma, anzi, di più: anti-mercatistico; perché neppure il sistema di mercato più primitivo, ad esempio quello basato sul baratto, potrebbe essere operativo in assenza di regole che garantiscano la correttezza contrattuale: chi ha contratto un debito è tenuto a restituirlo, e non si può disporre a proprio piacimento della proprietà altrui. Se ha ragione il mio amico, io sto con l’imperatore. Al mio amico sembra dar ragione anche il cardinal Krajewski, l’elemosiniere del papa che ha pensato bene di togliere i sigilli a un contatore elettrico per riattivare l’erogazione dell’energia a uno stabile da tempo abusivamente occupato, che era stato oggetto del provvedimento sospensivo per grave e prolungata morosità. Tutti si sono commossi al bel gesto, anche perché, a quanto si dice, lo stabile è tra l’altro occupato da famiglie costrette a vivere al freddo, senza luce, e da malati che, nelle condizioni in cui sono ridotti, rischiano di non potersi curare e sono in pericolo di vita. Ragioniamo un momento. Un atto di carità a favore di chi si trova in condizioni di disagio è senz’altro lodevole. Ma non deve essere compiuto in violazione di diritti altrui. La cosa più semplice, nel nostro caso, sarebbe stata che il cardinal Krajewski pagasse subito, di tasca propria o con il denaro messogli a disposizione d’ufficio a fini caritativi, le bollette elettriche rimaste in sospeso, chiedendo che l’erogazione dell’energia venisse immediatamente ripristinata. Non credo che, data l’autorevolezza della sua persona e considerato il prestigio della sua carica, gli avrebbero detto di no. Ha preferito far clamore. Ora dice che pagherà il dovuto. Vedremo, probabilmente sarà così, non c’è motivo di negar fede alle sue parole. Intanto, il suo gesto è finito su tutti i giornali e in rete ha fatto il giro del mondo. Cristo però ha detto: “Non sappia la tua sinistra quello che fa la tua destra, perché la tua elemosina resti segreta; e il Padre tuo, che ti vede nel segreto, te ne darà la ricompensa” (Mt 6, 3-4).Con il suo comportamento il cardinale non solo si è fatto bello con uno spettacolo di presunta carità – il che è già di per sé disdicevole-, ma ha commesso un reato, per il quale un comune cittadino sarebbe immediatamente denunciato e finirebbe sotto processo, per aver leso i diritti della società erogatrice del servizio elettrico e compiuto un vero e proprio furto. Tra l’altro, dal momento che Krajewski dipende dallo Stato della Città del Vaticano, è come se il ministro di uno Stato straniero arrivasse in Italia, nella sua veste ufficiale, a compiere un atto penalmente rilevante. Ci sarebbero tutti i presupposti di un incidente diplomatico.Invece, come il fattore disonesto della parabola, viene lodato da quelli stessi che dovrebbero prenderne le distanze. Non certo dalla società elettrica danneggiata né dalla proprietà dell’immobile da tempo occupato, ma da tutti quei politici e da quegli opinionisti che vedono in papa Francesco il predicatore di un Verbo nuovo. Che poi, se è vera l’interpretazione della parabola che ne dava l’imperatore Giuliano (e anche il mio amico), tanto nuovo non è. Ed è un Verbo sciagurato, perché d’ora in poi il comportamento del cardinale sarà additato come modello di carità cristiana e ogni malintenzionato potrà farsene uno scudo. Finora, per ogni sciocchezza che viene propalata, non si sa resistere alla tentazione di proclamare: “L’ha detto anche Francesco”. D’ora in poi, per ogni effrazione e per ogni furto giustificati a fin di bene si potrà dire “L’ha fatto anche Krajewski con il beneplacito del Santo Padre”. Leggo che, in quello stabile, non ci sono solo famiglie in difficoltà e malati, ma anche una discoteca , un teatro, un ristorante. Tutte attività abusive, che finora hanno goduto di energia elettrica a sbafo. Altro che nuova economia basata sulla generosità e sul dono: parassitismo bello e buono. A sostenerne le spese, alla fin fine, saranno i soliti fessi, quelli che le bollette elettriche le pagano (e con quelle pagano anche, purtroppo, il canone RAI), pagano tutto il resto che s’ha da pagare e si sobbarcano pazientemente a tutti i balzelli dello Stato rapinatore. Santo Giuliano l’Apostata, ora pro nobis!
