Lo Stato come religione
Uno dei dogmi che molti libertari sbandierano acriticamente è quello secondo cui un ente politico piccolo è sempre meglio di uno grande. Il ragionamento è questo: se lo Stato è sempre una cosa brutta, quanto più grande è lo Stato, tanto più brutto è. In teoria, il discorso fila. Quindi, conseguentemente, bisogna favorire tutti i tentativi di secessione. Poco male se i movimenti che li sostengono professano un’ideologia non del tutto in linea con i principi libertari. L’ importante è frammentare i grandi agglomerati statali; il resto verrà da sé. Alla fine, si avrà una secessione conclusiva, dove ogni individuo sarà davvero padrone di sé stesso, senza nessuna autorità politica cui dichiarare obbedienza. Bel quadretto, non c’è dubbio. Peccato che poi la realtà effettuale smentisca brutalmente le finezze di tanta argomentazione. Così i nostri libertari non sanno darsi pace al vedere che gli indipendentisti catalani sono orientati a politiche di tipo socialista; e anche quelli scozzesi, se aborrono il regime di Sua Maestà la Regina Elisabetta II, non sono per niente fautori di uno “Stato minimo”. E allora? Ragion vorrebbe che il suddetto dogma, Stato piccolo=Stato leggero venisse messo in discussone. E invece no. Bisogna continuare a sostenere le secessioni, di qualsiasi segno siano. A furia di secedere, si arriverà allo Stato zero! C’è da rimaner perplessi davanti a simili credenze, ma neanche troppo. Questi libertari (mi riferisco in particolare a quelli italiani, le cui ascendenze leghiste sono ben note) sono discepoli dell’ultimo Rothbard, quello che vide nei rivolgimenti secessionisti successivi al crollo del sistema sovietico l’alba di un mondo nuovo. In omaggio al principio secondo cui il piccolo è sempre meglio del grande, qualunque decisione prenda, arrivò ad affermare che in America, nella questione dell’aborto, è opportuno lasciare le decisioni ai singoli Stati (come, sulla sua scia, sostiene anche oggi Ron Paul). Non si capisce perché. Solo perché chi è piccolo è sempre nel giusto? E’ un male che la Corte Suprema, organo dello Stato federale, per definizione più oppressivo, abbia invece stabilito la libertà di scelta della donna? Una libertà. tra l’altro, che lo stesso Rothbard ha sempre sostenuto, proprio sulla base di principi libertari. Siamo al paradosso: un principio è valido per le sue connotazioni libertarie; questo principio però viene negato dalla legislazione di un certo Stato, membro di una federazione; il riferimento alla giurisprudenza di un’istanza superiore consentirebbe di far valere, in tutto il territorio della federazione, il principio libertario; tuttavia, dal momento che, secondo un altro dogma libertario,il piccolo è sempre più bello del grande, la decisione antilibertaria del piccolo deve prevalere nel suo territorio. E la libertà di scelta della donna, dove va a finire? Si risponde: chi vuol abortire può sempre andare a farlo in uno Stato dove l’aborto è lecito. E perché mai costringere una donna a sobbarcarsi questo non lieve incomodo? E le donne che, per ristrettezze economiche, non possono sopportare le spese del trasferimento? Aborto libero solo per chi può permetterselo?E’ un ragionamento davvero sgangherato, Ciò detto, non intendo sostenere che le decisioni di un organo superiore, in un contesto federale, siano sempre migliori di quelle che possono essere prese a un livello più basso. Talvolta è il contrario. Prendiamo il caso del Proibizionismo, vigente negli Stati Uniti dal 1920 al 1933. Non tutti gli Stati erano favorevoli al provvedimento, ma per imporlo in tutto il territorio dell’Unione si arrivò addirittura a introdurre un nuovo emendamento nella Costituzione federale, il XVIII, che così recitava: “A partire da un anno dopo la ratifica del presente articolo, e per effetto dello stesso, sono vietati entro i confini degli Stati Uniti la fabbricazione, la vendita e il trasporto – a scopo di consumo – di bevande alcoliche, nonché l’importazione e l’esportazione delle medesime da e