Don Giovanni

Rapporti con il nemico

Mi rendo conto che nel mio ultimo articolo sono stato piuttosto prolisso e forse anche un po’ noioso. Ne chiedo venia. Mi consentano però i miei venticinque lettori – con la speranza che non si riducano a venti o a nche meno – di ritornare sull’argomento, per chiarire il mio pensiero, prendendo spunto dagli interventi della signora Loredana, della cui frequentazione ci sentiamo particolarmente onorati, e di Leporello.

Leporello dice, in sostanza, che se non ci fossero gli schiavi  i padroni sarebbero ridotti all’impotenza; e individua gli schiavi soprattutto nei dipendenti pubblici, che del loro padrone, lo Stato, non potrebbero fare a meno, perché è l’unica fonte da cui,come parassiti, traggono sostentamento. Mi sembra un discorso che pecca per eccessiva generalizzazione. Vediamo perché. A parte noi anarchici che siamo quattro gatti – e molto spesso ci azzuffiamo tra di noi, perché ognuno vuole avere il bucato più bianco dell’altro – tutti sono più o meno fautori dello Stato. E’ una questione di gradazione. C’è chi vorrebbe uno Stato minimo, riconoscendo che di esercito, polizia e qualche servizio pubblico essenziale non si può fare a meno. C’è chi vorrebbe uno Stato massimo, che provvede a tutti i bisogni, dalla culla alla tomba. In mezzo c’è una fascia che va dal grigio chiaro al grigio scuro. Molti si lamentano delle tasse, ma poi chiedono sempre più servizi pubblici.  Molti pensano di pagarne troppe, ma ai ricchi vorrebbero farne pagare il doppio o il triplo. Non è neanche vero che da una parte c’è lo Stato e dall’altra parte c’è il mercato. La grande industria con lo Stato è ammanicata più che mai, perché ne riceve privilegi, finanziamenti e protezioni. Senza lo Stato non ci sarebbero brevetti, copyright, proprietà intellettuale, dazi, dogane, commesse pubbliche per lavori spesso inutili o addirittura distruttivi, ecc. ecc. La piccola impresa e l’artigianato sono forse meno “statalisti” ma anche loro quando possono non rinunciano alle protezioni e ai benefici elargiti dallo Stato Padrone. I lavoratori, quando l’impresa in cui lavorano minaccia di chiudere e di mandarli a spasso, pregano San Gennaro che lo Stato intervenga a scongiurare la chiusura (li giustifico più di ogni altra categoria, specie in un momento di elevata disoccupazione).  Da sempre sostengo che bisogna distinguere tra capitalismo e mercato. Non sono la stessa cosa. Il capitalismo  – con buona pace di Ayn Rand – dello Stato non può fare a meno; e il capitalismo di oggi, a livello mondiale, dominato com’è dai giochi di una finanza impazzita, foraggiata dai falsari delle banche centrali, (quelli -per fare un esempio- che fanno “whatever it takes”  per salvare una moneta che sarebbe meglio mandare a picco) è una cosa abominevole. Il mercato è un’astrazione che per ora si trova soltanto nei manuali di Economia e nei libri dei sogni: i sogni degli anarchici un po’ pazzi come siamo noi di Libertino, che della materia dei sogni siamo fatti, quindi possiamo permetterci di sognare senza entrare in contraddizione con noi stessi.Certo ,la categoria dei dipendenti pubblici è quella che più d’ogni altra ha motivo di amare lo Stato e di blandirlo, cedendo ai suoi ricatti in cambio di un posto assicurato