L’amico può avere ragione nel considerare fedele la traduzione del brano evangelico ma ha completamente torto nell’interpretazione. Imbrogliare debitori e creditori per giustificare le appropriazioni indebite personali è una forma di egoismo tutta e solamente a esclusivo vantaggio del malversatore. Uno schema Ponzi degno della contabilità democristiana in stile Ciriaco De Mita versione anni ottanta, era postcraxiana. Il fattore non è generoso, peraltro sempre con denaro altrui, ma vuole solo salvare faccia e poltrona. E le lodi del creditore sono solo interessate a mostrarsi a sua volta come paladino della generosità. In realtà è un tipico preitaliano, rappresentante di coloro che manifestano una malcelata ammirazione per gli imbroglioni e un meno malcelato disprezzo nei confronti di chi è rimasto economicamente indietro per comportarsi onestamente. Se questo è il cristianesimo, io sono fiero di sentirmi (sia pure non operativamente ma solo spiritualmente) giudeo e massone. Vediamo se questo pontefice, così buono con affamatori del calibro di Morales, Maduro, Chavez, Raul Castro e altri, vorrà scomunicarmi per quanto ho appena scritto.
Charles Gave in “Gesù economista”, (IBLlibri, pagg.94-96) interpreta la parabola più o meno nella maniera da me suggerita, ammettendo che, narrata com’è, appare ai più come “un’apologia non dissimulata della disonestà”. Tale doveva apparire a Giuliano l’Apostata; tale deve apparire – ma evidentemente per loro è un titolo di merito- a personaggi come Krajewski e Bergoglio; il quale ultimo ha avallato, se non addirittura suggerito, l’azione criminosa del primo. D’altra parte, che cosa possiamo aspettarci da un papa che, commentando in un incontro istituzionale l’episodio dell’adultera (Gv, 8) non si vergogna di affermare che Gesù, quando si china a scrivere sulla sabbia, “fa un po’ lo scemo”? Prima o poi, questo sgangherato pontefice sbotterà con un “mortacci tua!” (come teme Giuliano Ferrara).
Signori, vedo che si continua a ragionare in termini di vita terrena, codice civile/penale, mentalità di oggi… insomma volete fare concorrenza al povero Piedifreddi e poi – poverino lui – a chi li piazza i suoi pamphlet?
Leggete in rete la spiegazione di Mons. Ravasi su quella parabola: benchè qualche cantonata l’abbia presa anche lui (e questo lo rende più umano), resta comunque un grande esegeta.
Per far quadrare i testi “ispirati”, a dispetto delle loro contraddizioni e dei loro contenuti più imbarazzanti, i biblisti sono costretti ad arrampicarsi sugli specchi. Al punto che il più illustre biblista americano, Raymond Brown, arriva a sostenere che l’inerranza di tali testi riguarda soltanto la dottrina, non i fatti storici. Ravasi è un biblista di vaglia, che per giustificare la parabola del fattore disonesto deve, anche lui, in qualche modo “riscriverla”, interpretandola alla luce degli usi vigenti al tempo in cui fu narrata. Non mi pare che il suo intervento esplicativo (il fattore, di fatto, riducendo i debiti, rinuncerebbe alle proprie provvigioni usurarie, senza ledere gli interessi del padrone) sia molto diverso da quello di Gave. Rimane vero che, anche ammettendo che le cose stiano così come da lui spiegate, quello di Luca continua ad apparire un testo mal scritto: ci sarebbe voluto poco per far comprendere a chi legge che il fattore, con il suo espediente, non intende continuare a rubare, ma addivenire a una soluzione che accontenti tutti (“Quanto ti sei impegnato a pagare per estinguere il debito? …. Bene, scrivi quello che veramente devi al mio padrone; io rinuncio alle mie pretese). Altri esegeti ritengono invece che il fattore abbia veramente compiuto una