per gli Stati Uniti e a tutti i territori soggetti alla di loro sovranità”. Su questa base venne poi emesso, sempre a livello federale, il Volstead Act, che ebbe come risultato non certo la limitazione del consumo di alcolici (che anzi aumentò), ma il rafforzamento delle attività criminali legate al contrabbando, delle quali Al Capone divenne l’arbitro supremo. Bell’esempio di un grande Stato che vuol intromettersi nelle scelte private, impedendo per legge ai cittadini di ubriacarsi. Ma anche i piccoli non sono da meno. Da quando, in Italia, i poteri delle amministrazioni comunali sono aumentati, i sindaci si sono sbizzarriti nelle ordinanze più bislacche. Qualcuno ha vietato di costruire castelli di sabbia sulla spiaggia; qualcun altro di tenere i pesciolini rossi in bocce di vetro. Qualcuno sguinzaglia la Polizia Locale a dar la caccia ai clienti delle puttane, utilizzando normative nate per altri scopi. Conclusione: il potere politico, piccolo o grande che sia, è sempre pericoloso. Può essere che il piccolo si riveli più amico, il grande meno, ma non è detto. Il vero anarchico deve sempre combatterlo. I sedicenti libertari…vedano loro. Sono imminenti le elezioni europee, e io mi sto divertendo a contemplare tutto questo trambusto. C’è chi dice che l’Europa è la nostra salvezza, quindi va preservata e migliorata, rendendola più integrata e più forte. C’è chi dice che va indebolita, ridando lustro agli Stati nazionali. Nessuno pensa ormai di distruggerla. Gli inglesi con tutta probabilità voteranno per andarsene, infliggendo una bella batosta ai Conservatori di Theresa May e premiando l’aggressivo partito di Nigel Farage, che propugna un’uscita dura, senza compromessi. Tutti sostengono i loro principi in nome di una maggiore libertà. O sono illusi o sono in mala fede. Nessuna libertà si avrà mai fin quando non ci si deciderà a sradicare lo Stato, qualsiasi Stato. Che l’Europa sia più o meno unita, che i singoli Stati nazionali siano più o meno forti, cambierà poco o nulla. Mi fanno ridere quei “sovranisti” che vorrebbero la fine dell’Euro e il ritorno alle monete nazionali. Anche a me l’Euro non è mai piaciuto, per il modo com’è nato, per la maldestra transizione dalle monete nazionali, per il fatto che la BCE, nata secondo principi affini al modello tedesco, sì è andata trasformando, soprattutto ad opera di Mario Draghi, in qualcosa di molto simile alla FED (qualcuno – ahimè- la vorrebbe ancor più simile).Ma anche il ritorno alle vecchie banche centrali nazionali non porterebbe niente di buono. Probabilmente si andrebbe di male in peggio. Qualcuno vorrebbe che la Banca d’Italia potesse ricominciare a stampar lire a tutto spiano, per sostenere il debito pubblico e foraggiare i governi spendaccioni, con la scusa di sostenere il credito per gli investimenti e garantire un solido sviluppo economico. Si salvi chi può! In questo caso il piccolo sarebbe senz’altro molto peggio del grande. E che dire di quelli che vorrebbero sequestrare l’oro detenuto nei forzieri della Banca d’Italia, per metterlo nelle mani del popolo, al quale -così dicono- appartiene? Il che vuol dire metterlo nelle mani dei governi, che del popolo si dicono eletti e in nome del popolo decidono, perché lo possano scialare a piacimento. C’è da farsi venire la pelle d’oca. Meglio la BCE, per quanto esecranda e sputacchievole.C’è davvero qualcuno che può credere a queste fanfaluche? Se c’è, può anche credere agli asini che volano.Io sono fatto della sostanza dei sogni, quindi l’incombenza delle elezioni non mi tange. Se fossi un comune mortale come tutti gli altri, non mi muoverei di un passo per andare a deporre la mia scheda nell’urna. Qualunque cosa esca dalla mastodontica consultazione, sarà sempre brutta: Ci sarà ancora qualcuno che comanda, più in alto o più in basso, più in piccolo o più in grande. Io non voglio né comandare, né essere comandato. In casa mia, comando soltanto a Leporello, che poi alla fin fine riesce sempre a fare quel che vuole. Minaccia sempre di cercare un nuovo