a vita, un lavoro molto spesso tutt’altro che faticoso, molti piccoli privilegi, una buona pensione e altre cosucce del genere. Però non è il caso di fare d’ogni erba un fascio. Io, ad esempio, ho un grandissimo rispetto per i Vigili del Fuoco, che spesso intervengono in condizioni di pericolo,  per portare aiuto a persone in difficoltà; e non solo per domare incendi, ma anche in caso di altre calamità. Corrono rischi e non credo proprio che ricevano lauti stipendi. Dei militari preferisco non parlare, perché li vedo come il fumo negli occhi. Non ho nessuna simpatia per le cosiddette Forze dell’Ordine, ma devo ammettere che non è un mestiere di tutto riposo, Anche poliziotti e carabinieri.corrono i loro rischi e sono malpagati (gli agenti delle Polizie Locali farebbero bene a tornare a fare i vigili, come una volta,quando si limitavano a dirigere il traffico e dar multe per divieto di sosta: gli “ausiliari” li mandiamo a raccogliere pomodori).  E che dire dei medici che lavorano negli ospedali pubblici? E di tutto il personale sanitario? Dipendono anche loro dallo Stato. Ce ne sono di bravissimi, che lavorano con zelo. Anche i medici di base hanno un rapporto di lavoro parapubblico. Ce ne sono di quelli che visitano per telefono (per loro la Covid è stata una pacchia), altri sgobbano dalla mattina alla sera, tra visite ambulatoriali e visite a domicilio. E tutti gli altri  dipendenti pubblici che se ne stanno comodamente seduti nei loro uffici a svolgere lavori spesso inutili? Ci sono anche quelli, nessuno lo nega. Ma anche negli uffici pubblici c’è qualcuno che fa qualcosa di utile e lavora bene. Non tutti sono magiapane a tradimento. E, per finire, che dire degli insegnanti? Ne conosco molti che fanno il minimo indispensabile e, quando possono, si mettono in malattia. Ma ne conosco altrettanti che fanno fino in fondo il loro dovere, e qualcuno che addirittura, per il bene dei suoi alunni, va a scuola anche con trentotto di febbre. E la Magistratura? Lasciamo perdere, Meglio stendere un velo pietoso. La patria del Diritto è diventata la patria del Distorto. Corrotti e ben pagati. Con qualche eccezione anche lì. Dove vuol portare tutto questo discorso? Vuol essere un invito a non dividerci, visto che tutti abbiamo qualche peccatuccio e nessuno può vantare un bucato tanto bianco che più bianco non si può. Noi quattro gatti anarchici non possiamo pretendere che tutti siano antistatalisti puri come noi, Se possiamo percorrere un pezzo di strada anche con chi è lontano dalle nostre idee, ma condivide con noi un obiettivo che rientra nella nostra agenda, non dobbiamo chiuderci nel nostro guscio.  Le persone oneste e di buona volontà ci sono dappertutto, anche fra i dipendenti pubblici. Anche fra i magistrati e forse, forse… anche tra i militari, escluso lo spaventapasseri con la piuma sul cappello. Se cominciamo a dividerci, noi contro loro, loro contro noi, pubblici contro privati, privati, contro pubblici, operai contro imprenditori, imprenditori contro operai, facciamo il gioco dei poteri forti, che hanno sempre vinto usando la tecnica del “divide et impera”.Tutti, senza distinzione, dobbiamo scrollarci di dosso l’acquiescenza alla condizione di schiavo. Dobbiamo smetterla di comportarci da