truffa, ma Gesù non ne esalti la la disonestà, bensì soltanto l’accortezza con cui riesce a salvarsi dalla miseria. Con la medesima accortezza (ma senza ricorrere a comportamenti disonesti) i timorati di Dio,”figli della luce” , sono invitati a usare le ricchezze terrene per donarle a chi ne ha bisogno, così da guadagnarsi la beatitudine eterna. Con questa interpretazione, la parabola non è mal scritta, ma infelicemente congegnata nel suo contenuto, perché ambigua. Il Figlio di Dio non poteva inventare qualcosa di meglio? Infine ci sono le anime candide, come il mio carissimo amico, che vedono nel comportamento del fattore il fondamento di una nuova società, dove non vige l’accaparramento proprietario, ma il dono, e le le ricchezze sono condivise. Interpretazione pericolosa: se la proprietà è sempre un furto, violarla per far del bene ai poveri è un atto meritorio. Forse Krajewski la pensa così. Sarebbe interessante sapere come il papa regnante intende la parabola del fattore disonesto. Sta di fatto che, pochi giorni dopo l’azione delittuosa dell’alto prelato, a Milano bande di sovversivi hanno messo fuori uso i tornelli della Metropolitana per protestare contro il rincaro dei biglietti. Anche loro hanno compiuto un’azione di carità a favore dei più deboli? Anche loro si battono per una società in cui non ci sono più ricchi che succhiano il sangue dei poveri? Si direbbe di sì. Può anche starmi bene, a patto che questi signori non vengano chiamati “anarchici”.
Vabbè, ci provo ancora una volta, l’ultima.
Viene lodata la FURBIZIA, non l’atto in sè che non è in discussione. Quante volte un padre dice al figlio “se proprio devi farmela, cerca almeno di non farti beccare o di rimettere le cose a posto”.
Dio odia gli imbecilli, l’aveva capita benissimo persino “il buono”, un “figlio di questo mondo” http://www.youtube.com/watch?v=PrqHRuAbNr4
Giacobbe sottrae ad Esaù la primogenitura e con l’inganno – complice la madre – si fa benedire dal padre al suo posto. Giacobbe gli viene preferito da Dio anche se gioca sporco.
Il buon ladrone scippa il paradiso con semplici parole gentili, l’altro impreca e se ne va a
ramengo.
A quanto si dice Lucio Battisti – mai stato particolarmente religioso – prima di morire avrebbe fissato e poi baciato il crocefisso; Luciano Lama avrebbe invece chiesto “Che ha fatto la Juve?”.
Indovinate chi sono i tre furbi e i tre imbecilli.
Sarà vero che all’epoca i fattori erano pagati a percentuale e senza salario? Ravasi afferma di sì, prendiamo per buona la notizia. Se questo amministratore era tanto scaltro, come mai si è trovato in quel tipo di difficoltà? Forse le traduzioni non sono il massimo dell’accuratezza storico – filologica ma quando uno legge che viene “lodato l’amministratore disonesto”, è scontato che il dubbio finisca per prendere il sopravvento. Lodare la capacità di recupero? Sia pure. Ma la cosa viene fuori solo dalle comunque dubbie interpretazioni, che possono essere di comodo, non dal testo in sé. Per il resto non sapevo che Luciano Lama tifasse per la squadra “dei padroni che sono contro le riforme e che non considerano il salario una variabile indipendente”. Non era piemontese, poteva tifare per la “rossa” Bologna ma quelli della provincia di Forlì sono tutti un po’ strani. Vero, Alessandra, che era un po’ strano pure nonno? Sull’attuale pontefice, i timori di Ferrara sono i miei auspici. Sarà perché anche lui è un Giuliano apostata (da comunista a forzista), sarà perché così questo pontificato mostrerà in via definitiva la sua vera essenza (che Feuerbach non aveva previsto); ma non vedo l’ora che la romanissima espressione venga pronunciata dall’argentino errante.