padrone, ma poi resta con me, perché sa che non potrebbe trovare di meglio.Nessun altro gli consentirebbe di sgraffignargli sotto gli occhi un bel pezzo di fagiano,chiudendo non un occhio, ma tutti e due, come faccio io. Andare a votare? Nulla di più inutile, anche per un altro motivo. Pensate un po’: gli elettori europei si aggirano sui quattrocento milioni. In questa sterminata foresta, che peso può avere il singolo voto? Pari a zero! Una vecchia signora cui facevo in questi giorni tale ragionamento, mi ha replicato: “D’accordo, ma se tutti la pensassero così, non si avrebbe nessun risultato. La volontà popolare è come la distesa dell’oceano, fatta di tante piccole gocce. Se si togliessero le gocce a una a una, l’oceano si seccherebbe”. Le ho risposto: “Vada lei a togliere le gocce a una a una, se è capace. Il suo voto, in ogni caso, avrà lo stesso effetto di una pisciata in mare”. Ultima considerazione. Una volta, quando tutti, a parole, erano devoti e pii, se uno non andava a messa era guardato in cagnesco e duramente giudicato, specialmente nei piccoli paesi, dove si sapeva tutto di tutti. Oggi, per fortuna, anche nei piccoli paesi, se uno non va a messa nessuno se ne accorge, e anche se qualcuno se ne accorgesse non potrebbe importargliene di meno.. Provate invece a dire in giro che non andate a votare perché la democrazia non vi piace, lo Stato è un covo di delinquenti; o anche soltanto perché siete pigri e avete altro da fare che interessarvi della politica, dell’Europa, della Brexit, dei sovranisti, dell’immigrazione, dell’Euro, dell’Unione Bancaria e chi più ne ha più ne metta. Vi tratteranno subito come un reprobo: votare è un dovere! Se non si vota, ci si esclude dalla comunità di cui si fa parte! Proprio come una volta non andando a messa si veniva meno a un sacro precetto e ci si escludeva dalla comunità dei fedeli. Deduzione: lo Stato ha acquisito la stessa sacralità che una volta era delle religioni. Quella dello Stato è una religione come tutte le altre. Anzi l’unica che venga davvero rispettata e praticata (Musulmani e Talebani a parte): anche dello Stato si potrà dire quello che Lucrezio diceva della religione: “Tantum religio potuit suadere malorum”.
Nell’editoriale di ieri su La Nazione, Francesco Carrassi parla addirittura di messa laica. Il tutto allo scopo di esaltare la democrazia e la partecipazione al voto: “…celebrazione suprema della partecipazione alla massima espressione della volontà popolare come sancito solennemente dalla nostra costituzione”. Quest’ultima la scrive con la “ci” maiuscola. Io no.
Questo mito totalitario della democrazia, è forte soprattutto nelle fasce di popolazione con una certa densità di diplomi di laurea….. le persone più umili o di ceto medio-basso come si diceva un tempo, hanno una certa percezione della farsa ridicola con cui hanno a che a fare,… su questo Rothbard ad esempio, aveva ragione.
Secondo me c’è secessionismo e secessionismo, ma la stella polare deve essere sempre la secessione americana, una rivolta indipendentista con motivazioni prettamente fiscali….. mia personale opinione ovviamente; non mi piace ascoltare soprattutto da persone che si richiamano al libertarismo, come giustificazione alle secessioni, il concetto di “autodeterminazione dei popoli”, ennesima astrazione collettivista al pari di patria o giustizia sociale, peraltro causa di drammi immani nel secolo scorso. Motivare una secessione con quel genere di argomenti, porta alle guerre sante, a sventolare simboli tribali, alle trincee, filo spinato e coltello tra i denti….. per non parlare poi, qualora nello stesso territorio dovessero trovarsi a vivere più comunità/popoli a macchia di leopardo, gomito a gomito, che volessero autodeterminarsi in contemporanea, com’è avvenuto nel cuore dei balcani…. lì per esempio l’autodeterminazione dell’uno ha significato l’estinzione e lo sterminio dell’altro, con tanto di fosse comuni e pogrom; ovviamente anche a causa di circostanze storiche ben precise e fattori propri, endogeni.