iloti. Chi erano gli iloti? Mi si permetta una breve digressione storica.Nell’antica Grecia c’erano due forme di schiavitù. la schiavitù-merce e la schiavitù ilotica. La schiavitù-merce era quella delle poleis democratiche come  Atene: gli schiavi, pubblici o privati che fossero, si comperavano sul mercato come quasiasi altra merce. Spesso venivano dal bottino di guerra: i vincitori di solito uccidevano i maschi e facevano schiave le donne. La schiavitù ilotica era quella praticata, ad esempio, in una città come Sparta. Gli iloti non venivano dal bottino di guerra e non erano venduti e comprati sul mercato. Assomigliavano piuttosto a servi della gleba, il loro rapporto con i padroni era un rapporto di tipo feudale. Possedevano addirittura piccoli appezzamenti di terreno da cui traevano sostentamento. Dovevano versare allo Stato parte del loro raccolto, ma in cambio ricevevano protezione. A Sparta pativano anche atti di bullismo, che le autorità addirittura promuovevano, da parte della gioventù libera, che in questo modo si addestrava alla guerra. Non è che a Sparta gli iloti stessero benissimo, tutt’altro. Ma in altre città se la passavano discretamente. Forse se gli avessero proposto di diventare liberi, perdendo ogni protezione e vedendosi costretti a provvedere da soli  al proprio sostentamento, avrebbero detto di no. E’ la morale degli schiavi, quella che troviamo esemplificata in molte favole di Esopo (che la sapeva lunga, perché era uno schiavo anche lui) Una per tutte: il mulo irride l’asino per la sua sottomissione a un padrone, ma quando arriva il leone il mulo viene sbranato, mentre l’asino viene difeso e saivato dal padrone.In età romana sulle coste del Mar nero la popolazione dei Mariandini accettò di sottoporsi tutta quanta a un regime di sewrvitù in cambio di protezione (*). Aveva ragione Etienne dela Boetie: la schiavitù è sempre volontaria. Il guaio è che siamo tutti un po’ iloti. Pur di avere il nostro orticello, accettiamo di perdere un po’ di libertà. Gli iloti sono in tutte le categorie. Fra i dipendenti pubblici abbondano. Ma ormai è giunto il momento in cui tutti quelli che non vogliono più essere iloti si devono svegliare, senza dividersi pregiudizialmente per motivi di appartenenza. Molti infermieri degli ospedali pubblici rifiutano di vaccinarsi, anche a costo di essere sospesi dal lavoro senza stipendio. Non vogliono essere iloti. Molti insegnanti si oppongono al passaporto vaccinale: anche loro non vogliono essere iloti. Confindustria, in combutta con il governo criminale di Draghi, vorrebbe l’obbligo vaccinale per tutti i dipendenti del settore.privato. I sindacati nicchiano. Gli operai e gli impiegati che chineranno il capo si comporteranno da iloti. Saremo indulgenti con loro  solo perché sono dipendenti di comparti produttivi privati, e arcigni con insegnanti e infermieri che si oppongono all’obbligo vaccinale solo perché sono pagati con denaro pubblico?  Non sono mangiapane a tradimento. Dopo tutto,in una società anarchica ci sarà sempre bisogno di insegnanti e di infermieri. Anche di pompieri. Ai poliziotti rinuncerei volentieri, ma temo che anche di loro non si possa fare a meno. Dei banchieri centrali sicuramente sì. Uomini come Draghi li mandiamo a pulire i cessi.

