Ragli al teatro d’opera
Cari amici, ricordo con nostalgia quella memorabile sera del 28 Ottobre 1787, in cui, grazie ai miei due papà Da Ponte e Mozart, fui baciato dalla gloria imperitura nel Teatro Nazionale di Praga, alla prima dell’Opera che porta per titolo il nome mio. Parte del merito va anche all’impresario Domenico Guardasoni, che rischiò il suo denaro in quella produzione, ricavandone un guadagno forse inaspettato. Da allora, quante volte sono ritornato alla ribalta, nei teatri di tutto il mondo! Da Ponte, fattosi impresario, mi portò anche in America! E oggi? Brutti tempi! A Salisburgo mi rappresentano con le regie oscene che piacciono in terra tedesca e purtroppo dilagano anche in area latina. A Milano mi resero grande onore, negli anni Ottanta dello scorso secolo, Strehler e Muti in un allestimento memorabile. Ma qualche anno fa mi hanno avvilito con una regia vomitevole. Chi il responsabile? Un tipaccio venuto di Francia, arrogante quant’altri mai, che fra le sue prodezze vanta quella di aver precluso l’ingresso in sala a un critico poco compiacente, come se il teatro fosse di sua proprietà. Per fortuna se n’è tornato al suo Paese, e ci stia! Ora leggo che questo odioso signore (che ha avuto il merito di regalare alla Scala il peggior Verdi della sua storia) in una trasmissione televisiva non ha saputo riconoscere brani di famose Opere in musica. Opere famose, dico, e non, che so, L'”Armida” di Traetta o “La grotta di Trofonio” di Salieri. Macché! “La forza del destino” “Carmen”, “Tosca”, “Madama Butterfly”, titoli che anche i semianalfabeti musicali in qualche modo conoscono. E lui, zero! Come possono i milanesi aver affidato per sette anni la sovrintendenza di quello che loro ritengono, a torto o a ragione, “el primm teater del mond” a un simile pezzo di somaro? Sarebbe come se i responsabili del Grand Hotel Villa d’Este affidassero la mansione di capo cuoco a chi non sa neppur scaldarsi un uovo al tegamino! E che lauti onorari, a quel somaro! Certo, è denaro pubblico, paga Pantalone. Sapete che vi dico? Torniamo ai tempi del grande Guardasoni. Via la mano pubblica dai teatri d’Opera; i privati, siano impresari che mettono a rischio i propri capitali, siano mecenati che fanno donazioni per amore dell’arte, siano sponsor che finanziano gli spettacoli a scopo pubblicitario, rimangano gli unici arbitri del mondo dell’Opera. Se fanno soldi, meglio per loro, se falliscono, si chiude. Nessuno chiamerebbe un somaro come il tipaccio suddetto neppur a far la maschera. Anche tali somari sono un aborto dello Stato ladro.
Ma non sono stati “i milanesi” a promuovere il somaro di turno. Sarà stato il consiglio comunale che parla e agisce arbitrariamente a nome del popolo. E in genere gli eletti sono più somari del somaro.