Don Giovanni

Pagamento in nero, lavoro vero (marameo Patuelli!)

Il presidente dell’ABI Antonio Patuelli crede forse di avere scoperto l’America quando proclama che ci sono due regimi di transazioni economiche, quelle in bianco e quelle in nero? Ma questo l’hanno sempre saputo anche i sassi! Se io chiamo l’elettricista per una riparazione, quello alla fine del lavoro mi chiede se voglio la fattura oppure no. Se non la voglio, il prezzo è più basso. Ci guadagniamo in due, io perché spendo meno per un lavoro indispensabile, lui perché può dichiarare introiti inferiori al reale, e quindi pagare meno imposte. E lo stesso succede se chiamo il fabbro, il falegname, il piastrellista, l’idraulico (anche se tramite Studi di Settori e Indici Sintetici di Affidabilità, introducento il concetto di “tassazione sul reddito presunto”, lo Stato sta “risolvendo” il problema, almeno dal proprio punto di vista di razziatore). Ora che è arrivato l’inverno bisogna cambiare le gomme dell’auto, se non si vuole finire fra le grinfie di qualche pattuglia di sbirri, che in queste cose son efficientissimi, quando invece si tratta di catturare i delinquenti molto meno. Se hai un meccanico di fiducia, puoi fare un patto con lui: niente fattura, e tu mi fai un bello sconto. Così può capitare che, invece di pagare 80 euro per il servizio, ne paghi 70, o anche meno. Quale garzone non saria ladro nell’occasione?

Intendiamoci bene: ladro per modo di dire. Checché ne dicano gli adoratori dello Stato, è ladro lo Stato imponendo balzelli di ogni genere; il povero suddito che si ingegna come può, evadendo or qua or là, magari per riuscire a tirare la fine del mese, no. I Gesuiti di un tempo l’avrebbero giustificato per “occulta compensazione”, il Gesuita che ora siede sullo scranno di Pietro forse no, anche perché, per occulta compensazione, uno potrebbe  rifiutarsi di pagare l’8 per mille. E i grandi evasori, quelli che riescono a sottrarre al fisco somme considerevoli? Non sono ladri neppure loro, fintantoché si astengano dal chiedere allo Stato privilegi e finanziamenti, a qualsiasi titolo. Se poi uno da una parte evade e dall’altra riceve sovvenzioni esibendo documenti falsi riguardanti il proprio stato patrimoniale, allora sì è un ladro, o per meglio dire un truffatore. C’è è poi il caso esemplare di chi evade un tributo e si autodenuncia. Qualcuno, dietro mio consiglio, l’ha fatto per il canone RAI  in bolletta, detraendo dalle somme fatturate la quota relativa all’iniquo balzello. Finora, a quanto mi risulta, non si sono avute reazioni da parte delle autorità competenti. Evidentemente, si ha paura che la faccenda finisca davanti alla Corte Costituzionale, e che la famigerata legge del canone in bolletta, proposta da Renzi al tempo del suo governicchio, venga dichiarata illegittima. Ho un ulteriore suggerimento: quei quattro gatti che detraggono il canone si autodenuncino con un esposto alla Procura della Repubblica, e poi stiano a vedere quel che capita. Dal momento che che in Italia l’azione penale per i crimini perseguibili d’ufficio è obbligatoria, la Procura deve aprire una procedura. Se non lo fa, si può sempre presentare  un esposto al Ministero della Giustizia o al Consiglio Superiore della Magistratura. Se poi anche loro nicchiano, si può sempre fare una bella campagna pubblicitaria, con tutti i mezzi a disposizione.

Questa è azione anarchica non violenta, l’unica che io ammetto e prediligo. Le bombe no, anche se qualche volta verrebbe voglia di tirarne qualcuna. Torniamo a Patuelli, questo signore che da giovinetto faceva parte del direttivo della Gioventù Liberale, nel partito che fu di Luigi Einaudi; il quale era un uomo d’ordine, un “servitore dello Stato”, come si dice con un’orrida espressione, ma più d’una volta aveva riconosciuto che, di fronte a una pressione fiscale eccessiva, il sottrarsi a qualche balzello può avere una sua giustificazione morale. Non so se avrebbe condiviso quel che ebbe ad affermare Milton Friedmann una ventina di anni fa: che in Italia l’economia può evitare di rimaner soffocata solo grazie all’evasione fiscale e al lavoro nero. Io scommetterei di sì. Patuelli invece sembra condividere la strategia del governo in carica, che ha dichiarato guerra all’evasione fiscale minacciando il carcere a chi se ne rende responsabile, e mira a ridurre l’uso del contante rendendo obbligatoria l’installazione dei POS in tutti gli esercizi commerciali. Non è necessario essere anarchici per opporsi a un simile obbligo di legge; basterebbe essere liberali einaudiani. Uno deve essere libero di pagare in contanti o con carte di credito e bancomat; un negoziante dev’essere libero di installare un POS oppure no. Sarà poi il mercato a decidere. Se la stragrande maggioranza dei clienti vuole pagare con il POS, i negozianti dovranno adeguarsi. Altrimenti, chi vuole potrà continuare a farne a meno. Patuelli invece invita i consumatori a disertare gli esercizi commerciali sprovvisti di POS  proprio per indurre tutti i negozianti a provvedersene. In questo modo tutte le transazioni commerciali risulteranno tracciabili e si renderà sempre più difficile l’evasione fiscale.

Capito? Il consumatore dovrebbe fare un favore allo Stato, precludendosi la possibilità di pagare in nero! Roba da masochisti. Il consumatore dovrebbe fare tutto il contrario: scegliere quegli esercizi commerciali che gli permettono di evitare il pagamento dell’IVA, beneficiando di uno sconto sul prezzo degli acquisti. E’ chiaro che Patuelli ragiona pro domo sua : più POS significano più introiti per le banche; più transazioni con carte di credito significano più oneri a carico dei consumatori, a beneficio del sistema bancario. Evidentemente, ci crede tutti fessi. Marameo, Patuelli.

Per quel che mi riguarda, sto facendo incetta di denaro contante; e ho già individuato un buon numero di artigiani e commercianti disposti a servirmi in nero. Manette agli evasori? Mettetevele dove dico io, le manette.

Giovanni Tenorio

Libertino

Un pensiero su “Pagamento in nero, lavoro vero (marameo Patuelli!)

  • A settembre, la proposta di tassare il contante non è arrivata nè dal governo, nè dall’Abi, nè dai tanti intelligentoni parassiti che campano di tessere e di 5×1000 (facciamo qualche nome: Trefiletti, Rienzi, Lannutti…) sempri pronti a fare proposte indecenti, ma dal centro studi della confindustria, quella che dovrebbe pensare al benessere delle imprese, quelia che per simbolo ha un’aquila (persino più “littoria” di quella che aveva nel ventennio), animale simbolo di acutezza visiva.

    La confindustria agisce, ma pro domo di chi?

I commenti sono chiusi.