Giovanni Tenorio

Libertino

11 pensieri riguardo “Rapporti con il nemico

  • Don Giovanni ne fa quasi una questione morale, come a voler cercare (trovandola, ci mancherebbe) qualche traccia di innocenza in chi, soprattutto per motivi personali, collabora con lo Stato. Colpa mia se si è sentito giudicato o se ha trovato nelle mie riflessioni un giudizio morale nei confronti di altre persone (il giudizio morale non c’era).

    Non è questo il mio punto di vista, non mi occupo della coscienza altrui e non sono propenso a dare giudizi sulla moralità altrui: non mi importa se tratta con il nemico, che sia lo Stato o la Mafia o qualche forma di terrorismo o una banda di rapitori.

    Il mio punto di vista si riassume in due osservazioni.

    La prima è realtiva alla “consapevolezza” del concetto di “lavoro”, con tutte le implicazioni pratiche nella individuazione delle priorità da difendere, quando lo Stato (ovvero chi ne fa parte) comprime la libertà operativa. Questa osservazione ha a che vedere con il valore dell’esperienza, senza nessuna implicazione morale automatica. Quando il guadagno o la stessa vita professionale (e spesso non solo profesionale) dipendono in modo spietato dal risultato, la prospettiva è necessariamente diversa rispetto alla condizione in cui un atto di obbedienza formale nei confronti di un padrone “speciale”, lo Stato, esonera da questa drammatica correlazione. L’atto di obbedienza può essere piccolo, minimale, ma è uno dei mattoni che si aggiungono al muro (citando Roger Waters). Dal punto di vista individuale, conduce l’individuo verso una percezione differente e una “vita activa” (condizione umana) differente: quella differenza che, citando ancora Hannah Arendt, esiste tra la vita vissuta nel fare e la vita vissuta nell’agire. Ricordando invece una recente considerazione del medagliato nuotatore Gregorio Paltrinieri, è la differenza tra nuotare nella vasca di una piscina e nuotare in mare aperto: nulla di male nell’allenarsi in piscina, ma impossibile comprendere lo stato d’animo di chi non vede la linea sul fondo e non sa se le onde gli permetteranno di inspirare quando non sarà in grado di completare la bracciata in tempo. Verrebbe anche da ricordare la caverna di Platone, ma non essendo in regola con il Greenpass non potrei entrare nemmeno a Toirano, quindi mi astengo.

    La seconda osservazione invece riguarda il termine “Stato”. Non sono esperto di etimologia, essendo un Vile Meccanico, come i 25 lettori di Don Giovanni sapranno (prima di scrivere ho verificato sul dizionario etimologico, per non incorrere in banalità), ma è evidente che la parola Stato, sia correlata ai concetti di “condizione, posizione, stabilità”, quindi al “persistere di una condizione”. Naturalmente, noi anarchici (con gli amici libertari) sappiamo che lo Stato, esiste solo come astrazione politica, non esiste concretamente come soggetto unitario (tanto meno autocosciente): è la somma degli “stati”, cioè della persistenza in una posizione, di chi ne fa parte. Lo Stato siamo noi (lo Stato sono loro) nel momento in cui, anche invocando la necessità pratica di farne parte (quindi escludendo una partecipazione morale, anzi proclamando contemporaneamente la nostra indipendenza e dissociazione), fattualmente gli diamo sostanza.

    Non mi dilungo sui pompieri, sui medici, sugli ex colleghi insegnanti: io sono fortunato, per non avere imbarazzo morale mi è bastata una lettera di dimissioni (o di “rinuncia” per usare la neolingua della burocrazia).

    Offri un bicchiere di Marzemino all'autore del commento 1
  • Loredana

    Innanzi tutto grazie a Don Giovanni per avermi citato nel suo articolo. Ironia della situazione, è stato proprio un mio ex insegnante delle Scuole Pubbliche Statali a farmi conoscere questo sito e ad invitarmi a lasciare qualche piccolo commento quando l’argomento mi stuzzicava. Quindi un dipendente statale, che però mi ha fatto notare che non sempre l’iniziativa imprenditoriale privata porta agli egoismi estremi come ci dicono i nemici del Capitalismo, ma al contrario anche lo Stato benevolo che ci dà delle cose ci può anche “strozzare” con le sue continue richieste. E ho iniziato a vedere le cose in maniera diversa………alla fine potrebbe essere tutto relativo: se dallo Stato ho ricevuto delle cose positive il mio vissuto sarà positivo nei suoi confronti; pensiamo ai bambini poveri che almeno frequentando le Scuole Statali dell’Obbligo possono iniziare a vedere una finestra d’apertura dalle loro famiglie d’origine; ma è vero anche il contrario: strozzare l’iniziativa privata porta all’impoverimento delle società (guardiamo gli ambienti socialisti); inoltre negli ambienti statali si mantengono staff lavorativi parassitari, quando invece un privato sarebbe più selettivo. E basta guardare lo sviluppo dell’Occidente e invece l’arretratezza del blocco Socialista.
    Ma adesso c’è una nuova realtà: l’Occidente è sotto la morsa di un nuovo Stato, che diventa sempre più oppressivo e schiacciante, e iniziano a crearsi delle alleanza difensive che prima non si vedevano ed erano impensabili; sabato 7 agosto a Roma Forza Nuova ha invocato la cooperazione di altri Movimenti contro l’applicazione del Green Pass!! È una nuova realtà che forse ci fa riflettere sul fatto che lo Stato Benevolo comincia a diventare un Carceriere pericoloso, forse tra il rischio di non essere protetti e il rischio di essere “troppo” protetti, meglio il primo, forse è una situazione più controllabile.

