Alberto Airoldi
Ezio Frigerio, il grande scenografo che tutto il mondo invidia all’Italia, non solo è un grande artista, ma anche una persona garbata, un vero gentiluomo. Fino a pochi anni fa lo conoscevo soltanto attraverso le sue splendide scenografie, specie quelle disegnate per gli allestimenti operistici in cui, come squisita costumista, aveva sempre a fianco l’affascinante consorte Franca Squarciapino, e magari, come regista, l’indimenticato Giorgio Strehler. Gli ero particolarmente grato per il “Don Giovanni” messo in scena alla Scala con Strehler regista, Muti direttore d’orchestra e Thomas Allen nella mia parte: in quell’allestimento mi riconobbi pienamente, come non mi era mai capitato prima d’allora, neppure con le interpretazioni più celebri, quelle di Ezio Pinza, ad esempio, o quella famosa di Salisburgo con Cesare Siepi, direttore Wilhelm Furtwaengler. Tre anni fa ebbi la fortuna di assistere, a Erba, sua città natale dove ora risiede stabilmente, a una sua conferenza, in cui presentava un libro riccamente illustrato, dove raccontava la storia della sua collaborazione con Strehler. In quell’occasione intrattenne piacevolmente il pubblico, narrando molti aneddoti, che riguardavano non soltanto la sua vita d’artista, osannato in tutti i più grandi teatri, ma anche la sua infanzia e la sua adolescenza nella città natale, che aveva sempre serbato nel cuore pur essendo ormai diventato cittadino del mondo. Ne fui affascinato. Alla fine, con la scusa di avere un suo autografo su una copia del suo libro, che avevo acquistato, mi presentai a lui in incognito, e feci scivolare il discorso proprio su quel famoso “Don Giovanni”, di cui anche nel libro si parlava. Fu una conversazione dotta, amichevole e illuminante, in cui dimostrò di aver colto perfettamente la sublime ambiguità dell’Opera mozartiana di cui sono protagonista: un’Opera che libretto e partitura definiscono “giocosa”, mentre in realtà presenta risvolti tragici. Frigerio si rammaricava di averne dato, con Strehler e Muti, un’interpretazione troppo “verdiana”. Io ribattei che mi aveva affascinato proprio per questo. Verdi conosceva a memoria la partitura mozartiana (il suo Maestro Vincenzo Lavigna gliel’aveva fatta passare al pianoforte decine di volte), e fin dalle Opere giovanili la tiene ben presente. Nel “Rigoletto” ne plagia addirittura una danza, il Minuetto del Finale dell’ Atto Primo.
Dispiace che un galantuomo come Frigerio sia finito, in questi giorni, al centro di una polemica che non fa onore a chi l’ha fomentata. Di che si tratta? D’un problema di intitolazione stradale. Qualcuno, nel Consiglio Comunale di Erba, aveva proposto di dedicare una via o una piazza a Padre Aristide Pirovano, un concittadino che, da antifascista, salvò molti ebrei dalla deportazione, fu vescovo in Brasile e grande benefattore; qualcun altro propendeva invece per il fu podestà Alberto Airoldi, uomo di cultura, poeta dialettale, drammaturgo, fondatore e sostenitore, a sue spese, del Teatro Licinium (dove recitarono i più famosi attori dell’epoca, da Salvo Randone a Dina Galli ad Amedeo Nazzari) e promotore dell’originalissimo Monumento ai Caduti dell’architetto Giuseppe Terragni, caposcuola del Razionalismo. In un articolo pubblicato sul quotidiano comasco “La Provincia”, il 3 luglio, Frigerio interveniva con il solito garbo e la consueta intelligenza, sostenendo che si poteva dedicare una via o una piazza a tutt’e due gli illustri personaggi.
Se è vero che Airoldi fu fascista, aderendo anche alla Repubblica di Salò, è anche vero che non si macchiò di gravi crimini, pagò con una lunga detenzione la sua militanza, chiese la grazia per il partigiano Giancarlo Puecher, arrestato in un paese vicino, processato sommariamente e condannato alla fucilazione, si prodigò per salvare la vita a due concittadini ebrei, pur avendo pubblicato, qualche tempo prima, un libello in cui si elencavano tutti gli abitanti del circondario dal cognome giudaico. Frigerio ricordava tutti questi fatti, non tacendo le ombre del personaggio, ma sottolineando che si doveva rendere omaggio non al politico, bensì all’uomo di cultura che tanto aveva fatto per la sua città: “Soperchierie furono fatte, in quel troppo discutibile momento storico, condannabili, inspiegate, ma, diciamolo pure, il fascismo erbese fu relativamente mite (…) Vogliamo invece oggi in questa sede parlare del bene reale che (Airoldi) fece al mio e vostro paese. Se una tenue stella brillò allora sulla oscura provincia lombarda, ci fu regalata da lui”. Parole bellissime, toccanti. Io non sapevo che l’autore di una poesia in dialetto brianzolo, letta per caso decenni fa non ricordo più in quale raccolta e subito piaciutami, fosse dell’Airoldi fu podestà di Erba! L’ho scoperto adesso. E’ una poesia commovente, di cui ricordo perfettamente i primi quattro versi:
Al sa d’erba e da lagh ol mè brianzoeu
d’ombria e da làor, da quand pioeuv sui strad
e par c’al sona da muggiad da boeu
e da carett che solta in sui risciad
Sa d’erba e di lago il mio brianzolo
d’ombra e di lauro, di strade bagnate dalla pioggia
e sembra risonare di muggiti di buoi
e di carretti che sobbalzano sugli acciottolati
Ricordo anche gli ultimi versi, che concludono degnamente la lirica, con una dichiarazione d’amore per una lingua lingua degli affetti, che racchiude un paesaggio dell’anima:
Mì sto dialett gal lassaroo al mè fioeu,
‘na sostanza d’amor e da paroll
Se on dì al savorirà sto sò brianzoeu
parià a cuntalla, al sarà mai sagoll
si dica quel che si vuole, non ne sarà mai sazio
Io questo dialetto lo lascerò al mio figliolo,
una sostanza d’amore e di parole.