  • Alessandro Colla

    Non tutti gli anarchici vogliono avere il bucato più bianco dell’altro. A volte ci sono delle contraddizioni che qualcuno mette in rilievo e questo porta a volte alla scoperta della non autenticità libertaria di qualcuno. Ho già detto altre volte che il problema relativo al capitalismo e al libero mercato lo trovo di semplice ordine semantico, per me va bene considerare l’uno un presupposto dell’altro o anche considerarli sinonimi; non comunque antitetici. Ma se si vuole distinguerli chiamandone uno con un significato diverso da quello che gli do io, ciò non significa non arrivare alle stesse conclusioni di fondo. Non si potrà fare a meno dei poliziotti ma in una società libera il mulo si sceglie il tutore dell’ordine che preferisce licenziandolo quando vuole. Non dovrà essere costretto a lasciarsi sbranare dal leone e comunque il suo interlocutore asino (nel senso di intellettuale somaro che non conosce la storia del pensiero) il padrone non se lo è scelto. Né se volesse rischiare l’incontro con il leone, potrebbe affrancarsi dal non scelto padrone che prima o poi, quando lo riterrà inutile, gli riserverà la fine del mulo. E non è detto che all’asino riesca la fuga a Brema. Non condivido l’idea di assegnare la pulizia dei servizi igienici ai banchieri centrali: si rischia di trovare le latrine in pessime condizioni e allora sì che dovremmo preoccuparci per la nostra salute fisica. Non possiamo neanche fornir loro zappa e vanga in quanto la terra va rispettata se si vogliono buoni frutti. Gli si possono dare gli incarichi dei cronisti sportivi, lì le idiozie sono un obbligo professionale. Non condivido nemmeno l’idea che i bambini poveri abbiano avuto una finestra d’apertura rispetto alle loro famiglie grazie alla scuola statale. E’ successo l’esatto contrario: la finestra aperta che le famiglie povere desideravano per i loro figli è stata chiusa con l’obbligo scolastico e con l’istruzione statale. Le cose positive che si possono ricevere dallo stato sono solo apparenti. Una curiosità: cosa insegnava Leporello prima delle dimissioni e in quale ordine di scuola?

    Offri un bicchiere di Marzemino all'autore del commento 1
    • Sono sicuro che con questo mio intervento farò storcere il naso a qualche mio lettore, rischiando di ridurmi, novello Amleto, a recitare monologhi davanti a una platea senza pubblico. Ma sono sempre stato fedele alla massima “Amicus Plato, sed magis amica veritas”. Quindi anche questa volta dirò quello che penso, non perché pretenda di possedere la verità, ma perché ne sono più che mai convinto. La riforma Gentile è stata una grande riforma. Con due gravi pecche: la sottovalutazione delle discipline scientifiche e l’emarginazione della musica (in linea, del resto, con tutto il pensiero idealistico italiano, da De Sanctis in avanti, sulle orme di Hegel). Non aveva niente di fascista, era una riforma liberale, che proponeva corsi di studio severi e aveva nel Liceo Classico il suo fiore all’occhiello. L’intento originario era quello di selezionare una classe dirigente d’alto livello, eliminando i privilegi di ceto: chi era dotato di buone capacità e dimostrava impegno doveva poter giungere ai più alti gradi degli studi, con beneficio suo e di tutta la società. Proprio per questo non piacque; suscitò forti opposizioni, al punto che Mussolini intervenne per renderla meno severa. Fu così che il Liceo Classico divenne la scuola della borghesia medio-alta, assumendo un carattere classista che alla radice gli era estraneo. Ciò non toglie che, anche così snaturato, in molti casi abbia saputo svolgere la funzione cui alle origini era deputato, consentendo a persone capaci e meritevoli dei ceti più bassi di elevarsi socialmente, raggiungendo talora posizioni di prestigio. Un esempio per tutti: Sergio Ricossa, l’economista di scuola einaudiana, membro della Mont Pelerin Society, accademico dei Lincei, approdato, sul finire dei suoi anni, dal pensiero liberale classico di matrice austriaca al pensiero anarco-capitalista di Rothbard. Era figlio di un operaio della Fiat. Per mantenerlo agli studi i genitori dovettero affrontare grandi sacrifici. La madre andava a far acquisti al mercato poco prima della chiusura, per poter acquistare i prodotti a prezzo più conveniente (è Ricossa stesso a raccontarlo). Senza il Liceo Classico severo di allora sarebbe rimasto, probabilmente, un operaio figlio di operai, o poco più. Invece, sono d’accordo con Quirino Principe che la tanto incensata “Lettera a una professoressa” di don Milani è un libello deplorevole, che ha prodotto una serie di guai, a dispetto delle sue buone intenzioni. Giusto battersi perché i più poveri non vengano discriminati dal sistema scolastico, insopportabile che gli studenti di famiglie benestanti vengano messi in cattiva luce e valutati riduttivamente solo perché benestanti. L’ideologia sottesa a questo atteggiamento ha avuto conseguenze opposte ai risultati sperati: i ricchi hanno continuato a frequentare le scuole migliori, scegliendole fra i pochi istituti di prestigio privati, studiando all’estero e ampliando la propria formazione attraverso la frequenza di corsi extra-curriculari d’ogni genere; ai poveri è rimasto il pane raffermo di una scuola sempre più sciatta e degradata. Per concludere: da anarchico, sono contrarissimo a una scuola di Stato. Ma riconosco che una scuola di Stato può essere ottima, buona, cattiva o pessima, sempre con il limite di essere una scuola di Stato con il suo greve carico di obbligatorietà, rigidità curriculare e – peggio di tutto – indottrinamento ideologico. D’altra parte, per una sorta di eterogenesi dei fini, come dalle scuole dei Gesuiti sono usciti fior di liberi pensatori, agnostici e atei, così dalle scuole di Stato può uscire anche qualche anarchico. A patto che siano scuole severe, che insegnano a ragionare, magari spaccandosi la testa non solo sulla Matematica e sulla Fisica (imprescindibili), ma anche su Omero e Virgilio, su Spinoza e su Kant (è notizia di questi giorni che mentre il papa ignorantissimo vuol restringere sempre di più la facoltà di celebrare il rito religioso in latino, nel Regno Unito si pensa di reintrodurre lo studio del Latino come materia formativa nella scuola di base). Un cervello che ragiona può facilmente mettere in dubbio le fanfaluche della Chiesa e dello Stato.

      • Certo che il classico, dando accesso a tutte le facoltà, aveva vittoria facile; ma posto sullo stesso piano degli altri istituti, con la liberalizzazione post 68 degli accessi universitari per tutte le scuole quinquennali, il classico è entrato in un limbo-dimentcatoio per figli di papà un po’ retrò.

        E meno male che almeno si riconosce la (magagalattica direi io) sottovalutazione delle materie scientifiche. Dal liceo classico sono usciti una pletora di super intelligentoni, ma non chiedete loro di risolvere un’espressione algebrica da terza media. Io sono stato circondato da classicisti, da mio padre a tutti i miei cugini, tutti imbranatissimi in matematica, per quindi conosco bene la situazione.