Se un giorno assaporerà questo suo brianzolo,
si dica quel che si vuole, non ne sarà mai sazio
A me pare che basterebbero questi versi per dedicare una via a un poeta, non importa se fascista o antifascista. E invece, subito dopo che la maggioranza del Consiglio Comunale, con in testa la sindaca Veronica Airoldi, nipote di Alberto, ha fatto propria la ragionevole proposta di Frigerio, le sinistre sono insorte, si sono avute manifestazioni di protesta, si è mobilitata anche l’ANPI. Risultato: non se ne farà niente, la rete stradale cittadina non si onorerà né del nome di Pirovano né di quello di Airoldi.
Sapete che vi dico? Le sinistre e l’ANPI mi fanno schifo. Pazienza se il suggerimento fosse venuto da un neofascista, ma Ezio Frigerio – come ha poi chiarito lui stesso in un successivo intervento sul medesimo quotidiano – pur venendo da una famiglia devota a Mussolini, dall’età di quindici anni è sempre stato socialista. Sulle intenzioni della sua proposta, squisitamente culturali, non si possono aver dubbi. Come se le sinistre fossero vergini! Quanti fascisti, finita la guerra, sono entrati nelle loro file, senza che nessuno avesse niente da ridire? Perché nessuno si stracciò le vesti quando, dal 1957 al 1961, sedette sullo scranno di Presidente della Corte Costituzionale quel Gaetano Azzariti che nel 1938 aveva aderito al Manifesto della Razza, aveva contribuito alla stesura delle leggi razziali ed era stato nominato presidente del famigerato Tribunale della Razza? E che dire del premio Nobel Dario Fo, che si arruolò volontariamente nelle milizie della Repubblica di Salò, fece parte del Battaglione Azzurro di Tradate e si rese corresponsabile dei rastrellamenti nella Val Cannobina? Ha sempre sostenuto di averlo fatto come “quinta colonna”, per far da scudo ai compagni partigiani. Tutte falsità, come sta scritto a chiare lettere in una sentenza che scagiona un giornalista da lui denunciato di diffamazione per averlo chiamato repubblichino e rastrellatore.
Il vero torto di Alberto Airoldi, per i signori della sinistra, è quello di non essersi riciclato nelle loro file. Se fosse stato così furbo da dichiararsi, subito dopo la liberazione, comunista nell’intimo, anche quando vestiva la camicia nera, e da fare ammenda dei suoi trascorsi sventolando d’allora innanzi la bandiera rossa, state pur sicuri che una via o una piazza della sua città gli sarebbe già stata dedicata da un pezzo. Sapete che vi dico? Che certi antifascisti mi fanno più schifo dei fascisti.
Perché in realtà il fascismo non è un pensiero politico ma un modello di comportamento. Il corporativismo è un pensiero, come lo sono il liberismo, il socialismo, il collettivismo, l’individualismo, il comunismo ed altre categorie politico – economiche. Ma derivare da un “fascio”, in sé non significa nulla perché il fascio è solo un simbolo iconografico. Gli esponenti dei fasci siciliani erano fascisti? Fascista è ogni violento, ogni intollerante. I comunisti non sono altro che dei fascisti più a sinistra dei corporativisti, l’ala sinistra del fascismo ufficiale. In fondo sono hegeliani sia Marx che Schmitt. E’ il motivo per il quale sostengo sempre che lo spazio a destra degli emicicli parlamentari, abusivamente occupato dai nazionalisti, appartenga di diritto ai liberali.
“…si poteva dedicare una via o una piazza a tutt’e due gli illustri personaggi.”
Verissimo, e pure se non sono illustri visto che a Marsala esiste “via Antonio Messina e Carmelo Orlando” e io personalmente non sono mai riuscito a sapere chi diavolo sono.
L’Anpi è un carrozzone che ormai non ha più senso, i partigiani o sono morti o sono centenari.
Il fatto che sia gente come Ottavia Piccolo a girare (tra l’altro fuori luogo e fuori contesto) col fazzoletto di questo ente la dice lunga e la dice tutta.
Ottavia Piccolo me la ricordo candidata con Craxi, il liberatore di Reder.