        E se poi i “super intelligentoni” si fermano al classico e basta…, mamma mia, Dio ce ne scampi e liberi se abbiamo la sfiga di ritrovarceli tra i coglioni come “classe dirigente” (e vinco facile a citare due odiosissimi primi della classe, Capezzone e Lorenzin: game-set-match).

      • “In generale, chiaramente, il Liceo Scientifico è una scelta naturale per chi vuole fare Matematica. Ma la mia storia mostra che, se uno vuole, può tranquillamente sceglierla dopo gli studi classici. La cosa più importante del Liceo è motivare gli studenti e dimostrare loro, oltre che le nozioni, anche un metodo di studio. Il Liceo Classico mi ha sicuramente trasmesso tutto questo” (Alessio Figalli, Medaglia Fields 2018). Consiglio all’amico Max di andare a leggersi l’articolo pubblicato sul “Corriere della sera”del 21 gennaio 1997, dove il genetista Luigi Luca Cavalli Sforza afferma che “tradurre Tacito è esercizio di vera scienza in una scuola che aiuta a ragionare”. Molti dimenticano che la scienza è essenzialmente un metodo, non un coacervo di nozioni e di formule. Se uno legge Tacito in traduzione, non impara un bel nulla, fuorché qualche informazione di Storia Romana. Erudizione, non cultura. Se ne può fare a meno. Del metodo scientifico, nel mondo d’oggi, no. Sfido l’amico Max a dimostrarmi che questi sono ragionamenti di parrucconi ingrigiti e ammuffiti.nella cultura umanistica.

      • Parlerò chiaro sperando di non irritare. Non so in che cosa si sia cimentato DJ di matematico, ma temo che abbia privilegiato gli aspetti culturali e divulgativi dell’argomento.

        Interessarsi dell’insegnamento della matematica col metodo dell’insiemistica non significa averlo provato sulla propria pelle (quanto sangue mi hanno fatto sputare i testi del cuneese Ezio Tassone(*), pesanti e incomprensibili: sarà perchè scritti da un barbogio che insegnava al classico – tra l’altro era il prof di mio cugino! – e si dilettava a leggere i classici lui stesso? (#)
        Sta di fatto che – dopo essermi procurato testi alternativi ai suoi – problemi spariti e volavo come Modugno)

        Anche conoscere Galois e tutti i matematici della storia non significa acquisire una forma mentis matematica. Non me voglia DJ, ma uno svarione marchiano come quello di “Etica degli affari” del 6.2.21 ne è la riprova. Senza parlare dei facili entusiasmi per personaggi di dubbia reputazione che un approccio più cauto e razionale (matematico-scientifico appunto) consiglierebbe di evitare.

        Chiedo scusa per la franchezza, ora vado via per un po’ e spero che al rientro non si parli più di tifoserie scolastico-culturali.

        (*)
        ebay.it/itm/232640129157
        ebay.it/itm/332529486677

        (#)
        lastampa.it/cuneo/2016/10/27/news/l-ex-prof-di-matematicalegge-seneca-in-latino-1.34794831

      • Caro Max, non me ne voglia; è Lei – con tutta la Sua cultura matematica di prima mano – a difettare di logica, con i Suoi argomenti ad personam. Un esempio: le tesi sostenute da Biglino sono false perché il personaggio ha un passato poco limpido, perché l’ebraico è una lingua facile, perché la traduzione letterale è una puttanata… perché se a uno piace dirigere Wagner vuol dire che è un coglione.

  • Alessandro Colla

    In ogni caso, se usciti dal liceo si ha difficoltà con l’algebra la colpa è della scuola precedente dove l’algebra si dovrebbe insegnare. E’ il metodo di insegnamento che manca, la didattica. Il difetto della riforma Gentile è stato sicuramente quello della sottovalutazione delle discipline scientifiche, in particolare della fisica che personalmente considero madre di tutte le scienze. E quest’errore ha portato a un’inutile dicotomia tra liceo classico e liceo scientifico. L’essere in difficoltà con i calcoli non significa, però, rimanere ignoranti. Altrettanto non può dirsi se la difficoltà è con la lingua madre, con le discipline storiche, con gli argomenti filosofici e la storia della letteratura classica. Lorenzo Milani aveva forse intenzioni diverse dal risultato che la lettura del suo famoso libro ha conseguito, probabilmente era troppo figlio dei suoi demagogici tempi e anche lui è stato poco cartesiano nella tecnica della divulgazione. Malgrado tutto non riesco a mettere sullo stesso piano Beatrice Lorenzin e Daniele Capezzone. Avendoli conosciuti tutti e due, posso legittimamente essere deluso più dalla prima che dal secondo. Nel catalogo di don Giovanni, l’ex titolare del ministero della malattia avrebbe avuto fisicamente uno spazio adeguato. Credevo maggiormente nella sua coerenza ma mi sono dovuto ricredere. Anche se non ho molto tempo davanti, immagino che avrò altre occasioni per deludermi ulteriormente con futuri personaggi.

    • Sissì, immagino, Capezzone ha libere uscite in cui mostra di essere addirittura pappa e ciccia con l’anarcocapitalismo. Non si capisce allora che ci faccia lì dove sta e in quella compagnia, se non per motivi di pagnotta sicura.

      E potevo citare pure Di Maio e Salvini tra le mine vaganti in cerca di sistemazione, ovvero classicisti spiantati itineranti che non hanno altro titolo. Ma il primo non riesce proprio a essermi antipatico e il secondo non ha per nulla il phisique du role del classicista, è una eccezione, un incidente di percorso, un tipo per cui val più la pratica che la grammatica, piuttosto simile al suo ex mentore (il cui curriculum era avvolto nelle nebbie della Valpadana e che vantava – a quanto pare, a quanto si dice – una Scuola Radio Elettra).

  • Alessandro Colla

    In brutta compagnia ci si può stare per il pane senza dover condividere necessariamente il pensiero degli altri. Altrimenti il sottoscritto sarebbe destinato a interpretare quasi sempre solo monologhi, visto il “pensiero” assistenzialistico degli altri. E anche con i monologhi si troverebbe facilmente in compagnia di fonici, scenotecnici, illuminotecnici, costumisti e attrezzisti ancora più assistenzialisti. Ci possono essere delle incoerenze anche da parte di Capezzone, sono il primo ad affermare che ne ho trovate diverse. Ma la disinvolta rotazione a “u” dell’ex ministro delle patologie mi sembra sicuramente deplorevole. Sono invece andato a cercare l’articolo “Etica degli Affari” e non sono riuscito a trovare svarioni di alcun tipo. Tra l’altro non c’è alcuna formulazione matematica nel testo, quindi non vedo come si possa parlare di errori marchiani. Non avendo larga frequentazione con la settimana enigmistica, mi sfuggono anche chi possano essere i personaggi di dubbia reputazione per i quali si siano prodotti entusiasmi. E’ vero che un approccio razionale di tipo matematico – scientifico aiuta ad evitare certi errori. Ma tale approccio si acquisisce con lo studio autentico e con una formazione culturale non schematizzata. Non basta l’esercizio aritmetico o algebrico nel risolvere calcoli per ottenere un pensiero razionale. Chi conosce le lingue antiche impara meglio la matematica e viceversa. L’atleta può allenarsi quanto vuole senza essere in grado di parlare di sport. Se così non fosse, come mai gli “economisti” con formazione matematizzata hanno un approccio così irrazionale nei confronti dei problemi monetari, arrivando a proporre di stampare denaro all’infinito? Si può rispondere in due secondi alla richiesta di fornire il risultato di ottocentonovantotto moltiplicato quattromiladuecentosettantuno, senza per questo aver acquisito i più elementari fondamenti di logica. Come l’atleta analfabeta.

    Offri un bicchiere di Marzemino all'autore del commento 1

I commenti sono chiusi.